I modelli di business del software libero

Il software libero si contrappone al software proprietario perché è basato su un modello di business completamente diverso, che sposta l’attenzione dall’acquisto della licenza d’uso all’acquisto del valore aggiunto associato all’uso del software (la cui licenza è libera, e quindi gratuita).

Chiunque ometta di spiegare questo concetto fondamentale fa il gioco delle aziende del software proprietario, in quanto sottintende che il software libero non abbia un modello di business ma sia frutto di congiunture astrali che spingono le persone a lavorare a titolo gratuito.

freeE fino a quando un’affermazione del genere arriva da Steve Ballmer, che era pagato profumatamente per fare disinformazione, o da personaggi prezzolati da Microsoft, transeat, ma se arriva da chi – in teoria – dovrebbe sostenere il software libero, beh, abbiamo un bel problema.

E non sto parlando, ovviamente, delle scimmiette ammaestrate da Microsoft per intervenire nelle discussioni, che si strappano le vesti a favore del software libero ma non possono che constatare la superiorità del software proprietario.

No, sto parlando dei personaggi che – per esempio – mettono insieme LibreOffice e Apache OpenOffice dicendo che uno vale l’altro, e tralasciano le differenze tra i due modelli di business, che spiegano in modo semplice e comprensibile a tutti il successo del primo e il fallimento del secondo.

Probabilmente, questi signori non hanno capito che il software libero ha più di un modello di business, che viene definito dalla licenza d’uso, a partire dalla GPL – la più “restrittiva” – per arrivare alla WTFPL (Do What the Fuck You Want to Public License), la più “permissiva” di tutte, così come lascia intendere il nome.

Personalmente, non penso affatto che la GPL sia “restrittiva”, ma questo è il modo in cui le aziende del software proprietario descrivono una licenza che detestano, in quanto le obbligherebbe a condividere ogni modifica al software con la comunità, in quanto la GPL è alla base un modello di business basato su una trasparenza e una condivisione senza compromessi.

Licenze copyleft più “morbide” come la LGPL e la MPL sono alla base di modelli di business in cui la condivisione riguarda solo il “cuore” del progetto, lasciando la libertà di integrare il codice sorgente libero anche con quello proprietario in caso di prodotti derivati.

LibreOffice ha scelto la licenza copyleft MPL perché questa proteggeva gli sviluppatori volontari dai rischi di ingerenza delle grandi aziende, ma lasciava a queste ultime la libertà di creare prodotti derivati con porzioni di codice sorgente proprietario. In questo modo, il progetto è riuscito ad attrarre quasi 1.000 nuovi sviluppatori in cinque anni, un numero enorme, in quanto essi si sentivano protetti rispetto alla possibilità che una grande azienda prendesse il codice sorgente che avevano sviluppato per farne un prodotto proprietario.

Apache OpenOffice utilizza la licenza “permissiva” Apache, che consente a una grande azienda di prelevare il codice sorgente per usarlo all’interno di un software proprietario, senza restituire alla comunità – e quindi agli sviluppatori volontari – i miglioramenti che ha apportato al codice sorgente stesso.

Apache OpenOffice, per questo motivo, è rimasto senza sviluppatori nel giro di cinque anni, perché non è riuscito ad attrarre sviluppatori volontari e ha perso gli sviluppatori pagati dalle aziende. Sostenere che questo è successo per motivi diversi da quello del modello di business significa fare disinformazione verso gli utenti, e in particolare verso le aziende interessate all’adozione di una suite di produttività libera come LibreOffice.

open-source

La fine prematura di Apache OpenOffice, che non fa piacere a nessuno, perché stiamo parlando di un marchio che ha fatto la storia del software libero, era scritta dal 2011, perché il progetto – per volere di IBM – era basato su un modello di business sbagliato per la tipologia del software (non sbagliato tout court, perché ci sono progetti basati sul modello di business che deriva dalla licenza permissiva che funzionano, e l’esempio più evidente è il Server HTTP di Apache).

Oggi, e non uso la parola “oggi” a caso, parlare di LibreOffice e Apache OpenOffice come se fossero due progetti intercambiabili è un problema, perché significa confondere i due modelli di business e confondere le idee agli utenti che sono interessati alla migrazione.

Purtroppo, in Italia – e solo in Italia, perché sembra che questa confusione sui modelli di business del software libero sia un problema esclusivamente italiano – ci sono delle pubbliche amministrazioni che sono migrate ad Apache OpenOffice perché “uno vale l’altro”, per cui non sono state educate da coloro che avrebbero dovuto farlo.

Affermare il proprio ruolo di sostenitori del software libero senza associare a questa affermazione l’impegno per l’educazione degli utenti – anche se faticosa – è sbagliato, perché trasmette un’immagine del software libero che non corrisponde alla realtà. L’associazione tra libero e gratuito deriva anche da questo, ed è un problema per tutto l’ecosistema.

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