Uber punta ancora sulla Cina: previsto investimento da più di 1 miliardo nel 2015

Uber è pronto a investire più un miliardo di dollari nel 2015 per espandere le sue operazioni in Cina un mercato che, a dispetto delle difficoltà e delle proteste, si sta dimostrando estremamente promettente per il colosso Usa. Lo ha dichiarato il fondatore della compagnia, Travis Kalanick, in una lettera agli investitori pubblicata dal Financial Times e ripresa oggi dai media di Hong Kong. Il Ceo ha aggiunto che Uber punta ad estendere il servizio anche ad altre 50 città in Cina per effetto della forte e positiva risposta dei clienti.

Dal lancio nel febbraio 2014, abbiamo avuto un apprezzamento da parte del pubblico per Uber che va ben oltre le nostre aspettative più rosee,” scrive Kalanick. Lo dimostrano i numeri: nei primi sei mesi di disponibilità del servizio nella città cinese di Chengdu, l’utilizzo del servizio è stato 46 volte maggiore che durante i primi sei mesi di esercizio a New York City. E ancora, gli automobilisti cinesi che lavorano per Uber sono arrivati a fare un milione di corse al giorno.

Questa crescita sta avvenendo, come accennato, a dispetto delle proteste dei tassisti e delle tante critiche che hanno colpito il colosso dopo casi di cronaca che hanno coinvolto i conducenti Uber: gli uffici di Shanghai e di Guangzhou hanno subito delle perquisizioni nelle scorse settimane, mentre manifestazioni di protesta di taxisti hanno preso di mira sia la compagnia americana sia la sua concorrente cinese, la Didi Kuaidi. Il fondatore di Uber spiega però che, a dispetto di queste difficoltà, la Cina rappresenta per la compagnia “una grande opportunità, potenzialmente più grande degli Usa”.

In Europa al colosso Uber non va meglio, in termini di rapporti con leggi e categorie di settore: proteste si sono avute in diversi Paesi Ue e in Italia recentemente il Tribunale di Milano ha disposto il blocco di UberPop, uno dei servizi messi a disposizione dall’app Uber, su tutto il territorio nazionale con inibizione dalla prestazione del servizio. Sono state le protese delle organizzazioni sindacali e di categoria, locali e nazionali, dei tassisti e dei radiotaxi ad aver portato all’oscuramento di UberPop per presunta concorrenza sleale.

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