Informare per Resistere, ovvero gli influencer che non servono a nulla

Informare per Resistere è una delle tante pagine di Facebook che postano notizie “sensazionali”, dove per sensazionali si intende qualcosa a mezzo fra il fraintendimento sistematico per creare indignazione e la bufala vera e propria. Si presenta come un sito di “controinformazione” “contro il Sistema”, e grazie a queste credenziali ha conquistato apparentemente una vasta platea di lettori. I gestori della pagina di presentano come “cittadini indignati” che postano notizie trovate in rete e naturalmente censurate dagli organi di stampa ufficiali.

facebook-like-670x376La credibilità di questa fonte in rete è sempre stata piuttosto scarsa, ma all’inizio i suoi lettori erano comunque attirati dal fatto che, seppure i toni fossero molto “gridati”, alle volte qualche spunto buono c’era e il sito pareva comunque dar voce a tutta un’ala di cittadini indignati afferenti quasi sempre all’area della sinistra radicale in tutte le sue possibili sfaccettature. Apparteneva insomma a quella galassia di siti affini al “PopoloViola” et similia. Nel corso degli anni la qualità delle informazioni, già non molto alta all’inizio, era molto peggiorata, sfiorando il complottismo o la propagazione di bufale vere e proprie. Ma questo peggioramento non aveva inciso apparentemente sull’impatto della pagina: gli iscritti risultavano circa 800mila, e la pagina facebook era quindi, stando ai numeri, una delle più lette in Italia.

L’incidente è avvenuto domenica 21 giugno, quando la pagina Fb di Informare per Resistere ha pubblicato un post in favore del Family Day, la manifestazione svoltasi a Roma e promossa dalle associazioni clericali contro il riconoscimento del diritto degli omosessuali a sposarsi e contro la fantomatica teoria “gender”.

All’uscita del post, molti lettori della pagina hanno cominciato a scrivere status in cui invitavano gli amici che vedevano iscritti ad Informare per Resistere a disiscriversi immediatamente da una pagina che aveva avuto una svolta omofona così evidente. La campagna ha avuto successo, perché, stando a dati reperiti in rete, la pagina in poche ore ha perso circa 6000 iscritti e molti nei giorni successivi.

Il caso di studio è però interessante per le dinamiche che ha messo in luce. Io stessa, per esempio, sono stata taggata da un contatto di Fb che mi invitava a disiscrivermi dalla pagina. Sono caduta dalle nuvole, perché non ricordavo nemmeno di essere iscritta. A tutt’oggi non riesco assolutamente a ricostruire come mai, anni fa evidentemente, ho dato il “mi piace” alla pagina. Quello che è certo è che in tanti anni non ricordo di aver mai letto un solo contenuto della pagina stessa, e neppure di averlo mai visto comparire nella mia TL. Stesso stupore ha colpito gran parte dei contatti miei che risultavano iscritti: nessuno di noi, da anni, riceveva neppure più gli aggiornamenti da Fb sui contenuti pubblicati dalla pagina e tantomeno aveva letto i post per altre vie. Tutti, per giunta, non appena è uscito il post omofobo ci siamo disiscritti subito.

Più che sulla presunta “svolta” di informare per Resistere o sulle sue presunte tecniche di manipolazione del consenso, sui cui si sono scritti post in questi giorni (http://tlon.it/la-fregatura-di-informare-x-resistere/) varrebbe a questo punto ragionare ancora una volta sulla assoluta inutilità dei cosiddetti “influencer” della rete.

Informare per Resistere aveva una vasta platea di Like e di lettori. Apparentemente, però. In realtà gran parte di quel pubblico era costituito da gente come me e molti altri, che da anni non leggevano più (semmai avevano letto) i post della pagina e nemmeno li vedevano comparire in TL. Non si tratta neppure di lettori “passivi”, ma proprio di gente che nemmeno si ricordava di essersi  iscritta e non veniva nemmeno più raggiunta dai contenuti stessi. L’impatto quindi delle impostazioni e dei post della pagina era grandemente sovrastimato: di 800mila iscritti quanti in realtà leggevano effettivamente o almeno erano vagamente a conoscenza di quello che veniva postato? Il problema delle metriche per valutare l’impatto su internet di un contenuto diviene quindi un punto focale: una pagina con milioni di iscritti in realtà copre sempre un bacino molto minore di utenti reali, e quindi quando una azienda legge report in cui si mostrano numeri incredibili di utenti sulla pagina è sempre bene controllare quanto poi sia la ricaduta reale in termini di like e di condivisioni per singolo post, perché quello, più ancora che il numero complessivo degli utenti iscritti, dà la misura della ricaduta effettiva dei messaggi postati.

