Abbiamo bisogno di narrazione
Molti osservatori dicono che in Italia l’innovazione, e soprattutto l’innovazione digitale, non fa parte dell’immaginario collettivo. Non lo è per molte imprese, non lo è in tante amministrazioni pubbliche, non lo è per una grande porzione di cittadini. O, peggio, spesso si vive il tema dell’innovazione in forma epidermica, legandola solo ad un alcuni fenomeni di tipo consumistico o a fatti di cronaca: i cellulari, i social network, “Internet che è pericolosa”, …
È indubbio che per rendere l’innovazione un fenomeno di massa e, soprattutto utile e pervasiva, sia necessario che essa entri in modo efficace e visibile nelle dinamiche della nostra società. Indubitabilmente, ciò si ottiene anche con una narrazione che renda comprensibili, affascinanti e utili i vantaggi che derivano dall’attuazione dei percorsi di innovazione.
Ma come possiamo costruire una narrazione che realmente aiuti a promuovere l’innovazione? Un eccesso di narrazione non rischia di trasformarsi in delusione e in un boomerang? Come proporre una narrazione che non diventi controproducente?
Il rischio esiste e deve essere combattuto, non negando il valore della narrazione, quanto sviluppando in modo armonioso e equilibrato tutti gli elementi che da un lato alimentano e danno significato alla narrazione stessa e, dall’altro, definiscono l’essenza stessa del processo di innovazione.
Le dimensioni dell’innovazione
Se ripenso alle mie esperienze quotidiane, mi pare di scorgere quattro momenti o dimensioni del processo innovativo:
- Vision. Che obiettivo abbiamo in mente? Perché dobbiamo o vogliamo cambiare/innovare? Cosa vogliamo ottenere?
- Competenze. Come concepire, strutturare e portare alla luce un’innovazione che sia funzionale alla vision?
- Execution. Come tradurre una vision in esperienza concreta? Come istituzionalizzare l’idea innovativa?
- Narrazione. Come raccontare e diffondere le innovazioni? Come coinvolgere le persone? Come rendere rilevanti e di valore i processi di innovazione?
Qualche giorno fa su Twitter ho provocatoriamente scritto tre brevi frasi o “principi dell’innovazione”:
- Primo principio dell’innovazione: narrazione senza execution non serve a niente.
- Secondo principio dell’innovazione: execution senza competenze è impossibile.
- Terzo principio dell’innovazione: competenze senza vision non va da nessuna parte.
Aggiungevo anche una sorta di chiosa di sintesi:
La sequenza logica è: vision, competenze, execution, narrazione. Noi spesso abbiamo solo o partiamo dalla narrazione.
Ovviamente non intendo quei passaggi come una sequenza temporale: non si fa “prima una cosa e poi le altre”. Il senso di quei tweet è che una narrazione scollegata dagli altri elementi non va da alcuna parte, produce solo delusione, tradisce legittime aspettative. Vision, competenze, execution e narrazione sono quattro pilastri che devono crescere insieme, in una sorta di continua rincorsa, in un “feedback loop” che permetta a ciascuno di essi di alimentarsi e al tempo stesso sostenere gli altri.
Ciò che mi pare manchi al nostro Paese è proprio l’equilibrio di questi quattro elementi. Abbiamo l’ansia della comunicazione e troppo spesso ci manca la lungimiranza della vision, la sostanza delle competenze e la concretezza della execution.
Come andare avanti?
Questo Paese ha bisogno di entusiasmo, di positività e di voglia di fare. Quindi anche di narrazioni che ridiano credibilità, senso del possibile e del bello. Giuste sono in questo senso tante iniziative che vengono proposte per contrastare rassegnazione e disillusione. Ma se non vogliamo tradire le speranze che così vengono create, è vitale che le narrazioni nascano e siano sostenute da contenuti e da concretezza. Per questo dobbiamo fare uno sforzo di allargamento di quanto già facciamo a tutte le dimensioni dell’innovazione. Non si tratta di cancellare ciò che c’è, ma di introdurre ciò che manca. Per dare senso pieno e valore anche a quanto di buono si sta già facendo.
Facebook Comments