Telegram e Rivoluzione #CustomerExperience: Canali più Bot

telegram

Facciamo chiarezza. Nell’ultimo paio di mesi – guarda caso, da quando abbiamo iniziato a parlarne qui in questa rubrica – Telegram sembra diventata la moda del momento. Fatte salve eccellenze come Giorgio Taverniti, pionieristicamente attivo da settembre 2015 col suo bel Canale «Fast Forward», in generale è partito tutto insieme un assalto, una «corsa a chi fa prima» tra siti di news, testate, blog e, talora, brand, allo sbarco su Telegram – e a una analoga gara fra giornalisti ed opinionisti vari a recensire, tra semplici osservatori e «Soloni» di turno, tanta frenetica attività.

La fretta però è cattiva consigliera. In un attimo si è passati dal niente al tutto. Fatto male perché senza strategia: senza darsi il tempo – peggio, senza neppure porsi il problema – di comprendere le specifiche potenzialità della piattaforma e imparare a usarla traendone davvero il meglio. Anzitutto per sé, la propria reputation: e così, dunque, la propria attività, il «proprio ROI».

«Testate di news, siti, blog: per una volta #‎FamoloStrano! #‎FamoloConLaTesta!…», sbottavo un paio di settimane fa in un mio post, divenuto occasione di confronto per molti e, insieme a successive riflessioni (che puoi leggere qui e qui), balzato agli onori delle cronache su testate quali DataMediaHub per due giorni consecutivi (qui e qui le ottime considerazioni di Pierluca Santoro).

«Fino a ieri: “Telegram, che è ‘sta roba?”», scrivevo. «Oggi: non manca quasi più presunto influencer e/o relativo Canale – e poi La Stampa, Repubblica, Libero… – che non sia CORSO su Telegram. In che modo? Quello più classico: senza strategia di sorta. Usandola come la più banale delle newsletter». Per la serie, stesso film: «Prima niente social poi tutti social (male, molti), prima niente Facebook, Twitter, Instagram, poi tutti di corsa (malissimo, molti), niente account di Customer Care poi tutti sì “perché il concorrente ce l’ha” (e peggio mi sento). Ma usare un po’ di testa mai eh?…». #‎StrategiaQuestaSconosciuta. Quasi inutile muovere poi critiche specifiche a Libero che nel suo canale, a queste carenze, aggiunge pure le aggravanti della sua peculiare comunicazione: messaggi push spammati al ritmo minimo di 1 ogni 5 minuti, infarciti di articoli, titoli e foto che eufemistico sarebbe definire clickbaiting.

«‎Telegram, #LoStaiFacendoMale», verrebbe insomma voglia di ricordare a quanti sembrano sta spendendo le loro migliori energie in un «assalto alla diligenza» sconsiderato e privo di metodo.

Qual è il problema?

