In Italia si parla molto di digitalizzazione e, purtroppo, si corre sempre più il rischio di trasformare questo dibattito o in una sterile sequenza di luoghi comuni, oppure in una semplificazione superficiale che ignora complessità e portata delle trasformazioni indotte da queste tecnologie. In particolare, trovo particolarmente pericolosa la retorica della digitalizzazione che suggerisce, nei fatti, che l’adottare queste tecnologie sia tutto sommato semplice e che possa essere fatto “banalmente” incorporandole all’interno dei processi, prodotti e servizi esistenti.
È un errore clamoroso: le tecnologie digitali cambiano le imprese (e le PA).
E le cambiano in modo spesso radicale, profondo, ineludibile, inevitabile.
Per questo motivo dobbiamo “uccidere” la parola digitalizzazione: essa ha assunto o quanto meno ha indotto una attitudine perversa secondo la quale è sufficiente adottare — spesso in modo superficiale — le tecnologie digitali per migliorare o ammodernare i processi, prodotti e servizi esistenti e poter così continuare ad operare nel mercato senza eccessivi scossoni.
Non è così: una azienda che voglia competere e svilupparsi, qualunque sia il settore in cui opera, o sarà intrinsecamente digitale o non sarà più. Ci saranno certamente settori dove questo accadrà in modo più veloce e radicale, mentre in altri tempi e modi saranno più dilatati e sfumati. Ma prima o poi accadrà. A tutti.
Leggevo per esempio qualche giorno fa questo tweet che commentava un articolo di MIT Sloan Management Review:
È necessario ripensare le proprie attività grazie e tramite il digitale.
Giusto come promemoria …
Prodotti
Oggi qualunque prodotto è già o è potenzialmente rivoluzionato dalle tecnologie digitali. Per esempio, settori tradizionali del made in Italy come l’abbigliamento e la moda stanno già vivendo questa rivoluzione: dai vestiti/airbag “intelligenti” di Dainese alle borse con tag digitali che offrono servizi di antifurto e di “don’t forget me”.
Nessun settore è immune.
Processi
Non esiste oggi processo produttivo minimamente complesso che non sfrutti le tecnologie digitali, in tutti i settori del mercato: dalla produzione alimentare alle costruzioni civili, dall’artigianato di qualità ai servizi professionali.
E, per fare solo un primo esempio, non è certo creando un account Facebook o Twitter che si risolve il problema dell’uso delle nuove tecnologie nel rapporto tra impresa e suoi clienti. Chi risponde e cura l’intereazione sui social network? Chi fa “follow-up” rispetto alle interazioni che si hanno con i clienti? In quale modo l’impresa tiene conto e reagisce agli stimoli e richieste degli utenti? L’intera catena operativa che si occupa della relazione con il cliente deve essere radicalmente trasformata dall’avvento delle tecnologie digitali: store, advertising, processi di customer relationship, marketing.
Nessuna attività è estranea all’impatto delle tecnologie digitali.
Servizi
Tutti i servizi oggi sono incentrati su tecnologie digitali, specialmente grazie alla diffusione dei dispositivi mobili. Chi può realisticamente pensare di interagire oggi con un cliente senza disporre di un sito web o di una app mobile? E non si tratta solo di fornire una interfaccia carina per un “vestito vecchio”: il tema è ripensare l’intera catena del servizio grazie e tramite il digitale, cancellando servizi obsoleti e inventandone di nuovi. Pensiamo a come Airbnb o Uber che hanno radicalmente e in alcuni casi drammaticamente cambiato l’intero settore dell’accoglienza e dei trasporti.
Quale ambito nel mondo dei servizi non è impattato dalle tecnologie digitali?
Organizzazione
L’adozione delle tecnologie digitali cambia ruoli e organizzazione delle imprese. Non basta comprare qualche “scatolotto digitale” o attivare uno stage con uno “studente bravo”. Né basta dare a tutti un PC o uno smartphone. Cambiano competenze, ruoli, modalità di lavoro, sistemi di retribuzione e rewarding, modelli di distribuzione dei compiti, processi di recruiting e sviluppo del capitale umano. Più che di digitalizzazione dell’esistente, si tratta di una rivoluzione che trasforma e reinventa l’impresa.
Siamo pronti e aperti a questa rivoluzione?
E noi parliamo ancora di “digitalizzare” …
Basta, non si digitalizza nulla, si ripensa e reinventa.
E se qualcuno pensasse che le mie sono esagerazioni, risponderei con due semplici commenti:
- Sì, è vero, le mie affermazioni sono anche un po’ paradossali.
- Tuttavia, quel qualcuno vada a parlare di “esagerazioni” ai tassisti o agli albergatori o alle agenzie turistiche o alle assicurazioni o ai costruttori di auto o a i soci di BlockBusters. Dica loro che realtà come Uber, Airbnb, Bookings, Netflix, CarPlay sono solo mode del momento o che alla fine i cambiamenti non sono così radicali.
Detto questo, lungi da me sostenere che questi cambiamenti siano facili, indolori e sempre positivi: so bene quali siano i rischi enormi che si nascondono (neppure troppo) dietro queste rivoluzioni. Ma non ci sono molte alternative:
- Li si può combattere e si può cercare di bloccarli.
- Si può far finta di niente e andare avanti come se niente fosse.
- Si può cercare di tamponare in qualche modo sperando di “tenere botta” nel breve periodo e far “passare a’ nuttata”.
- Ci si può rimboccare le maniche e ripensare/reinventare nel lungo periodo quel che siamo e quel che facciamo.
Credo che l’unica strada percorribile sia l’ultima. E tutto sommato, noi italiani che abbiamo inventato servizi e strutture “disruptive” come il credito, la partita doppia, le università, e i primi moderni ospedali non dovremmo aver paura di ripensare in modo radicale quel che siamo e quel che facciamo.
Non siamo forse un popolo creativo? Riscopriamo quindi le nostre radici e invece di accontarci (e illuderci) di una miope modernità legata ad una spesso banale e superficiale “digitalizzazione” delle nostre imprese e PA, ripensiamole e reinventiamole grazie alla nostra fantasia, creatività e … conoscenza delle moderne tecnologie digitali.
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