Pubblico-privato, centro-periferia: una questione da troppo tempo irrisolta

 Bisognerebbe rendere tutto il più semplice possibile, ma non troppo semplice.

 Albert Einstein

 

Il dibattito sulla promozione dell’innovazione digitale nel Paese e in particolare nelle amministrazioni pubbliche (ma non solo) si è negli ultimi giorni ulteriormente infiammato per due diverse questioni:

  • L’approvazione dell’emendamento di modifica dell’art. 117 della Costituzione circa la ripartizione tra Stato, Regioni e enti locali delle competenze in materia di sistemi informativi pubblici.
  • Il dibattito mai sopito e strisciante sul bisogno e sull’opportunità di avere società pubbliche di informatica che sviluppino le soluzioni di cui le amministrazioni pubbliche hanno disperatamente bisogno.

publicQuesti temi riemergono sulla scia di problemi mai risolti che continuano a piagare il nostro paese. Da un lato una frammentazione, duplicazione, scarsa usabilità e efficacia, incoerenza e a volte incompatibilità delle soluzioni digitali sviluppate a livello centrale e locale. Dall’altro,realizzazioni delle imprese private che non appaiono allineate alle aspettative e alle esigenze delle amministrazioni italiane e, più importante, della società civile nel suo complesso.

Dal combinato disposto di queste due criticità, sempre più spesso nasce una tentazione sbagliata e, soprattutto, controproducente.

“Accentriamo tutto e gestiamo lo sviluppo dell’informatica  e del digitale con aziende pubbliche.”

In altri termini, spesso interpretiamo— o corriamo il rischio di interpretare — in modo sbagliato due tensioni che costituiscono le dimensioni secondo le quali modulare una strategia di intervento pubblico in tema di innovazione digitale:

  1. Dimensione 1: rapporto pubblico-privato. Cosa deve fare il pubblico e cosa invece va lasciato al mercato (privato)?
  2. Dimensione 2: rapporto centro-periferia. Cosa deve essere fatto dalle strutture centrali dello Stato e cosa da quelle regionali/periferiche?

Sono due “dilemmi” che non possono essere risolti in modo semplicistico, ma devono essere invece affrontati con grande attenzione e, per quanto possibile, con precisione di ragionamento.

Il rapporto pubblico-privato

A mio modesto avviso, il ruolo del pubblico deve essere sussidiario, di indirizzo e stimolo, ma non sostituivo di quello dei privati. È una affermazione fin banale, ma credo sia lo snodo essenziale da cui partire.

Che significa nello specifico? Provo a riassumere in modo sintetico i punti per me chiave (nel campo del digitale):

  • Il pubblico deve definire in modo chiaro vision strategica, missione e modalità di intervento in tema di innovazione digitale.
  • Il pubblico deve definire standard, architetture di riferimento e regole tecniche che garantiscano armonizzazione e interoperabilità(es., le regole tecniche di SPC e SPID).
  • Il pubblico deve indirizzare e regolare l’azione delle proprie articolazioni amministrative e istituzionali centrali e locali, raccordandole con quelle private (il mercato) per garantire sinergia e convergenza.
  • Il pubblico deve saper progettare le soluzioni di cui ha bisogno, sia dal punto di vista funzionale che da quello organizzativo e istituzionale.
  • Il pubblico deve definire strategie di procurement pubblico che da un lato garantiscano lo sviluppo di soluzioni efficienti e di qualità e, dall’altro, stimolino in modo positivo e competitivo il mercato. Di certo, non deve comprare soluzioni e servizi digitali al massimo ribasso come se fossero commodity.
  • Il pubblico deve intervenire nelle aree a fallimento di mercato per garantire il livello minimo di servizi a tutti i cittadini, a tutte le imprese e a tutte le parti del territorio (es., interventi per la banda larga e ultra larga nelle aree a fallimento di mercato).
  • Il pubblico deve governare in prima persona quelle infrastrutture ritenute critiche/strategiche dal punto di vista della sicurezza del Paese (es., i sistemi di comunicazione della Difesa).

In questo senso, non è utile continuare ad evocare la creazione di società di informatica pubbliche che “rimedino” agli errori del mercato.

Spesso il mercato “risponde male” perché chi compra, compra male! 
Come sono fatti tanti capitolati di gara? Come sono svolte le procedure di gara e di aggiudicazione? Come sono gestiti i contratti e, in particolare, i collaudi? 
È soprattutto chi compra che definisce l’asticella e la qualità del rapporto cliente-fornitore (non solo, ma certamente primariamente!).

L’esperienza degli scorsi decenni non fa che dimostrare che veracompetizione e vera concorrenza sono le migliori armi per garantire qualità. Un monopolista pubblico che operasse in un mercato “artificiosamente” mantenuto captive potrà mai garantire risultati di qualità? È una illusione che periodicamente ci perseguita e che sembra rinascere nonostante tutte le esperienze negative del passato.

