“Parole senza pensiero non arrivano in cielo” – Amleto Atto 3, scena 3
Sembra di vivere nella torre di Babele. Che sta succedendo? Tutti parlano, parlano, riempiono pagine di blog e colonne di giornali, rilasciano interviste e sgomitano nei dibattiti. Tutti coinvolti in una spirale immane di analisi per decifrare cosa accade, dove stiamo andando, quale futuro ci aspetta. E l’elenco potrebbe proseguire all’infinito. Parole, parole, parole ridondanti senza nessun contenuto, che evocano, nostro malgrado, come un mantra, l’omonima canzone di Mina (quella almeno ci darebbe un po’ di sollievo). Un vortice di banalità, di dati gestiti a proprio uso e consumo. Statistiche stravolte.
Un primo tassello. Continuiamo a parlare di PIL pur sapendo che con l’occupazione c’entra poco (lo scriviamo da tre anni), continuiamo a dire che il peggio è passato, che siamo fuori dal tunnel, che ci sono dei segnali di ripresa, ma due mesi dopo la osannata risalita siamo di nuovo in piena recessione. Stiamo avviando i giovani al mondo del lavoro, una moltitudine di start-up vorrebbe dimostrare il coraggio e la creatività dei nostri validi ragazzi che il mondo intero ci invidia, ma confondiamo il coraggio con la disperazione.
Una schizofrenia governata da chi? Da quella schiera di “soddisfatti”, quelli che hanno già tanto e vorrebbero ancora di più e millantano l’obiettivo di raggiungere gli standard di benessere dei paesi più avanzati. Come leggiamo nel vangelo di Matteo: “Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.” Una frase che ha dato origine, in sociologia, all’effetto San Matteo, un processo per cui, in certe situazioni, le nuove risorse che si rendono disponibili vengono ripartite fra i partecipanti in proporzione a quanto hanno già, cioè: i ricchi si arricchiscono sempre più, i poveri si impoveriscono sempre più.
E così sembra che abbiamo risolto il problema. E invece no. Non basta, non è solo l’effetto Matteo che ci sta governando, che spinge sempre di più i ricchi a crearsi il loro spazio e tutti gli altri a fare massa, numero, come fossero le figurine di un album. Uno scenario da film fantasy, un copione ormai consolidato in tante pellicole dedicate al futuro prossimo. Fantasy, badate bene, non fantascienza.
Sarebbe carino, intanto, scoprire e riflettere sul perché gli scrittori di fantascienza sono praticamente spariti lasciando il posto a quelli fantasy.
Facciamo un balzo indietro fino alla metà degli anni ‘60 quando impazzavano due serie di cartoni animati: gli antenati (The Flintstones) e i pronipoti (The Jetsons). Una serie ambientata nel passato e una nel futuro prossimo. Beh se guardate i Jetsons scoprirete che tutto quello che stiamo utilizzando oggi lì era descritto con grande precisione: dalle porte scorrevoli, ai droni, alla televisione 3d, al personal coach, ai cuochi robot, al social network ecc… (per inciso, uno studio di qualche anno fa stabiliva anche che di quelle idee solo una parte sono diventati prodotti di uso comune, quindi chi vuole lanciare una start-up dia un occhio a quei filmati). Big-data, outsourcing incluso.
Le tecnologie hanno visto tutte la luce, quello che non era assolutamente prevedibile, e premendo il tasto del rewind fa molto sorridere, sono i comportamenti sociali. Erano identici in un mondo pieno di hi-tech. Nessun tentativo di immaginare un’emancipazione della donna, nessun cambiamento nel rapporto impiegato-capo, una gerarchia asfissiante, nessun accenno a come un disabile poteva vivere in quella dimensione e neanche un appunto sulla diversità di genere. Figuriamoci sulla diversità culturale.
Risultato? Siamo da sempre stati bravi a capire e a prevedere l’arrivo di tecnologie, ma non abbiamo sviluppato nessuna abilità a capire gli stravolgimenti della società. Brutta storia. Quasi un film dell’orrore.
Mettiamo un altro tassello. Ognuno di noi nasce con un DNA biologico che ne identifica anche la sua evoluzione nel tempo rispetto al corpo. Un’impronta unica. Proviamo a immaginare se accanto ad un DNA biologico costruissimo per ognuno di noi un DNA culturale. Qualche cosa che ci identifichi in maniera univoca rispetto ai nostri comportamenti. Sembra utopia o fantascienza e invece è esattamente quello che sta avvenendo. Ogni nostro movimento, ogni nostro click, ogni nostro passaggio, ogni nostro acquisto (beni, servizi, medicinali), ogni nostra visita, ogni percorso, ogni link, tutto, qualsiasi cosa con cui entriamo in contatto acquisisce i nostri “dati” (e non invocate la privacy che ci scappa da ridere, qui si spiava il papa). Tutte queste cose portano a un’identificazione ad personam. La tecnologia permette di analizzare ed elaborare questi dati di continuo, non più una tantum, permettendo a qualcuno di acquisire conoscenza diretta e univoca su di noi.
Stesso identico discorso vale per le Aziende, piccole o grandi che siano. Anche le Aziende lasciano tracce in continuazione, resoconti, piani, acquisti, utilizzo carte credito aziendali, partecipazione ad eventi e mostre, analisi dei dati delle gare a cui partecipano. Tracce indelebili a partire dal brand, dalla comunicazione, dai CRM e niente di più facile aggregare i DNA culturali dei top manager in un’unica entità. Una quantità di dati che aspetta solo di essere analizzata e “rivenduta”.
Ancora un tassello. La disoccupazione dei prossimi anni (lo scriviamo da anni e continueremo a farlo) sarà soprattutto disoccupazione intellettuale. Il mito che acquisire conoscenza permette di vivere nel mondo dell’informatica è una balla clamorosa. Nei prossimi anni, per esempio, assisteremo alla distruzione di lavori quali: i radiologi, gli analisti di laboratorio, i traduttori, gli avvocati, i giornalisti specializzati, gli artigiani super specializzati, i consulenti finanziari, e ancora e ancora. Nessuno sarà al riparo dall’avanzata a passi da gigante del binomio intelligenza artificiale-potenza di calcolo. Nessuno.
Il pessimismo è solo apparente (siamo degli inguaribili sognatori), ma per sapere come uscirne e come agire, cosa costruire, come fare per evolvere questo sistema impazzito, dovrete armarvi di pazienza e attendere le prossime puntate. Ché la disoccupazione intellettuale prosegue inarrestabile e così pure noi negli articoli che seguiranno.
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