Per razionalizzare e qualificare (sul serio) la spesa ICT Italiana

In questi giorni si stanno susseguendo accese polemiche e intensi dibattiti sull’Art. 29 della Legge di stabilità.

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Il testo prevede alcune misure molto critiche e delicate:

  1. Passaggio a CONSIP e ai “soggetti aggregatori” di tutte le gare e gli approvvigionamenti in tema di beni e servizi informatici.
  2. Previsione di un parere tecnico di AgID sui “parametri di qualità e prezzo” dei beni e servizi oggetto dell’approvvigionamento.
  3. Risparmio annuale a partire dal 2016 pari al 50% della spesa annuale complessiva media dell’ultimo triennio. In pratica, tenuto conto che la spesa negli anni è già diminuita, si tratta di un taglio superiore al 50%.

Evitando inutili giri di parole, credo vada detto in modo netto che se l’intento di razionalizzare la spesa e fare in modo che risponda ai bisogni e alle attese del Paese è più che lodevoleil metodo scelto è sbagliato, controproducente e soprattutto dagli effetti potenzialmente devastanti.

Provo a spiegarmi.

Tagliare del 50% le spese tout court vorrebbe dire, da un giorno all’altro, avere problemi a pagare i servizi di base di qualunque ufficio. Ed è puerile dire che “siccome si sprecano soldi, allora qualcosa va fatto”. Una macchina complessa come quella pubblica non può cambiare per editto dall’oggi al domani. Peraltro, ci sono contratti e impegni pluriennali già siglati e non si capisce come potrebbero rientrare ed essere gestiti nei vincoli proposti.

Inoltre, è più che legittimo ottimizzare i processi di procurement riducendo le stazioni appaltanti. Ma ci sono due fatti essenziali da tenere a mente:

  1. CONSIP e i “soggetti aggregatori” sono in grado di svolgere il compito loro assegnato? Oppure con questa norma di fatto congeliamo o ulteriormente rallentiamo processi la cui lentezza costitusce già oggi un problema non più tollerabile? Insieme al mandato dato a CONSIP e a questi soggetti, cosa si fa per essere certi che siano in grado di fare il lavoro? Mi pare che su questi aspetti nulla venga detto.
  2. Con questa norma si vuole forse dire che CONSIP diviene di fatto il luogo della progettualità dei sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche? Ad AgID viene lasciata “solo” la valutazione dei parametri “qualitativi e di costo”? Da quando CONSIP ha queste competenze? E allora a che serve AgID? Non è che chi ha scritto questa norma pensa sciaguratamente che l’informatica pubblica sia riconducibile ad un po’ di PC e qualche smartphone da comprare al massimo ribasso o del body rental dequalificato, e non un insieme complesso di beni e servizi professionali attraverso i quali si innovano e supportano i processi più critici della macchina statale e locale?

In poche parole, è una norma demagogica, superficiale, dannosa, impraticabile … aggiungete pure l’aggettivo che preferite.

Che cosa andrebbe fatto, invece?

Non voglio però eludere il tema e la domanda di fondo. Stiamo facendo ciò che serve per usare al meglio l’informatica nella macchina pubblica? Stiamo spendendo bene i soldi? Stiamo promuovendo l’utilizzo consapevole di questi beni e servizi dentro e intorno alle amministrazioni pubbliche e nella società?

Mi pare che la risposta non possa che essere negativa.

Ma quindi, se questo Articolo 29 è sbagliato, in positivo che andrebbe fatto per affrontare il problema?
Ci sono secondo me due passaggi molto precisi che devono essere avviati.

1. Definire un progetto Paese

L’informatica e le tecnologie digitali in generale trasformano le organizzazioni e quindi anche le amministrazioni pubbliche. Gli utenti interni ed esterni alle amministrazioni (noi cittadini) viviamo in un mondo nuovo, mobile, e ci stiamo sempre più abituando a nuovi paradigmi sociali e di interazione. L’economia cambia con nuovi modelli di business e nuove filiere produttive e di servizi.