Il pubblico faccia bene il suo mestiere senza l’ambizione di sostituirsi a mercato e concorrenza. E, soprattutto, garantisca che il mercato sia vero mercato e che la concorrenza sia vera concorrenza.

Il rapporto centro-periferia

italiaIl secondo dilemma è costituito dall’irrisolto rapporto tra strutture centrali dello Stato e sue articolazioni regionali e locali. È indubbio che una interpretazione distorta e fallimentare della decentralizzazione ha portato ad una sostanziale anarchia realizzativa (e conseguente spreco di risorse pubbliche), senza per questo ottenere quel miglioramento dei servizi che tutti auspicheremmo.

Sostituire a questa anarchia una nuova forma di centralizzazione “a prescindere” costituirebbe un aggravamento del problema e non certo una sua soluzione, per due ordini di motivi:

  1. Operativi: non si passa da un modello distribuito ad un centrale in modo semplice, sia per motivi tecnici che organizzativo/istituzionali. È una transizione che comunque va studiata e pianificata con attenzione.
  2. Strategici: non è detto che tutto debba essere replicato in periferia, ma non è nemmeno vero che tutto debba essere necessariamente portato al centro.

Nota: uso i termini “centro” e “centrale” in riferimento all’aspetto amministrativo-istituzionale, non a quello tecnico del cloud o dell’informatica “al tempo di Internet”. Possono esistere soluzioni “locali” gestite tramite architetture cloud.

Certamente, non ha senso replicare su Internet, e in generale nel mondo digitale, i confini e le divisioni tipiche del mondo “fisico”. Che senso ha replicare su Internet i tanti sportelli territoriali per il lavoro, tutti uguali tra loro? E non è forse un diritto di tutti i cittadini godere dello stesso insieme minimo di servizi, indipendentemente dal comune, provincia o regione dove risiede? E ha senso replicare soluzioni sostanzialmente identiche solo per mere ragioni di potere o di interesse locale? Al tempo stesso, non si possono cancellare o ignorare specificità e giusti livelli di autonomia. Pertanto, è necessario definire dei criteri e dei principi in base ai quali gestire il rapporto centro-periferia.

In realtà, la storia dell’informatica ci ha già insegnato molto bene vantaggi e svantaggi dei diversi approcci e, conseguentemente, criteri guida da seguire nella distribuzioni di funzioni tra “centro e periferia”.

  1. Tutto ciò che è funzionalmente standardizzato e indifferenziato deve essere “tenuto al centro” (ripeto, in senso strategico prima ancora che tecnico). È più economico, è più sicuro, è più efficiente. È il caso, per esempio, dell’anagrafe dei cittadini.
  2. Tutto ciò che si differenzia in modo sostanziale da territorio a territorio può e deve essere sviluppato e gestito localmente. Per esempio, se dal punto di vista delle politiche e delle modalità di intervento i sistemi sanitari continuano ad essere definiti e gestiti a livello regionale con politiche e criteri gestionali differenziati, allora gioco forza anche i sistemi informativi dovranno essere specializzati a livello regionale.
  3. Devono comunque esistere servizi infrastrutturali che garantiscano interoperabilità e standardizzazione (vedi SPC e SPID, o il progetto E015, per esempio).

È quindi chiaro che l’assetto dell’informatica pubblica non può e non deve essere guidato da una cieca e stupida replica delle divisioni amministrative territoriali classiche. Il criterio deve essere il bisogno/necessità di differenziare a livello locale le soluzioni da mettere in campo, in quanto non riconducibili ad un’unica soluzione “centrale” universalmente accettabile.

Peraltro, qualunque sia la distribuzione di funzioni tra centro e periferia, è vitale che si garantisca piena interoperabilità tra i diversi sistemi informatici e una forte distinzione tra front-end e back-end. Ciò richiede che ogni sistema informativo offra API e servizi ai propri interlocutori pubblici e privati secondo standard tecnologici e applicativi condivisi (ecco quindi il ruolo di governo e indirizzo del Pubblico).

Quindi, che fare?

Ovviamente, come sempre, non è facile riassumere in poche righe strategie complesse di intervento su temi così delicati (per ulteriori considerazioni rimando chi fosse interessato ad un mio documento che analizza queste tematiche in modo un po’ più approfondito).

Alla fin fine, servono poche “semplici” (!) cose:

  • Chiarezza di idee: che vogliamo fare e, soprattutto, con quale visione politica e strategica?
  • Forte indirizzo politico e modello di governance: chi decide? chi coordina? chi indirizza? chi progetta? chi standardizza? quali autonomie? quando? per cosa?
  • Coerenza tra indirizzo politico, strategie, e scelte organizzative, tecniche e istituzionali: chi garantisce l’allineamento tra strategie, norme, leggi, e scelte tecnico-organizzative?
  • Competenze e professionalità adeguate: chi mettiamo a fare queste cose? con quali competenze?

Domande semplici, dopo tutto.

O no?

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