Telecom Italia e il piano industriale di minoranza

Non capita spesso che gli azionisti di minoranza presentino un piano industriale triennale. E’ però successo recentemente con il documento presentato dal gruppo Findim sul piano Telecom Italia, in vista del rinnovo del Consiglio di Amministrazione previsto per metà aprile.

TelecomPiù che un piano prospettico si tratta innanzitutto di un’analisi storica comparata rispetto ai principali incumbent europei e, non a caso, il documento parte dalla rappresentazione dell’andamento dell’indebitamento (con indicazione del management protagonista dei differenti periodi), che tocca il picco con la fusione TIM del 2005. Negli ultimi cinque anni le performance di Telecom Italia sul mercato domestico rispetto ai principali concorrenti risultano peggiori per quanto concerne lo sviluppo del fatturato e dei servizi più innovativi, ma alla fine si dimostra comunque in grado di generare la maggiore marginalità e quindi…

I mali di un Paese. Dal 2005 una lunga serie di piani, inevitabilmente, al servizio del debito, con conseguenti razionalizzazioni e cessioni, che ha portato oggi a focalizzarsi su due soli  Paesi: Italia e Brasile, il vecchio e il nuovo mondo. In sintesi, un’azienda che ha ereditato i mali del Paese, a cominciare dal suo debito, creato da altre generazioni e diventato onere per le generazioni future. Per entrambi, la sfida è tornare a crescere.

L’organizzazione.  La proposta presentata da  Findim prevede tre  business unit sostanzialmente autonome: fisso, mobile, servizi (intesi come ICT e Digitale, al servizio, ma non solo, delle altre business unit). In sostanza, un ritorno al passato, per concentrarsi sugli specifici problemi e opportunità, senza escludere joint venture e altre forme di partnership, mentre è ovviamente tramontato il tempo delle grandi acquisizioni.

Fisso. Si parte evidenziando l’ancora ridotta incidenza dei ricavi da banda larga, ma va ancora una volta ricordato come il mercato italiano della banda larga fissa, sconti innanzitutto il ritardo nell’alfabetizzazione informatica, ma anche l’elevata incidenza delle famiglie senza linea fissa. Neutralizzando questi due effetti scopriremmo che Telecom Italia ha fatto più o meno quanto gli altri “pari”, con una quota di mercato tuttora elevata (problema lamentato naturalmente dagli operatori alternativi…). Se poi aggiungiamo il differenziale di PIL pro capite… Riguardo poi al valore dei clienti, l’Italia ha definitivamente perso la costosa partita dei servizi triple play (voce, Internet, TV) e deve quindi inventarsi un modello originale, trovando un equilibrio con i nuovi fornitori di contenuti (i famelici Over The Top o altri più tradizionali). Riguardo infine alla necessità dell’accelerazione degli investimenti nella rete di nuova generazione si tratta di un atto dovuto molto chiaro al management (anche quello passato), con qualche dubbio sui tempi di migrazione alle soluzioni più avanzate. Sarebbe ottimale arrivare rapidamente ad uno switch-off tecnologico, ma il nodo chiave è il ritorno degli investimenti a fronte di una domanda che presenta caratteristiche peculiari, a prescindere dalla bontà dell’offerta.

4GMobile. Lo scenario del mobile è sicuramente diverso, con sullo sfondo la possibilità di partecipare al processo di consolidamento europeo. Il piano lamenta addirittura una partenza troppo veloce degli investimenti nella rete 4G, non adeguatamente sfruttata, ma per il vero tutto è accaduto in 12 mesi e lo scenario cambierà molto rapidamente già nel corso del 2014. La discontinuità tecnologica apre oggettivamente il campo sia a razionalizzazioni tecniche che a nuove opportunità per veicolare contenuti a valore aggiunto (molti dei quali saranno poi gratuiti e diventeranno elementi di differenziazione). A maggior ragione in un mercato così volatile come il mobile (tassi di churn tuttora elevatissimi), la sfida rimane  la conquista, e il mantenimento, dei clienti a maggiore valore, sfruttando quello che sarà lo switch-off nativo dei prossimi anni, vale a dire la migrazione verso gli smartphone e, implicitamente, un peso sempre maggiore dei servizi dati. Sommergere gli italiani di dispositivi intelligenti sembra la ricetta implicita, che diventa tra l’altro una modalità di definitiva inclusione digitale. La convergenza fisso-mobile viene un po’ messa in disparte, anche se può offrire vantaggi nella fidelizzazione, ma con dubbi amletici sulla riduzione del valore.

Servizi. Più scontato, più complesso. Si tratta delle attività legate all’ICT e alla rivoluzione digitale. Sulla carta di tutto, di più, alla ricerca di nuove fonti di crescita su un mercato che è iper-competitivo e con margini ridotti. Tra l’altro, al di là dell’effettiva presenza di nuclei di competenze interne (nel perimetro ci sono ancora Olivetti, le attività di Matrix, un centro di competenza sul M2M, etc…) sembra inevitabile ipotizzare alcune operazioni straordinarie esterne. Telecom Italia si può certamente candidare a diventare il polo digitale nazionale. Pensare che Finsiel è stata ceduta nel 2005…

Sintesi? Molte delle indicazioni fornite sono sensate e ben note alla maggior parte del management, che però deve continuare ad operare nell’alveo delle attuali risorse. Rimettere effettivamente in discussione il piano attuale non può però prescindere da un ripensamento dell’assetto finanziario.

A Barumini, un’anziana guida mi spiegò che per costruire un nuraghe ci vogliono anni e sudore.

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