Leonardo, sì quello da Vinci, è arrabbiato. Più precisamente incazzato nero. Gli hanno saccheggiato tutto, perfino dei versetti da dozzina che aveva scritto per un’amata e che teneva nascosti “ché non erano all’altezza delle mie altre genialità”. Ora non ne può più dell’uso continuo e dissennato del suo uomo vitruviano. E con un tweet ha preannunciato che si dimette da “italiano”.
Giorgio Napolitano mi ha invitato a “esperire ogni utile azione perché la nostra amata Patria non abbia a subire l’ulteriore ignominia di essere ricusata dal suo figlio più nobile” e mi chiama ogni giorno per sapere se “la situazione che desta preoccupazione e dolore” si è risolta. E di fronte allo stallo, mi accusa di essere un fancazzista inconcludente. Un vero incubo. Provate voi a fare sogni migliori con questi tempi cupi!
Loghi, simboli e mascotte
Ho letto di tutto sull’iconografia che, a vario titolo, caratterizza l’EXPO 2015. Con una confusione totale tra logo dell’evento, mascotte, logo del padiglione Italia, simboli di Paesi partecipanti, giochi ufficiali, proposte di app. E tutti improvvisamente esperti di comunicazione e d’identità visiva in particolare. Con la solita tirata moralistica: “Chissà quanti soldi per un disegnino insignificante”. E ovviamente spunta fuori il figlio, il nipotino, il bambino che avrebbe fatto sicuramente di meglio sul tema “nutrire il pianeta, energia per la vita”. E, ovviamente, gratis.
Andiamo per ordine. Quello con l’uomo vitruviano:
è il logo di candidatura: il logo, cioè, con il quale Milano ha accompagnato la sua candidatura a sede dell’Expo 2015. A parte i turbamenti di Leonardo, il risultato grafico è, diciamolo, davvero mediocre: manca il tema del cibo, l’insieme è molto descrittivo e senza la forza di sintesi e immediatezza che dovrebbero caratterizzare un logo. Ora comunque è inutile continuare a tirarlo in ballo perché è stato sostituito dal logo definitivo, dopo un concorso “aperto” a studenti e neo laureati delle Scuole di Design e Arti, Architettura, Moda, Disegno Industriale e Grafica Pubblicitaria. La giuria presieduta da Giorgio Armani ha individuato due proposte finaliste, che sono state poi affidate a una votazione sul Web. Eccole:
Ha stravinto il logo colorato rispetto al minimalismo dell’uovo disegnato da Alice Ferrari, simbolo certamente molto forte di cibo e nutrizione ma, graficamente, più che minimalista forse troppo povero. Ora, in mezzo all’imperversare delle polemiche potrei mantenermi cauto e dire del logo vincitore Tutto sommato, non mi dispiace. E invece dico: Mi piace! Con l’aggiunta dell’enfasi del punto esclamativo, per di più. Perché c’è colore, c’è luce, c’è energia e, di questi tempi, abbiamo bisogno di un soffio vitale. E qui lascio la parola ad Andrea Puppa, l’autore: “Il marchio di Expo utilizza il colore per trasmettere il concetto di luce come denominatore comune dei concetti nutrizione, pianeta, energia, vita. La sovrapposizione dei colori primari (magenta, ciano e giallo) nelle forme e nei numeri rimanda a un’idea di forte relazione, di collaborazione. Ho attribuito il colore giallo alla data e alternando il ciano (una tonalità di blu) e il magenta (una tonalità di rosso) nelle forme della parola “Expo”, si ottiene il colore verde, immediatamente legato al concetto di natura, e il colore rosso cioè il colore del cibo per eccellenza.”
A questo punto Il pierinismo dei “quasi addetti” ai lavori, più fastidioso di quello degli ignoranti presuntuosi (e fatta salva la categoria eterna del “cretino a sua insaputa”), obietta che nella trasposizione in bianco e nero il logo diventa illeggibile. Falso. Nella necessità, sempre più rara tra l’altro, di averlo in scala di grigi, il logo “tiene”. Ho provato e tiene.
