Donne e mondo del lavoro: il digitale ci salverà?

donna al computer

Già nel 2013 Christine Lagard in qualità di Direttrice del Fondo Monetario Internazionale (FMI) aveva evidenziato benefici che l’intera economia globale trarrebbe da una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Questi erano i 5 fattori economici evidenziati :

1. Le donne aiutano la crescita economica in termini di crescita di PIL (Prodotto Interno Lordo);
2. Le donne raggiungono un migliore equilibrio in termini di rapporto rischio/rendimento nei settori affari e finanza;
3. Le donne rappresentano i prossimi “mercati emergenti” poiché globalmente le donne controllano circa i due terzi dei beni di consumo discrezionali di spesa;
4. Le donne investono di più nelle generazioni future, con conseguente attuazione di un dirompente potente effetto a catena. Le donne sono più propense a investire in sanità e istruzione, in sviluppo del capitale umano per alimentare il futuro e la crescita;
5. Le donne sono agenti e reagenti al cambiamento. Le donne naturalmente apportano visioni e voci diverse.

Ma ancor prima già a partire dall’agosto del 1999 Kathy Matsui, ricercatrice e Chief strategist di Goldman Sachs, una delle più importanti società finanziarie del mondo, aveva scritto un rapporto sulla crisi dell’economia giapponese, in cui sosteneva la tesi rivoluzionaria secondo la quale l’Impero del Sol Levante era in crisi poiché non lasciava abbastanza spazio alle donne. La cultura politica giapponese, patriarcale e molto tradizionalista, si precludeva programmaticamente la possibilità di allargare la platea di talenti e competenze a cui attingere per le attività economiche, escludendo appunto le competenze femminili. Per tale motivo la qualità media della base d’occupazione giapponese era più bassa di quella potenziale. È proprio in questo rapporto che viene coniato il termine womenomics, ovvero economia delle donne.

Dal contesto giapponese questa nuova visione, promotrice di trasformazioni economiche, sociali e culturali, intraprese inizialmente all’interno del mondo imprenditoriale attraverso specifiche misure e incentivi governativi di supporto, si è espanso al contesto nordamericano, ispirando molte iniziative a sostegno dell’occupazione femminile. La tesi proposta dalla womenconomics evidenzia la consapevolezza che quando una donna entra nel mercato occupazionale ufficiale, questa attività entra nel PIL e dunque la conseguente retribuzione viene conteggiata a livello statistico per calcolare il volume del prodotto interno.

La prima evidente correlazione tra donne, lavoro e crescita è quella per cui una maggiore partecipazione femminile al mercato occupazionale si configurerebbe con più occupati e quindi più PIL. In effetti se tutte le attività domestiche tradizionalmente definite lavori femminili (women’s work) venissero computate, utilizzando i medesimi criteri del lavoro retribuito, queste diventerebbero il settore produttivo terziario più rilevante del mondo dal punto di vista economico. Se il lavoro informale non retribuito fosse conteggiato (ad esempio calcolando le ore impiegate per lo svolgimento delle attività di cura ed assistenza, e moltiplicate per la retribuzione media di colf, badanti, ecc.), potrebbe arrivare a rappresentare più del 50% del PIL complessivo dei paesi ricchi.

Una seconda correlazione evidenzia come più occupazione femminile e quindi più crescita conduca ad un benessere maggiore in considerazione della maggiore sicurezza materiale e soddisfazione personale che produce, con effetti e riflessi positivi all’interno dell’intero nucleo familiare. Inoltre un altro elemento da considerare e (ri)valutare è che l’occupazione femminile genera ulteriore lavoro: le famiglie a doppio reddito consumano molti più servizi, hanno maggiore capacità di spesa; secondo alcune stime, per ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro si possono creare fino a 15 posti di lavoro aggiuntivi nei settori per l’assistenza all’infanzia e agli anziani, per le prestazione per i bisogni domestici, per la ricreazione, ristorazione e così via (tutte attività portate avanti nella maggior parte dei casi dalle donne anche in ambiti di coppia o famiglia).

Qual è la situazione attuale nel mercato del lavoro?

La percentuale degli uomini occupati rimane sempre più elevata, 70,1% dai dati Eurostat del 2014 , ma si registra per loro un leggero calo rispetto al 2004 (70,3%). Più presenti all’interno del mercato del lavoro Ue le donne sono passate dal 55,5% al 59,6%. Questi i dati che emergono da un’analisi del Parlamento Ue sulle tendenze nell’occupazione femminile nell’ultimo decennio dai risultati di recenti ricerche.
Un incremento che può essere spiegato grazie ai cambiamenti e agli sviluppi derivati dalle riforme istituzionali su lungo termine, ma anche dal fatto che le donne tendono a lavorare in settori particolari ed accettano di adattarsi a lavori flessibili, part-time e teleworking. A lavorare part-time nel 2014 era circa un terzo delle donne tra i quindici e i sessantaquattro anni (32,2%), contro il solo 8,8% della forza lavoro maschile. Con questi livelli di crescita e senza acceleratori di innovazione di qualche tipo si raggiungerà la cosiddetta parità di genere nei luoghi di lavoro entro il 2065 per i Paesi sviluppati e entro il 2100 per i Paesi in via di sviluppo, momento in cui lo stesso mondo del lavoro non sarà configurabile con le attuale figure professionali.

La Digital Fluency potrebbe essere uno dei maggiori driver e acceleratori per il superamento del divario digitale: questa è la tesi proposta in un recente studio condotto condotta su 4.900 persone in 31 Paesi diversi da Accenture dal titolo Getting to Equal: How Digital is Helping Close the Gender Gap at Work. Lo studio in effetti fornisce ampie evidenze del fatto che le azioni legate alla digital fluency (la modalità con cui le persone familiarizzano e utilizzano le tecnologie digitali al fine di accrescere la loro consapevolezza, conoscenza, competenza e connettività) sia abilitante in ogni fase del percorso femminile di inserimento nel mondo del lavoro dalla educazione alla occupabilità oltre che fungere da volano e fondamenta per i percorsi di carriera e di leadership al femminile. Lo studio stima che se i governi e le imprese raddoppiassero gli sforzi nello sviluppo della digital fluency la parità di genere potrebbe essere raggiunta entro 25 anni per i Paesi sviluppati e entro 50 per quelli in via di sviluppo.
Ovviamente la digital fluency non è l’unico fattore del modello proposto nello studio ma è risultato essere uno dei fattori chiave nella riduzione del divario salariale di genere nei luoghi di lavoro in particolare in relazione allo sviluppo di carriera e ai compensi percepiti dalle lavoratrici. Le evidenze hanno evidenziato che i benefici dell’attuazione del modello sono più favorevoli infatti sulla forza lavoro femminile.

gender

Quali sono i fattori di successo di questo modello digitale?

  • la flessibilità dell’orario lavorativo che determina una maggiore produttività legata ad una migliore organizzazione della gestione del tempo da parte del lavoratore;
  • la flessibilità delle conoscenze e competenze acquisite legate anche all’apprendimento permanente lungo l’arco di tutta la carriera lavorativa che allarga gli orizzonti dei profili professionali legati ad un singolo compito o attività;
  •  la flessibilità dello spazio di lavoro ovvero la possibilità di poter lavorare da casa o da qualsiasi luogo attraverso i dispositivi digitali.

Lo studio ha rilevato inoltre che la digital fluency può creare opportunità per le donne imprenditrici e le donne che cercano di ricollocarsi nel mondo del lavoro a seguito di licenziamento, gravidanza o altro. Servono dunque altre evidenze numeriche per capire che il digitale potrà salvare non solo le donne?

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