Elegia del fare. 5: l’AgID

Quella appena terminata è stata la settimana che mi piace definire come “spartiacque”: con la pubblicazione dell’elenco delle oltre 10.000 pubbliche amministrazioni inadempienti rispetto alla trasmissione all’AgID dell’elenco delle basi dati gestite, così come loro imposto dal DL 90/2014, inauguriamo una nuova era. Quella del “#sapevatelo”, possiamo definirla così.
Mettiamo in piazza la biancheria sporca, se serve. E che tutti sappiano chi non comunica cosa a chi.
Perché saranno almeno 15 anni che qualsiasi adempimento richiesto alle PA in materia digitale finisce così: un sacco di amministrazioni non rispondono, “perché tanto cosa vuoi che ci facciano anche se siamo inadempienti”.

gognaVa dato atto ad Alessandra Poggiani di aver rotto quel meraviglioso incantesimo del “machissenefrega”: quantomeno, adesso, tutti quelli che ne hanno voglia possono andare a leggersi l’elenco dettagliato degli inadempienti.
Ed è anche molto bello constatare i primi effetti di questa piccola “gogna mediatica”: precisazioni, comunicati, giustificazioni, persino qualche promessa di “ravvvedimento operoso”.
Perché adesso, le chiacchiere devono stare a zero. E gli alibi sono finiti.
E il “fare” è anche questo: dare evidenza di chi “non fa”.
Perché se davvero questa è la volta buona (e tutto fa pensare che lo possa essere, salvo sgradevoli sorprese e smentite), insistere col gioco del “ma cosa vuole sapere di noi l’AgID?” non fa bene a nessuno.
Peraltro, che si vada incontro a una fase “a fortissima regia centrale” è evidente a tutti. La “multilevel governance” non ha mai funzionato, non può funzionare e non funzionerà mai.

La raccolta delle informazioni sulle basi dati e sul parco applicativo delle PA italiane era (e continua ad essere) un’attività fondamentale, a partire dalla quale AgID sarà in grado di prendere decisioni consapevoli. A partire dal piano di razionalizzazione dell’infrastruttura IT, ma non solo.
Il ragionamento non fa una piega, salvo che non si voglia accettare un modello in funzione del quale avremo il “12.000 di tutto”: dodicimila portali, dodicimila anagrafiche, dodicimla piattaforme di pagamento, eccetera.
Forse, non ce lo possiamo permettere. Anche se per assurdo fosse un approccio sensato (e non lo è!), diciamo che abbiamo qualche piccolissimo problema di cassa per poterci permettere il lusso del “faccio come mi pare”.
Peraltro, se c’è una norma che impone alle amministrazioni di comunicare qualcosa all’AgID, non si capisce perché prenderla sottogamba. Anche perché, in mezzo a tanta confusione, una cosa è certa e sta scritta in Costituzione (art. 117): il coordinamento “informativo e statistico” (compreso il tema centrale dell’interoperabilità del dato) è una funzione assegnata in via esclusiva allo Stato.

Da più parti (e compreso il sottoscritto), da tempo si dice che è fondamentale scrivere un piano industriale per l’agenda digitale. Dove, ribadiamo, “agenda digitale” non significa solamente “digitalizzazione della PA”.
Ottimo.
Ma come ben sappiamo, non è possibile scrivere neppure la prima pagina di un qualsiasi piano industriale in assenza di una completa ed esaustiva conoscenza della situazione “di partenza” (“as is”, come dicono quelli bravi).
Ecco quindi che operazioni di raccolta di dati come quella di cui stiamo parlando qui ora saranno sempre più frequenti. E non ci si può permettere di tirarsi fuori, di dire che “non avevamo tempo per compilare il questionario”.

Ben vengano, quindi, le liste di proscrizione.
E complimenti all’Agenzia: avanti così. E teneteci aggiornati sui (speriamo numerosi) ravvedimenti operosi.
Il sogno (perché sognare aiuta a vivere meglio, come dice giustamente Marzullo) è che prima o poi si possa leggere un decreto che fissa un obbligo per le amministrazioni e contemporaneamente stabilisce la sanzione per smemorati e obiettori digitali.

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