Arcimboldo e Disney
E arriviamo alla mascotte, che è cosa diversa dal logo: “Persona, animale, vegetale o oggetto ritenuto, designato, eletto portafortuna da un gruppo, da una comunità, da una squadra, da un’Organizzazione…” recita più o meno così qualsiasi dizionario. Aggiungo che in genere le mascotte appartengono al mondo animale o vegetale ma quasi sempre richiamano i lineamenti umani. Sono il più delle volte ironiche, caricaturali, grottesche ma mirano sempre a suscitare tenerezza, a creare una sorta di “sindrome del cucciolo” per sollecitare una spinta emotiva verso il brand. Ovviamente devono cercare di essere coerenti con il tema. Chiarito questo, eccola quella di Expo 2015
Insomma il cinquecentesco milanesissimo Arcimboldo in salsa Disneyland. E infatti è la Disney che l’ha realizzata, con l’intuibile strascico di polemiche nazionaliste che vi risparmio. Delle quali una ha, a mio avviso, un senso. Tra gli undici elementi che la compongono (Anguria, Arancia, Banana, Fico, Mais, Mango, Mela, Melograno, Pera, Rapanelli e Aglio) mancano due “eccellenze” italiane: il vino e l’olio, e cioè l’uva e l’oliva. Di cui Arcimboldo, tra l’altro, ha sempre fatto larghissimo uso nei suoi dipinti. È vero che l’esposizione è planetaria, ma si fa in Italia e un po’ di marketing, anche subliminale, sarebbe apparso funzionale! Ridicola trovo invece la polemica che sia affidata ai bambini la scelta del nome. Ma perché qual è il target prioritario di una mascotte? Ed è a loro che deve piacere innanzitutto. Ho fatto un esperimento con i miei nipoti: su cinque, due entusiasti, due contenti, uno deluso “perché non è… ninja” (e vabbè… Lo so, non c’entra. Ma posso impegnarmi in un dibattito con un cinquenne che va a letto vestito da tartaruga?).
Sul nome scelto, Guagliò, si sono scatenati sia i pierini standard sia i “raffinati-coerenti”: “Ma come, l’Arcimboldo è milanese, la mascotte è made in Disney, e il nome è… napoletano?” E già si fregano le mani al pensiero delle cose caustiche, o pseudo tali, che potranno dire quando si conoscerà il nome che i pargoli avranno dato al fico e alla banana. Perché tutti i singoli elementi verranno battezzati e “Guagliò” è solo il primo nome che è stato ufficializzato: sarebbe il nome dell’aglio, cioè del naso.
Il genio e l’ortolano
Ecco tutto questo ho provato a spiegare a Leonardo, infuriato per “l’ oltraggio all’uomo vitruviano: convivere con la grottesca creatura dell’ortolano!” che poi sarebbe il creativo Arcimboldo. L’unica cosa che l’ha placato (parzialmente, eh!) è la constatazione che comunque il suo genio “universale” ha contribuito all’attribuzione a Milano di un’esposizione altrettanto “universale”. E che ora quel “guazzabuglio di lettere e forme non armoniche” (insomma il logo di candidatura) non è più utilizzato. E mi ha ordinato di farlo sapere che non gradisce ulteriori strumentalizzazioni delle sue opere. E lo ha ripetuto, più volte! “Me lo scrivo” gli ho risposto, come Troisi. Anzi lo scrivo su Tech Economy di Stefano Epifani. E a questo punto, caro Stefano, lui che è un conoscitore attento dell’anatomia si è messo a fare rime elementari con il tuo cognome, denotando che in questo campo non è un grande inventore, piuttosto uno scurrile rimatore da taverna.
L’Italia e i germogli
E completiamo questa panoramica, tra incubi leonardeschi e banalità pierinesche, con il logo del padiglione nazionale. Un ripetersi di cerchi e combinazioni cromatiche con i tre colori che “richiamano l’immagine di un germoglio e insieme esprimono le energie del Paese e la sua varietà nei tanti petali, ma anche la sua unità nel loro convergere” (Diana Bracco, alla presentazione). Ci sta. Anche quella serie di “centri”, ciascuno portatore di una diversità e di una peculiarità, mi convince come pure questa idea sottintesa di vivaio: un luogo che aiuta i germogli a crescere.
È opera dell’agenzia Carmi e Ubertis, studio di comunicazione visiva. E aggiungo che, pur conoscendo un bel pezzo di mondo nel campo della comunicazione, del brand design e della pubblicità, non sono amici miei. Nel senso che ne ho appreso l’esistenza nell’occasione. E gli faccio i complimenti. Perché, e mi schiero di nuovo, questo logo mi piace!
No, non ne ho parlato con Leonardo. Ma quanti incubi, secondo Voi, dovrei avere in una settimana? Ho appena scongiurato le sue dimissioni da italiano. Sì, sì… gli ho telefonato a Giorgio, ma era impegnato a giocare a battaglia navale con Renzi…
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