Economia della partecipazione: “Act locally, tell globally”

Negli ultimi anni, si è enfatizzato il dibattito sulla rappresentanza, evocando la possibilità di una più diretta partecipazione dell’individuo alla formazione della volontà collettiva, resa possibile dagli abilitatori tecnologici.

Il dibattito sulle forme di Democrazia Diretta è molto vivace, sebbene si debba confrontare con molteplici aspetti come – ad esempio –  una  distribuita disponibilità di modelli cognitivi che consentano di partecipare in modo “consapevole” alle iniziative di democrazia diretta su tematiche a connotazione specialistica.

Consapevolezza della partecipazione per depotenziare la possibilità che il potere decisionale venga trasferito dalle Assemblee Parlamentari ad una Democrazia mediatica, in cui l’opinione del singolo risulti comunque manipolata dalla stratificazione di messaggi unilateralmente diffusi dagli owner della comunicazione e dei big data.

Di fatto, abbiamo recentemente assistito ad un momento topico di Democrazia Diretta, il referendum greco con cui – per la prima volta – la tecnocrazia europea è stata chiamata a confrontarsi con un parere popolare.
Al di là del risultato, persino al di là del tema specifico della consultazione (su cui lasciamo ad altri le sintesi di merito) e degli esiti che ne stanno scaturendo, questo episodio dimostra che esiste uno spazio di reinterpretazione dei ruoli tradizionalmente assegnati a ciascun soggetto.
La situazione greca si propone come un tentativo  di riposizionamento dei politici come dei soggetti chiamati a definire una piattaforma d’accordo sottoposto – senza mediazione degli organismi rappresentativi – alla decisione della collettività dei singoli, collettività che smette di essere delegante e assume in proprio la responsabilità di attribuire un mandato esecutivo preciso ai propri rappresentanti.
Stiamo quindi assistendo ad un potenziale ampliarsi degli spazi di “attivazione” della cittadinanza, ampliamento che in modo simmetrico avviene a livello economico attraverso tutte le formule nelle quali la persona rigetta il ruolo passivo di consumatore e decide di assumere il ruolo attivo di Attore Economico.

Eminentemente, sono questi i modelli che si basano su logiche realmente peer-2-peer in cui:

  • il Gruppo dei partecipanti definisce il contenuto intrinseco delle piattaforme collaborative in termini di oggetto/soggetti delle transazioni,
  •  l’Amministratore è chiamato ad un ruolo di predisposizione di una piattaforma che – da un lato – sviluppi rapporti fiduciari e – dall’altro – esegua le transazioni concordate tra i partecipanti.

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In sintesi, la Sharing Economy si alimenta di una maggiore attivazione degli individui, consentendogli di partecipare con un ruolo diversificato alla rete di scambi del modello economico, non più consumatori da conquistare ma soggetti attivi di una dinamica più gratificante.

Economia collaborativa come Economia della partecipazione implica lo sviluppo di un terzo asse, l’Economia della Prossimità, prossimità geografica e valoriale che – attraverso la conoscenza del territorio circostante – riduca la resistenza a partecipare.

La prossimità induce a ripensare il paradigma delle multinazionali, quel “think globally, act locally” che evoca un modello di conquista progressiva di territori diversi.

L’economia diretta non è compatibile con una logica di “conquista” progettata centralmente, in modo univoco, e poi adattata – in modo strumentale o addirittura manipolatorio –  alle diverse geografie.

L’economia diretta richiede invece l’inversione del modello di diffusione delle logiche collaborative – una sorta di “act locally and tell globally”, che si basi sull’avvio di iniziative locali.

Le inziative locali vanno infatti narrate in modo globale per illustrare la possibilità di modelli diversi suscettibili di replica modulare, sulla base dell’iniziativa dei singoli individui delle collettività locali.

Il concetto dell’”Act Locally” è importante, perché l’attivazione è tendenzialmente un fatto geograficamente determinato: la vicinanza facilità l’attivazione, inoltre la fiducia si basa sulla conoscenza diretta (o mediata) dei soggetti dello scambio.

benny3Il concetto del “Tell Globally” è altrettanto importante, per raccontare le singole realtà locali in modo da alimentare la fiducia: ”It works!” così favorendo al contempo l’avvio di nuove iniziative nonché l’ibridazione delle best practices.

Si tratta di un inversione di paradigma che non rinuncia astrattamente a fare dell’Economia della Collaborazione un modello globale, modello globale che – però – nasca dal progressivo porsi in relazione di iniziative locali attraverso il ruolo chiave della tecnologia per l’esecuzione degli scambi tra singole iniziative e per la creazione di reticoli di connessioni tra le singole realtà.

Collaborazione-Partecipazione-Prossimità, elementi che non possono essere visti in modo disgiunto, ma vanno a comporre un modello economico complementare, in cui l’incremento dei livelli di benessere socio-economico non va a discapito dell’ambiente e soprattutto non accentua le disparità – con il suo negativo risvolto di disgregazione sociale – ma viceversa tende a creare condizioni di vicinato elettivo e di socialità.

Appare un modello possibile il cui affermarsi non è affatto scontato. Dovrà infatti confrontarsi con il recupero del digital divide e con la capacità di comunicare e raccontarsi in maniera non solo plausibile, ma anche convincente.

Nel farlo, gli Operatori della Sharing Economy devono cooperare con i media e con le diverse iniziative di localismo attivo che proliferano, dalle Social Street agli operatori di vicinato attivo, perché narrazione è un’onda mediatica che parte e ritorna nelle socialità della strada e delle piazze.

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