influencerIl secondo problema, però, è proprio legato alla funzionalità dei post e alla loro capacità di influenzare il pubblico. Il caso di “Informare per Resistere” dimostra che il pubblico della rete segue un certo sito o influencer solo fino a quando, in qualche modo, questo rispecchia le convinzioni dell’utente. Finché l’influencer A dice cose che io come singolo condivido lo seguo, anche appassionatamente, ma quando A svolta e cambia strada, o anche solo esplicita in maniera inequivocabile convinzioni che sono in contrasto con le mie, lo mollo subito. Il rapporto influencer/lettore è ben diverso da quello testimonal di uno spot/pubblico, forse perché lo spot è un mezzo “trasparente” ed il pubblico è consapevole che è girato per invogliare a comprare un determinato prodotto. L’influencer in rete, invece, si presenta come un personaggio singolo e slegato da partiti politici e aziende che porta sulla rete il “suo” punto di vista onesto e disinteressato. proprio per questo ci fidiamo di lui e lo ascoltiamo solo ed esclusivamente se il suo punto di vista coincide o rimane almeno vicino a quello che possiamo pensare e condividere anche noi. Se cambia improvvisamente posizione politica o decide di appoggiare cose che noi non approviamo la reazione è molto più violenta che quella contro il testimonial di una azienda. Se Diego Abatantuono decide di reclamizzare da domani un’altra marca di detersivo per piatti chi guardava i suoi spot non si sente “tradito” perché era implicito fin dall’inizio che Abatantuono fa il testimonal per lavoro, viene pagato, magnifica il prodotto finché dura il suo contratto: non ha nessun rapporto personale con il detersivo per piatti, non mette in gioco la sua credibilità come persona e neppure come attore. Io pubblico posso decidere che è un attore da Oscar quando recita in Mediterraneo e un cane, per esempio, quando recita nello spot, senza che questo cambi la mia valutazione su di lui come artista. Proprio perché scindo le due cose lo spot funziona: può convincermi a comprare il detersivo per simpatia verso Abatantuono, perché so che per Abatantuono reclamizzare il detersivo per piatti o per Bisio reclamizzare il mutuo in banca sono un lavoro come un altro, e se lo fanno in modo simpatico rendono simpatico anche il prodotto grazie alla loro bravura ed al loro mestiere.

Con l’influencer questo non vale. L’influencer costruisce il suo rapporto con il pubblico mettendo personalmente in gioco se stesso come persona. Non è un mestiere, è un’identità, quella che propone ai suoi lettori. per questo se cambia identità o modifica in tutto o in parte le sue convinzioni, anche in buona fede, è destinato a perdere parte del suo pubblico. che per giunta reagisce malissimo, si sente tradito e gli si rivolta contro.

Il rapporto dell’influencer con il suo pubblico è più di tipo “politico” che di tipo “commerciale”. I leader politici vengono votati dai loro elettori perché costruiscono un rapporto personale: si presentano per ciò che sono, non per ciò che fanno. Seducono anche loro il pubblico, per carità, ma solo finché sono in grado di proporre al loro pubblico valori e idee e soluzioni che il pubblico, sotto sotto, condivide già. Possono emergere dal niente, influencer e leader politici, perché capiscono che esiste una fetta di pubblico più o meno grande a cui possono rivolgersi e su cui sanno fare colpo, ma non riescono però a convincere chi già non è d’accordo con loro, in tutto o in parte. E soprattuto è rarissimo che riescano davvero a cambiare o scalfire le convinzioni profonde del pubblico che li segue: quando ci provano vengono quasi sempre abbandonati da una fetta consistente dei loro seguaci.

Quindi, che insegnamento trarre dal caso Informare per Resistere? Che no, non basta avere tanti like per indirizzare gli utenti in una certa direzione, e che non basta essere un influencer per credere di poter cambiare la testa e le scelte delle persone. La manipolazione del consenso è una alchimia complicatissima, e di certo un sito internet, anche con milioni di like, non basta.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here