La legge si fa social: il caso UK

«Eppur si move». No, certo, non Italia. In Gran Bretagna bensì, patria del Diritto. Lì, forse, qualcosa sta muovendosi davvero verso una prima regolamentazione giuridica di quella che, attualmente, è la “prateria” del mondo web & social. E si sta muovendo proprio, non a caso, nella direzione più urgente: quella dei troll.

In generale da sempre e, in particolare, la scorsa settimana puntavamo il dito contro «la legge (che manca) nel Social Care»: rivendicando l’esigenza di «una nuova filosofia del diritto», un’attività giurisprudenziale mirata sulla Rete in grado di garantire anche qui la necessaria democrazia, l’improrogabile organizzazione del sistema in base a norme che impediscano trasfigurazioni genetiche in anarchia, demagogia, dittatura. O anche “solo” chiedendo – qui sta poi l’altro decisivo interrogativo – che qualcuno si prenda finalmente la briga di mettere nero su bianco la validità – magari opportunamente riadattata al contesto social – delle leggi già esistenti, con tutto il pacchetto di reati e sanzioni, di Codice Civile e Penale. Potrebbe esser ancora vero quanto cantava Dante nel XVI del Purgatorio: «le leggi son, ma chi pon mano ad esse?».

Mentre così invocavamo quella che in ogni caso resta l’urgenza primaria – una formazione che parta dalla scuole e continui per la vita, per una nuova «educazione civica digitale» – abbiamo appreso una notizia davvero interessante. Dal Regno Unito parte l’offensiva del governo contro i troll. «Due anni di carcere per chi offende»: questa la proposta del Guardasigilli Chris Grayling contro chi su social media «offende oltre ogni misura». «Quattro volte tanto» la pena attualmente in vigore, che prevede solo sei mesi: contro chi ormai Grayling definisce senza mezzi termini i «cani arrabbiati matti del cyber-spazio».

Non sono solo parole: la mozione rientra nel pacchetto di riforma della giustizia che sarà votato in Parlamento. E che, con tutti i casi di sofferenza delle vittime su Internet balzati di recente in cima alle cronache britanniche, fa sperare che la proposta diverrà presto legge.

Uno stacco di passo davvero notevole. Non solo si dà prova della volontà di colpire realmente i delinquenti online, che «spargono veleno» per il puro gusto di ferire, nell’auspicio così di arginarne finalmente il fenomeno, non più sostenibile né per le aziende né anzitutto per i singoli individui. Più ancora, globalmente, si mostra la volontà precisa di porre o ri-porre leggi e regole in un campo ancora tutto da arare sul piano del diritto. Le attuali norme risalgono, nientemeno, a dieci anni fa.

Vero è che c’è voluto, appunto, un caso di cronaca particolarmente pesante, e amplificato dai media, perché si giungesse a tanto. Circa dieci giorni fa Chloe Madeley, la figlia dei presentatori tv Richard Madeley e Judy Finnigan, è stata vittima di un deprecabile episodio di “trollismo”, ai limiti di un vero e proprio cyber-bullismo, per aver difeso le affermazioni della madre circa uno stupratore, Ched Evans, scarcerato dopo aver scontato solo metà dei 5 anni previsti dalla sentenza di condanna per aver stuprato una 19enne. La Finnigan aveva stigmatizzato l’accaduto: come se il crimine commesso non contasse nulla semplicemente perché Evans non era stato così violento da procurare danni fisici particolari alla vittima. Chloe era intervenuta a sostenere le affermazioni materne, ma l’ha pagata cara: la Rete le si è rivoltata contro sino a arrivare a minacce di stupro.

Chloe-Twitter

«Come mostra il terribile caso di Chloe Madeley, la gente è sempre più vittima di abusi online, nella forma più cruda e degradante per la propria dignità», ha dichiarato al Mail on Sunday Grayling. «Nessuno permetterebbe che, a una persona fisica, si buttasse addosso tanto fango: perciò non ci deve essere più spazio alcuno per questa gente neppure su social media. Dobbiamo inviare un messaggio chiaro: se fai il troll, rischi il carcere per due anni. Perciò siamo così determinati a quadruplicare la pena».

L’illusione dell’anonimato spinge i troll verso il sadico piacere di attaccare gli altri, nella falsa idea che l’attacco non sia “realmente reale”. Mentre lo è eccome. «Questi sono vigliacchi che avvelenano la nostra vita nazionale», ha tuonato Grayling. Ecco l’urgenza di porre mano al diritto, di porre nero su bianco che online e offline su questo piano pari sono (se non è persino peggio l’online, in quanto amplificatore) e che leggi – da riscrivere, da reinventare o anche solo da applicare – rappresentano la priorità.

Anche in Italia i legislatori dovrebbero iniziare a porsi gli stessi interrogativi. Col nodo di base da sciogliere: ricorrere a «leggi speciali per il web» o semplicemente specificare – una volta per tutta però – che come la diffamazione offline è già perseguibile e sanzionabile, altrettanto lo è e deve esserlo quella online?

Sarebbe già tanto, nel frattempo, se si cominciasse non solo a professare il principio #StopWebViolence, ma a comprendere la necessità di metterlo in pratica. Web e social non sono buoni per natura. Sono strumenti: usati anzi – verrebbe da dire – sempre peggio. Urgono strumenti di autotutela. Prima che anche in Rete partano ronde di «giustizieri della notte».

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Digital Strategy R&D Consultant, Public Speaker, Lecturer, Coach, Author. Honoured by LinkedIn as one of the Top 5 Italian Most Engaged and Influencer Marketers. #SocialCare, «Utility & You-tility Devoted», Heart-Marketing and Help-Marketing passionate theorist and evangelist. One watchword - «Do you want to Sell? Help! ROI is Responsibility, Trust» - one Mission: Helping Companies and People Help and Be Useful To Succeed in Business and Life. Writer and contributor to books and white-papers. Conference contributor and Professional Speaker, guest at events like SMX, eMetrics, ISBF, CMI, SMW. Business Coach and Trainer, I hold webinars, workshops, masterclasses and courses for companies and Academic Institutes, like Istituto Tagliacarne, Roma, TAG Innovation School, Buzzoole, YourBrandCamp, TrekkSoft. Lifelong learning and continuing vocational training are a must.

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