  1. La «Rivoluzione», la #CustomerExperience Revolution, il potenziale disruptive di Telegram, dei suoi Canali, e in generale di questa nuova forma di comunicazione che si affaccia, non sta in Telegram tout court. Tantomeno nei suoi Canali in quanto tali, tacciabili anzi in certo modo di un «peccato originale» assai vintage: una monodirezionalità, senza per ora possibilità d’interazione, avvertita come limite da molti ormai abituati a un engagement 0, se non 3.0. Tantomeno ancora in Canali usati come mainstream tradizionali, ad es. per la reduplicazione di newsletter: neppure quando, raramente e in modo solo in apparenza più innovativo, vi si vada a condividere contenuti diversi come foto, audio o video, magari con tono confidenziale, più familiare.La forma della comunicazione non viene toccata: la sostanza è la stessa. E tutto resta un film già visto. È come una minestra più o meno appetitosa, riscaldata o fatta sul momento, servita in una scodella di ceramica anziché una ciotola di legno, ma ignara, o peggio disinteressata, rispetto a quell’ingrediente extra che, sebbene scoperto da poco, ormai si sa che potrebbe render la nostra minestra disruptive. E farsi carbonara, ragù fumante: o restar minestrone di verdure, ma con quel «peperoncino», quel «fattore X» – direbbe Brian Solis – quel Je ne se quoi che «rende un qualcosa tanto speciale» ed esplode quando viviamo una «great experience» con un prodotto o servizio, scolpendocela «nel cuore, nella mente, nello spirito».
  1. La #CustomerExperience Revolution, il potenziale disruptive di cui parlavamo sta semmai, o inizia già a esser più correttamente individuabile, nei chatbot, anzitutto in quanto tali, a prescindere cioè dalla piattaforma entro cui vengano implementati: Telegram, App di messaggistica proprie o «noleggiate» come Facebook Messenger o WeChat, Peach o persino Line, stando agli annunci degli ultimi giorni, rilanciati di gran cassa da TechChrunch. Per non parlare di siti web e piattaforme quali Tiscali Indoona, Slack, Catapush, di cui già si è detto.Cosa sono i bot? Ricordiamolo: meccanismi automatizzati, «robottini» virtuali al servizio della nostra vita online e offline, capaci di interagire automaticamente col cliente, in modo tanto veloce, immediato e perfetto, da garantirgli una Customer Experience memorabile. Un «viaggio col prodotto» che vale ben più del prodotto: un’esperienza, paradossalmente, fatta di Cuore, sensazioni, emozioni condivise a dispetto degli automatismi, che è il prodotto stesso. Questo almeno nella mission.I presupposti ci sono tutti. «Bots Are The New Apps», ha titolato pochi giorni fa TechCrunch, che già da mesi va ammonendo: «Forget Apps, Now The Bots Take Over». «Il panorama attuale dei bot ricorda molto quello del web nel 1995, o delle App Mobile nel 2008». È la nuova «Corsa all’Oro dei Bot», la «Bot Gold Rush», la «Great Bot Rush». Di «Botageddon» ha parlato Rob May. E un vero e proprio «BOTIFESTO» è stato steso a più mani da esperti del settore: destinato a segnare un’epoca, si profetizza su Wired, come un tempo Lutero con le sue «95 Tesi», inizio di una nuova era della cristianità, o come, più laicamente e ai nostri tempi, il Cluetrain Manifesto, vero punto di svolta nella storia del digital e del marketing.Non manca il Bot Rulebook, a firma di Amir Schevat, Head of Developer Relations per Slack, ove si mette nero su bianco la mission dei chatbots: «to make human life better, to provide a helping hand, and to do so proficiently and courteously». Non ti basta? «2016 will be the year of conversational commerce», ha sentenziato Chris Messina, imprenditore, inventore dell’hashtag, innovatore per definizione, ribadendo il punto qui e più volte sul suo blog.

    Siamo circondati. Di chatbot è già pieno il mondo. Fatti un giro su Chatbots, mega Chatbot-Directory da far invidia all’Enciclopedia del Sapere Universale, con bot di ogni genere per tutti i gusti. Ne son state persino contagiate le Emoji: come mostra il caso Domino’s, dove basta chiamar in causa via Twitter un chatbot, “travestito” da emoticon simpatica e familiare, per vedersi recapitar a casa una pizza fumante in poco tempo – magari anche quella via robot.

    Che si possa parlare dunque, e sempre in generale, di Chatbot Revolution non stupisce, anche alla luce della relativa facilità di creazione dei bot almeno nelle loro forme più elementari, grazie all’avvento di tool come Gupshup. Una favola già in sé, in quanto piattaforma omnichannel cloud-based per la gestione integrata su piattaforma unica di sms e email, messaggistica e social, ma che gli scenari da sogno te li squaderna in specie quando mostra la facilità (almeno apparente) di realizzare bot, facendoti intravedere uno dei piattini più succulenti: l’integrazione del bot così creato con sms di App proprietarie o persino con Messenger. Più ancora, però, guardati Chatfuel, di cui solo recentemente gli stessi addetti ai lavori son venuti a conoscenza – ma che chi scrive ha da tempo iniziato (timidamente!) a sperimentare, scoprendo che, se persino io riuscivo a realizzarci bot, davvero ha buon diritto di cittadinanza la sua definizione di «creatore di bot», specie in integrazione con App come Zapier o IFTTT.