Non è più pensabile che l’utilizzo delle tecnologie digitali sia ridotto ad una pura “meccanizzazione” dell’esistente! Ci deve essere un progetto di ripensamento profondo della macchina pubblica, un progetto Paese, che definisca chi fa cosa e come, sia tra le amministrazioni che nella relazione tra pubblico e privato. Esso deve articolarsi su diversi livelli, come avevo iniziato a proporre in un mio documento di alcuni mesi fa:

  • Istituzionale. Chi fa cosa? Qual è il rapporto tra le amministrazioni? Che si fa al centro e cosa in periferia? Qual è il ruolo del pubblico a servizio della società civile?
  • Tecnico/strategico. Quale strategia di sviluppo e gestione dell’informatica vogliamo utilizzare? Cosa deve restare sotto il controllo pubblico e qual è invece il ruolo del mercato e della società civile? Quali sono conseguentemente le architetture tecniche e i modelli di funzionamento operativo che vogliamo adottare per fondare e guidare i nuovi sviluppi e la trasformazione dell’esistente? Quali sono i servizi abilitanti e le piattaforme strategiche necessarie per il sistema paese (es., SPID, SPC-COOP, …)?
  • Giuridico-normativoCome deve essere cambiato l’impianto giuridico e normativo per sostenere questi cambiamenti? Per esempio, come cambiare i rapporti tra amministrazioni per quanto riguarda i problemi di privacy e di gestione dei dati personali? Quali impatti nell’interazione con il privato?
  • Economico e di business model. Come si quantificano CAPEX e OPEX sul medio periodo? Come finanziare questi investimenti? Quali modelli di business si adottano? Come si gestisce il rapporto pubblico-privato? Come si integrano nuovi paradigmi come API Economy e ecosistemi digitali?

2. Rinnovare il modello di governance

Servono tre livelli:

  1. Un livello di indirizzo politico e di governance che sappia declinare e prescrivere gli obiettivi del Governo e della Politica in generale, le modalità attraverso le quali le amministrazioni sono coinvolte nel processo e le forme secondo le quali si coordinano e rapportano.
  2. Un livello di progettazione e gestione strategica di questo programma di cambiamento, che definisca strumenti, architetture, modelli di riferimento, strategie di procurement e di relazione pubblico-privato.
  3. Un livello di gestione innovativa ed efficiente del procurement e di monitoraggio del mercato.

I risparmi e i miglioramenti sono la conseguenza di progettualità, visione, investimenti razionali e lungimiranti, processi innovativi di gestione e controllo, non di decisioni arbitrarie, improvvisate e demagogiche.

Supponendo che si sia d’accordo con questo pensiero, nascono di conseguenza una serie di domande.

  • Chi è in grado e ha il mandato di portare avanti i passaggi che ho delineato?
  • Qual è il sostegno e l’indirizzo politico necessario per sostenere un programma di questo tipo?
  • Abbiamo oggi un assetto adeguato per raccogliere queste sfide?

Purtroppo mi pare ci siano gravi lacune che devono essere urgentemente colmate.

Che succederà quindi?

Ci sono quattro possibili alternative:

  1. Si riconosce l’errore e l’Art. 29 viene cancellato tout court. Avremmo buttato via qualche giorno e nulla cambia, ahimèPerché in realtà le cose vanno cambiate! Ma non nel modo che è stato proposto!
  2. Si riconosce l’errore e viene promossa una visione in linea con quanto qui discusso e che in modo graduale, praticabile e sistematico introduca le auspicate razionalizzazioni e qualificazione di spesa. Ovviamente, sarebbe dal mio punto di vista la situazione ideale. Accadrà? Chi è in grado di sostenere e sviluppare questa vision?
  3. Si riconosce l’errore e vengono proposti dei pannicelli caldi per tamponare il problema. Siamo in guai enormi.
  4. Sono convinti che sia la strada giusta e vanno avanti come se niente fosse. Siamo in guai enormi.

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