Polimi: nella PA migliora la gestione dell’innovazione ma la strada è ancora lunga

Qual è lo stato dell’arte dell’innovazione nella Pubblica Amministrazione? Quasi la metà degli Enti Pubblici ha dato vita a progetti di innovazione in quest’ultimo anno, ma con una flessione di circa il 6% rispetto all’anno precedente: la nota positiva è che tra questi c’è un notevole incremento di quelli sviluppati con enti stranieri (quadruplicati) e con big player del mondo dell’ICT (una volta e mezzo in più). Questi alcuni dei dati che emergono dalla Ricerca dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano presentata a Roma al convegno “Dall’Italia all’Europa, confrontarsi per migliorare”, organizzato in collaborazione con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione.

La copertura finanziaria dei progetti di innovazione nella PA avviene soprattutto tramite l’autofinanziamento (75%) e, nel caso di finanziamenti esterni, erogati principalmente dalle Regioni. Una valida alternativa che indica l’Osservatorio potrebbe essere quella costituita dai fondi UE: circa il 12% degli enti ha già partecipato ai bandi, un quinto conosce i contenuti della programmazione 2014-2020, ma restano ancora problemi di coordinamento generale con gli altri enti per lo sviluppo concreto dei progetti.

I principali punti deboli rimangono ancora la mancanza di competenze e le resistenze del personale, troppo spesso abituato a privilegiare un atteggiamento passivo nei confronti di progetti di cambiamento, oltre alla scarsa formalizzazione dei processi di back office”, spiega Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eGovernment, in un comunicato. “Tuttavia”, continua “comincia a farsi strada la consapevolezza dell’importanza di lavorare in rete per mettere a sistema risorse e competenze, nelle strutture operative ma anche tra gli amministratori, e nei piccoli comuni, la collaborazione diventa ovviamente una necessità. In questi processi di collaborazione, gli enti sovraordinati e le Regioni possono giocare un ruolo fondamentale”.

Sportello unico delle attività produttive e pagamenti multi-canale

La grande maggioranza (81%) degli Sportelli Unici delle Attività Produttive in Italia è dotato di un canale web (+8,4% rispetto al 2014), ma con forti differenze regionali: le piattaforme online vanno dal 100% degli enti di Calabria, Emilia Romagna, Sardegna e Valle d’Aosta (anche se spesso affiancati dai canali tradizionali) alla totale assenza di una regione importante come l’Abruzzo. In media, a livello nazionale circa il 63% dei procedimenti degli Sportelli Unici delle Attività Produttive viene avviato in modalità telematica e il 22% via PEC, ma permane ancora un 15% di pratiche in formato cartaceo o addirittura del tutto privo di certificazione.

La mancanza di collaborazione tra tutti gli attori pubblici competenti nei procedimenti e una scarsa strutturazione interna degli uffici comunali comporta un aumento dei tempi per le autorizzazioni necessarie alle imprese. E i Comuni, soprattutto di piccole e medie dimensioni, trovano difficoltà a gestire in autonomia le funzioni dello Sportello Unico: solo il 26,5% identifica nel proprio ente locale il soggetto più adeguato per la gestione del SUAP, mentre il 30,5% predilige le Camere di Commercio, il 20% le forme associate, il 16% le Regioni. Lo stesso problema si riflette nel rapporto con le imprese: meno dii due terzi non ha mai attivato forme di collaborazione coi privati.

Anche sul fronte della digitalizzazione dei servizi di pagamento a disposizione di cittadini e imprese c’è molto da lavorare: se il 97% della funzione tributi dei Comuni possiede già un software gestionale, la percentuale scende tra il 60% ed il 70% delle funzioni edilizia, polizia locale, pubbliche affissioni ed attività produttive per ridursi a poco più della metà dei servizi socio assistenziali, meno della metà delle altre funzioni. Solamente il 20% degli enti intervistati possiede almeno un canale digitale e, fatta eccezione per i tributi (pagati con modello elettronico F24 dell’Agenzia delle Entrate nell’84% dei casi), lo strumento più utilizzato dai cittadini rimane ancora il bollettino postale, seguito dai canali offerti dalla banca tesoriera e lo sportello fisico dell’ente.

Open Government Data e Acquisti della PA

Gli open data possono costituire un elemento centrale nella strategia di eGovernment, un vettore importante per rendere più “digitale”, trasparente, semplice e partecipato il rapporto tra cittadini, imprese e Amministrazione, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Nell’indagine realizzata dall’Osservatorio eGovernment su un campione statisticamente rappresentativo di 577 Comuni italiani, emerge come la maggioranza lo faccia in modo non strutturato (il 60% non identifica un processo identificando mansioni, ruoli, responsabilità e utilizzando appositi strumenti ICT), senza individuare un referente per la gestione (68%) e senza coinvolgere nel processo gli stakeholder (71%). Solamente il 2% pubblica dati con metadatazione e/o linked open data, solo il 16% utilizza una delle licenze d’uso correttamente associate agli open data. L’84% dei comuni non fornisce agli utenti l’informazione sulla frequenza di aggiornamento dei dati e il 68% non consente agli utenti di effettuare segnalazioni sulle banche dati.

Dal lato degli acquisti PA le cose non vanno meglio: i modelli per la gestione del processo d’acquisto negli enti locali sono oggi ancora fortemente eterogenei e destrutturati e metà degli acquisti vengono gestiti tutti autonomamente dai singoli settori, mentre solo in un Comune su dieci da un unico ufficio centrale. Inoltre, la programmazione dei fabbisogni d’acquisto avviene nel 54% dei casi su base annuale e solo in un caso su cinque l’attività è supportata da un sistema strutturato. I Comuni evidenziano la necessità di aumentare le competenze per la gestione del processo di acquisto, in particolare nella definizione di capitolati di gara, la fase più critica e onerosa. La centralizzazione degli acquisti potrebbe essere la strada per superare queste criticità, accentrando le responsabilità e identificando un unico ufficio acquisti all’interno dell’ente.

In conclusione, secondo il rapporto, la capacità della Pubblica Amministrazione di gestire l’innovazione rispetto a qualche anno fa è grosso modo migliorata, anche se il successo delle iniziative è ancora condizionato dalle resistenze al cambiamento del personale e dalla scarsa formalizzazione dei processi di back office, requisito fondamentale alla digitalizzazione. Un esempio? Il caso di PagoPA, chiamato a risolvere il problema della digitalizzazione dei pagamenti alla Pubblica Amministrazione a cui a gennaio 2016 avevano aderito già più di 13.000 enti, per il quale l’assenza di software gestionali rischia di costituire un serio ostacolo alla diffusione.

Il percorso della Pubblica Amministrazione verso la reale digitalizzazione dei servizi è ancora piuttosto lungo.

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