    Altri nomi di bot, già autonomi e capaci di svolgere servizi in quanto tali, e/o integrabili su piattaforme terze? Assi.st: forte del recente finanziamento di 5 milioni e mezzo di dollari, già ti consente di ordinare fiori o chiamare un taxi, organizzare viaggi o prenotare ristoranti, cinema, teatri.  Senza dimenticare i vari Howdy, Hyper, Pana, Scout, Luka, Rep, o Pandorabots e Prompt.

    forbesAncora, sempre in ambito bot, interessanti le scoperte proprio sul piano editoria, pur tanto bistrattata poco fa (parlando però, non a caso, di quella italiana e, quasi sempre, di «Canali» italiani). Esempi? Il chatbot cerca-tutto di Quartz (@QuartzBot), ormai un caso di scuola: non solo per la sua rapidità nel presentarsi al mercato, ma per la sua «attitudine conversazionale» che ben esprime quando all’opera nell’App mobile della testata stessa. Anche TechCrunch (@TechCrunchBot) e Forbes (@Forbesbot), implementati proprio grazie a Chatfuel, stanno dando ottimi esempi. Meno consigliabile forse il bot di The Verge (@vergebot): ai limiti dello spam per frequenza di updates. Dall’altra parte, però, ecco almeno un esempio tutto italiano di positività nel bot del Corriere (@corrierebot): per capacità innovativa, qualità dell’informazione ed equilibrata sobrietà nelle comunicazioni.

    Robottini un po’ misteriosi questi nostri chatbots, che per ora continuiamo a chiamare e distinguere in «Transazionali», «Conversazionali» in base al livello di evoluzione. Con buona pace di tecnici, esperti e nerd, che in buona parte ci correggerebbero e preciserebbero: «i BOT sono il passato, il futuro sta nel cognitive, in conversazioni con algoritmi che imparano dagli utenti, fanno insight, machine learning, inferenza e deduzione». Come accaduto giorni fa in un bella conversazione online sul mio profilo Facebook – ma ne riparleremo.
    Certo è che i chatbots possono svolgere il loro servizio sia come tali, sia incrementati in piattaforme terze. Dagli sms alle App, dai siti fissi e mobile alle Live Chat, fino ai social più diffusi e all’Instant Messaging. Dove ormai sempre più frequenti si fanno gli annunci dell’imminente, pieno approdo a Facebook Messenger, WeChat, ma anche Peach, Line, KIK, il cui CEO Ted Livingston orgogliosamente dichiara: «The Future of Chat Isn’t AI». E definisce la sua creatura da 200 milioni di utenti la «WeChat dell’Occidente». Persino Google sarebbe ormai a un passo da lanciare la sua risposta a Facebook M – via chatbot, naturalmente: un client di messaggistica in grado di interpretare le richieste degli utenti fornendo risposte e informazioni con l’impiego dell’intelligenza artificiale. 

  1. Se tutto è «così bello», allora, perché Telegram?Perché la «Rivoluzione», la #CustomerExperience Revolution, il potenziale disruptive della nuova forma di comunicazione che si affaccia, si sviluppa al meglio qui e proprio qui: su Telegram e, in particolare, grazie ai «Telegram Bot» e, ancor più specificatamente, nell’interazione e integrazione Canali-BotTelegram Bot+Channels», ChatBot entro Gruppi/SuperGruppi e, soprattutto appunto, Canali, con numero illimitato di membri e funzione pubblica. Ecco la svolta, sotto gli occhi di tutti e, singolarmente, non solo non ancora implementata, ma peggio, nemmeno in apparenza pensata o posta come problema da (quasi) nessuno dei tanti datisi all’assalto della diligenza Telegram negli ultimi tempi.Il punto, invece, sta proprio qui: nei Bot di Telegram, implementati su Telegram, anziché su altre piattaforme, ma soprattutto di questi Chatbots entro i Canali Telegram, alla base di un’inversione di rotta nella modalità di comunicazione, che dalla (talora stigmatizzata) monodirezionalità, passività del Canale, si trasforma in bi-direzionalità attiva e partecipata, dialogo interattivo tra Canale, membro e Chatbot, da «evocare» all’occorrenza, che rende possibile sviluppare e offrire servizi di assai maggior spessore in qualità e quantità.

