WSD – Help!

“And now my life has changed in, oh, so many ways (my independence)
My independence seems to vanish in the haze (but)
But every now and then I feel so insecure (I know that I)
I know that I just need you like I’ve never done before “
(“Help!”, 1965)

help-wantedNon c’è bisogno nemmeno di citare le fonti, quando si tratta di “Help!”.
La canzone risuona nella testa di chiunque, nella mia dice anche “l’album di Yesterday”.
Ecco, vorrei lasciare che il grido mantenesse l’inglese anche quando lo facciamo camminare nel tempo del lavoro. Funziona meglio.
Dovremmo avere tutti il cartello HELP!, da alzare in certi momenti della vita lavorativa. E dovremmo sapere tutti che, questa possibilità che abbiamo, è anche degli altri.
C’è sempre un momento HELP, in un ufficio, e spesso non ha a che vedere con i sovraccarichi di lavoro bensì con lo stato in cui talvolta ci troviamo senza rendercene nemmeno conto.
Il lavoro va in continuità con la vita privata ed è molto difficile, se non semplicemente sbagliato, separare le esperienze, come se ciò che accade “fuori” non influisse su quel che avviene “dentro”. In questa suddivisione, che è spaziale e temporale (quindi importante), non possiamo dimenticare che noi, poveri esseri umani, siamo un’unità di spazio e tempo. La conteniamo.
In virtù di ciò, portiamo il nostro corpo in casa o in ufficio: cambia lo spazio e il tempo esterno, restano immutati quelli interni.

Tenere conto di questa unità che siamo, aiuta noi e il nostro gruppo di lavoro a comportarci con rispetto verso noi stessi e verso gli altri.
Ci sono momenti difficili perché la vita è complicata. Quella privata, mi auguro per tutti, è più complicata di quella lavorativa (dove a un certo punto le variabili sono le stesse, quasi sempre). In questi momenti, si deve tirare fuori il cartello HELP!. Gli altri lo vedono, e ne tengono conto.
Però il cartello HELP! ha le sue regole. Poche ma fondamentali:

  1. Non necessita dettagli. “Rovesciare” sui colleghi le sfaccettature delle nostre difficoltà momentanee è un appesantimento non necessario. Noi, magari, ci sfoghiamo, ma i nostri colleghi diventano rapidamente un contenitore di vite altrui con il doppio rischio di tenerceli lontani (perché “siamo pesanti”) o di vederceli troppo vicini (perché sanno tutto di noi).
  2. Non si tira fuori sempre. Ci sono priorità e bisogna saperle riconoscere. Chi ha un HELP a settimana e ritiene di doverlo tirare fuori, ha un problema più ampio con la propria vita privata e questo problema si declina solo in mille HELP! Se siamo il collega perennemente in HELP!, a lungo andare diventiamo inaffidabili per il gruppo e questo è un macro HELP! per l’azienda.
  3. Si accoglie un HELP!, non lo si analizza. Questa regola vale perché ci sono la 1 e la 2. Non serve, in un’azienda, che si apra il dibattito su come risolvere l’HELP! privato. Sta ai singoli, eventualmente e se hanno soluzioni pratiche (pratiche, non psicoterapie da supermercato, che rischiano di fare danni), entrare nel merito.
  4. Si dichiara la fine dell’HELP! Fondamentale, questa regola. Non possiamo aspettarci che gli altri comprendano quando ne siamo fuori perché chiederemmo un impegno di sensibilità troppo alto che non spetta ai colleghi. Spetta al nostro partner, ai nostri amici, alla nostra famiglia. Ai colleghi, no.
  5. L’HELP! ha un tempo. Questo tempo non è dato. Dobbiamo darcelo da soli.

Ora torniamo alle nostre scrivanie.
Abbiamo il cartello HELP! e lo trattiamo come un’opportunità in più per stare meglio.
Come tutte le opportunità, più è rara, più funziona.
Ma sta lì, tranquilli.

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