«Sei su Facebook?». Domanda ricorrente da un po’ di anni a questa parte, che sentiamo farci o facciamo di continuo quando conosciamo qualcuno. Domanda sempre di attualità: ma in un senso maturo, più evoluto rispetto a un lustro fa. Sui social, infatti, si va ora con una mission, un impegno preciso: tutti «felici e connessi», ma per risolversi beghe più che per chattare con l’amico.
Questo emerge dall’ultima ricerca di Sprout Social, «The Sprout Social Index», su «Engagement e Customer Care», condotta su oltre 20.000 account di aziende su Facebook e Twitter e più di 160 milioni di messaggi scambiati. A saltare immediatamente occhi è l’«impennata drammatica dei messaggi diretti alle aziende» nel 2013. «Impressionanti livelli di crescita», si commenta, con aumento massiccio della presenza social dei clienti, in termini di numerosità di account e engagement con i brand, incremento imponente delle richieste di assistenza online, conseguente pressure, «pressione» non più facilmente gestibile sulle aziende, in parte comprensibilmente impreparate a smaltire una simile ondata nonostante il miglioramento delle performance in assoluto.
Dal terzo trimestre 2012 Twitter è cresciuto del 44%, passando da 151 milioni di utenti attivi su base mensile a 218. Facebook è salito del 17%: 1,15 miliardi di utenti attivi mensilmente rispetto ai precedenti 955 milioni. Un totale di circa 250 milioni di nuovi utenti attivi: un tasso di crescita di circa il 20% della base complessiva dei due social network, che tocca la cima di «oltre 1,4 miliardi» di utenti attivi e connessi a livello globale. «Più impressionante ancora» però «è la rapida evoluzione dell’attività brand-to-consumer», del rapporto cliente-azienda. Che fa tutta questa gente sui social? La scoperta – o la conferma – è che non sta lì per “chiacchierare” e basta. Non è sbarcata su social per puro “cazzeggio”: almeno, non solo per questo. Sempre meno ci si apre un account per chattare con l’amico, aggiornare lo stato: sempre più per contattare i brand, «per assistenza, lamentele, reclami».
Il fenomeno è sotto i nostri occhi. Fatevi un giro fra i nuovi follower, o «fan», delle aziende. Sconvolgente la quantità di account che, al posto della foto, hanno ancora il classico “uovo” degli step iniziali su Twitter, non sono seguiti da nessuno e seguono solo te (e magari i competitors). Idem per Facebook. Esistenze davvero virtuali, che si fanno drammaticamente reali appena iniziano a tempestarti di richieste. E lo fanno subito: sono lì apposta.
«In maniera davvero sorprendente l’indice mostra un aumento del 175% nei messaggi inviati via social alle aziende»: messaggi che richiedono «risposta, attenzione». Questo «sbalorditivo tasso di crescita – 9 volte più veloce della crescita dei network stessi – riflette uno spostamento preciso del paradigma del business su social».
Ecco la vera svolta: il consumatore non prende più carta e penna, fax o raccomandata, ma va su social: e non smette di interagire finché non vede soddisfatte le proprie ragioni. «Prima queste comunicazioni passavano per il telefono o l’email», si ricorda. Ora i new media offrono alle aziende una possibilità decisiva per soddisfare le esigenze dei clienti, pur «su un canale tanto pervasivo».
Troppo, forse, per chi solo da poco è sceso in campo social e con fatica lotta per star al passo coi tempi. «La capacità delle compagnie di tenere il ritmo di queste richieste è in discesa». Sta calando ora che sono «sotto pressione», sotto il peso di un martellamento ben più intenso dell’abilità, pur in fase di relativa acquisizione, a gestire le domande dei clienti. «Quanto più i clienti si trovano bene nell’usare i social media per assistenza, tanto più crescono le loro aspettative di una risposta esaustiva in real time dalle aziende. Peccato che il tasso di risposta, in quantità e tempistiche, sia peggiorato». Il response time è passato da 10,9 ore a 11,3. Il response rate è sceso sotto la soglia del 20%: tradotto, almeno 4 clienti su 5 non ricevono risposta alle richieste inoltrate. Una situazione che, come non sarebbe tollerabile via telefono o email, tantomeno lo è su social, nel mondo always on: dove il feedback lo si aspetta in meno di un’ora.
La buona volontà invero si sarebbe già manifestata: stando al report di Econsultancy, nel 2013 il 62% delle compagnie avrebbe investito maggiormente su social media e, in particolare per il 38%, su sistemi specifici di Social Media Management. Ma non basta. Dinanzi alla “onda anomala” si è creato un «drammatico disallineamento rispetto alle aspettative. Né si evidenziano segnali di miglioramento».
Soluzioni?
Serrare i ranghi: rafforzarsi, procedere a una “cura ricostituente” che ingrossi la corazzata del social customer care per muoversi adeguatamente nel nuovo scenario. Investire sul canale e sulle risorse, aumentare e formare lo staff dedicato, scegliere tool di gestione adatti alla gestione delle emergenze. «Riorganizzarsi», «riorganizzare» l’assistenza clienti come «Social Care».
Saper scegliere: contestualmente, selezionare. Comprendere che, nell’emergenza, non è possibile rispondere a tutti e che, dunque, occorre saper individuare chi ha davvero, o maggiormente, bisogno di aiuto, scremando da chi viceversa vuol solo far perdere tempo, con lamentele insistenti ma fini a se stesse, per il gusto della polemica e non per reale necessità.
Si è visto infatti che, se le aziende con un network più ampio rispondono a un minor numero di domande, lo fanno però più velocemente. Chi ha un seguito più ristretto tende a rispondere a tutti, ma in maniera inevitabilmente più lenta. Tra questi “tutti” possono anche esserci troll: richieste postate solo perché si cerca la rissa, non perché si richieda soluzione a un autentico problema. I troll non segnaleranno mai in privato le loro difficoltà coi propri dati: non hanno bisogno di aiuto, creano solo rumore. Un noise che fa numero, ma inconsistente: don’t feed the troll. Non disperdere energie: concentrati su chi realmente esige attenzione, mettendo da parte per un po’ response rate, response time e tutti i vari indicatori numerici. Lì si avrà la vera customer satisfaction: mostrando di sapere che davanti si hanno persone, non numeri. «Ti calcolo, non ti conto»: non conto te, conto su di te.
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