    Telegram non ha inventato i bot. Né tantomeno, riferendoci a un’integrazione Canali-Bot, parliamo di qualcosa di diverso dai Canali per come ormai li conosciamo. Si tratta semmai di saper cogliere e sfruttare il particolare potenziale di efficacia e utilità, sul piano della Customer Experience e dell’Employee Engagement, di un certo uso di Telegram e delle sue tipicità: la massimizzazione del risultato col minimo sforzoeconomico, di accessibilità, fruibilità, universalità nella diffusione dei contenuti – l’ottimizzazione del rapporto qualità-prezzo. E vale tanto per i bot, i suoi bot, quanto per i suoi Canali implementati con quei Bot. Un giardino insomma, la nostra App Telegram, ove a oggi più freschi, maturi e numerosi crescerebbero i frutti del nostro lavoro: ove più facilmente potrebbe prender vita quella «Rivoluzione #CustomerExperience: vendi il Cuore, l’emozione. Anche via Bot e Chat» di cui parlavamo l’ultima volta.

Avrai capito che qui il piatto si fa ricco e merita una riflessione a parte: prossima puntata a breve! Intanto, però, ribadiamo: la #CustomerExperience Revolution sta dunque sì almeno per ora in Telegram, nei suoi bot, nella sua formula «canali+Bot» – ricordando che:

  1. Parliamo non in valori assoluti ma relativi al fatto che – in sintesi – uno Slack non è per tutti e che farsi un bot su Telegram non è come farselo via questo o quell’altro servizio, magari più sviluppato ma con forti barriere all’ingresso per costi e competenze. Assenti invece (o quasi) su Telegram;
  2. Restando in Telegram, possiamo sfruttare features al momento uniche della piattaforma, di cui già si è detto ma, appunto, riparleremo a breve, comunque sintetizzabili nella già richiamata ottimizzazione del rapporto qualità/prezzo per realizzare i servizi da offrire alla propria clientela esterna e interna;
  3. Queste features, già in sé ottime, le sfruttiamo al meglio non usandole singolarmente, ma integrandole e moltiplicandone così potenzialità e valore: come accade, appunto, nell’interazione e integrazione Canali-Bot.

Qui sta il principio di un Customer Journey davvero memorabile: dell’«evento», il kairòs della #CustomerExperience Revolution. «Ma perché metter un Bot nel mio Canale dovrebbe rivelarsi tanto travolgente?». Se sei lì che te lo chiedi, ben venga. A ore la mia, umilissima, risposta! Stay tuned

Facebook Comments

Previous article10 errori da evitare nel mercato dell’e-commerce
Next articleL’FBI è riuscita ad accedere ai dati dell’iPhone di Rizwan Farook: saga finita?
Digital Strategy R&D Consultant, Public Speaker, Lecturer, Coach, Author. Honoured by LinkedIn as one of the Top 5 Italian Most Engaged and Influencer Marketers. #SocialCare, «Utility & You-tility Devoted», Heart-Marketing and Help-Marketing passionate theorist and evangelist. One watchword - «Do you want to Sell? Help! ROI is Responsibility, Trust» - one Mission: Helping Companies and People Help and Be Useful To Succeed in Business and Life. Writer and contributor to books and white-papers. Conference contributor and Professional Speaker, guest at events like SMX, eMetrics, ISBF, CMI, SMW. Business Coach and Trainer, I hold webinars, workshops, masterclasses and courses for companies and Academic Institutes, like Istituto Tagliacarne, Roma, TAG Innovation School, Buzzoole, YourBrandCamp, TrekkSoft. Lifelong learning and continuing vocational training are a must.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here