Metterci la faccia. A testa alta

«Che cosa significa #SocialCare?»…
Il filosofo Martin Heidegger, poco meno di un secolo fa, si poneva la domanda che, nella sua apparente astrattezza, avrebbe rivoluzionato la concettualità occidentale del Novecento: «Che cosa significa pensare?». E ancora: «Perché c’è l’essere e non c’è il nulla?».
#staisereno, verrebbe da dire al lettore! Nessuna elucubrazione metafisica qui. Semplicemente ci interroghiamo su una questione non meno urgente per noi: il «Social Caring». Oggi che ormai quasi tutti se ne riempiono la bocca.
Paradossalmente. Se solo ieri, infatti, ci trovavamo a lamentarci per il disinteresse mostrato dalle aziende dinanzi alle lamentele della Rete, oggi restiamo perplessi e interdetti di fronte a quella che ci appare una tendenza sempre più frequente: il #SocialCare a tutti i costi, come se non si fosse mai vissuti senza. Dalla noncuranza assoluta al «dove vai se il Social Care non ce l’hai», al ‪#‎celoanchio. Una nuova moda: «dobbiamo far così anche noi perché tutti lo fanno». Un atteggiamento trendy: che abbatte di parecchie decine di punti i costi del Customer Care.

Social-Care-BannerNon c’è quasi azienda che non abbia ormai un account Twitter dedicato: che non ostenti un [presunto] canale social riservato all’assistenza clienti online, cui s’invita con sorrisi a 32 denti perché «non vediamo l’ora di rispondere alle vostre richieste!». Ma si fa poi vera assistenza al cliente, tale o potenziale? Si fa vero #SocialCare?
I fatti ci spingono a rispondere «no». Non sempre almeno.
In questo infarcirsi di termini in voga, occorre fermarsi e chiedersi allora: che cos’è il #SocialCare? E, anzitutto, è “solo” assistenza clienti tradizionale, traghettata online via social?

No. Social Care è comunicazione: ascolto, caring del cliente-utente in ogni sua interazione col Brand. L’engagement si fa unico divenendo problem solver del network a 360 gradi, per tutti i “problemi” degli utenti: di servizio o di pura conversazione.
«Understand them, THEN reply». L’«assistere» si dà solo «comunicando», la «comunicazione» si interrompe se non «assiste. Un circolo ermeneutico virtuoso che rende nuovamente decisivo il ruolo del Community Manager, se lo comprende.
Dialogo, ascolto, comprensione, comportamento conseguente, risposta coerente: così si declina il #SocialCare, dispiegandosi tra assistenza “pura” e “allargata”. «Un Vangelo effettivamente seguito dalle aziende?», ci siamo chiesti. E per tanti casi che a quest’appello proprio non rispondono, c’è invece chi mostra atteggiamenti esemplari, assumibili a casi di scuola.
Mercoledì 12 febbraio. Il quotidiano La Stampa lancia il seguente post: «Amanda #Knox su #Twitter pubblica una sua foto con il cartello “Siamo innocenti” http://ow.ly/txlFQ E intanto le parodie si moltiplicano a scissione multipla #Amandameme. Mettiamo a vostra disposizione la base per fare la vostra». E vai con la foto di Amanda munita del cartello suddetto.

Apriti cielo. «Mettiamo a disposizione la base per fare la vostra? Ho letto bene???», si chiede subito la Rete. Da chi – specie sulla Pagina Facebook de La Stampa – va sul tecnico sostenendo che le attuali funzionalità di Fb neppure consentano una «modifica» del genere, allo sdegno ben più risentito di chi contesta che proprio una testata giornalistica, incaricata di fare informazione, inciti a comportamenti ridicoli su una faccenda tanto seria.
Un attimo ed è flame: #EpicFail, come la Rete tanto ama dire, crocifiggendo a manetta – non di rado tuttavia pregiudizialmente – le aziende che sbagliano su social. Cosa fare, per il Brand messo a questo punto in croce, a torto o ragione? Ignorare? Reagire rispondendo a tono? Discutere col rischio di “litigare”? Giustificarsi?
Nulla di tutto questo. O meglio, un sano mix. Non chiudersi al dialogo. Ascoltare, comprendere le ragioni del network. Capire se ci sia un fondo di verità nelle diverse rimostranze e regolarsi di conseguenza. E poi, solo poi, rispondere: in modo coerente con l’atteggiamento scelto.
«È stato cari­cato un post — con foto — con degli errori», spiega Pier Luca Santoro, Social Media Editor de La Stampa, in un articolo ove ricostruisce l’accaduto. «A causa dell’errore si sta­vano gene­rando una serie di cat­tive inter­pre­ta­zioni che ali­men­ta­vano un dibat­tito viziato dallo stesso. Ho quindi deciso di far rimuo­vere il post in que­stione», e di «spie­gare e met­terci la faccia».

Social carePoco dopo la pubblicazione, infatti, il post incriminato viene eliminato e si pubblicano “scuse consapevoli”: con tanto di nome e cognome. «Abbiamo cancellato il post su Amanda Knox che era stato caricato con degli errori», si legge sulla Pagina Facebook della testata. «Mi scuso personalmente. Il social media editor Pier Luca Santoro».
Non entriamo qui nel merito della correttezza o meno del primo post, delle spiegazioni fornite, del comportamento tenuto. Conta anzitutto notare come il “pentalogo” del #SocialCare sia stato posto in opera con maturità e naturalezza. Di fronte a commenti anche molto pesanti, si è scelto il coraggio del dialogo: a testa alta, ma in grado di “abbassarsi” per ascoltare le proteste del network. Ci si è fatti un esame di coscienza e, compreso l’errore, si è scelta una strada precisa per rimediare, senza nascondersi né cedere a provocazioni: scusandosi, ma senza umiliarsi. E si è risposto di conseguenza, mettendosi in gioco personalmente.

La Rete ha premiato. «Non avevo letto il post errato ma apprezzo davvero molto questa ammissione con relative scuse», si risponde subito: «chissà che possiate fare da apripista!». Un altro: «Tanto di cappello per aver ammesso l’errore ed averci messo la faccia. Dott. Santoro, lei è un professionista!». E di fronte a chi torna a cercare la rissa, si mantiene il punto: «Si invitano i lettori a rispettare le regole di dialogo della community così da consentire un rispettoso e costruttivo confronto». Don’t feed the troll!

«Met­terci la fac­cia e rispon­dere, dia­lo­gare aper­ta­mente con il pro­prio pub­blico di rife­ri­mento è essen­ziale», conclude Santoro. E non si può che concordare. Non è dato sapere se e quanto i lettori de La Stampa siano aumentati in seguito. Ma uno certo l’hanno guadagnato. L’utente che scrive: «Gra­zie per aver rispo­sto, è la prima volta che un gior­nale web risponde ad un post. Lo leg­gerò, grazie». In quel «grazie» c’è la tua ricchezza. Vuoi vendere? Aiuta.

 

 

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