Efficienza digitale e ferie: perché dovrebbero essere incompatibili?

Di ritorno dalle ferie, obiettivamente riposato nonostante qualche incursione lavorativa, mi piace iniziare un nuovo periodo a pieno regime con qualche riflessione sui pregi e difetti della digitalizzazione quando si parla di tempo libero e di periodi dedicati al tempo libero.

Nella parte finale di un’estate in cui si sono alternate polemiche sulle 130 ore lavorative settimanali dichiarate da Marissa Mayer e le consuete indagini sui manager che non staccano mai una domanda mi torna in mente come quasi tutti gli anni: avete mai pensato che la digitalizzazione e gli strumenti di lavoro sempre connessi talvolta ci possono rendere meno efficienti?

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: il problema ha a che fare solo fino ad un certo punto con i software e gli strumenti in dotazione e molto invece con il mindset delle persone e delle organizzazioni, dato che come recita la legge di Conwayany piece of software reflects the organizational structure that produced it“. E in molti casi trovo che ci sia una grande immaturità nell’approccio.

Sicuramente il contesto culturale italiano non ci aiuta, infatti siamo spesso portati a pensare che lavorare tanto, comprese le sere e i weekend, sia automaticamente sinonimo di efficienza e produttività. Ovviamente questo non è vero, tanto meno per chi usa molto la testa e poco le mani, ma il fatto di avere sempre al seguito dei device perennemente connessi ci ha creato questo mito di poter agire in qualsiasi momento e, di conseguenza, di essere appunto produttivi.

Essere efficienti (quando serve) nell’era della connessione perenne

In vacanza, come di sera o nel weekend, l’opportunità e il rischio di lavorare diventano due concetti poco distinguibili.

Da un lato, gestire da qualunque punto un’emergenza o un’occasione non possono che essere fattori positivi, in un mondo veloce e globale.

Dall’altra, non bisogna a mio avviso perdere il concetto di deadline entro cui le decisioni fondamentali devono essere prese e non modificate se non per ragioni eccezionali.

E lo stacco dal lavoro continuo e pressante permette al cervello di essere maggiormente efficace quando si presenta la necessità. Senza parlare dei temi della qualità della vita, che lascio a chi più titolato di me in materia.

immagine tratta da https://www.thestar.com
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Per una vera e sana trasformazioni digitale, secondo me, bisogna quindi sapere gestire il tempo e il lavoro in modo diverso, con questi punti chiave:

1) saper programmare in modo nuovo e agile quello che si deve fare e avere pronte delle alternative: essere sempre raggiungibili non vuol dire solo decidere al momento. 

2) essere flessibili è un beneficio che si costruisce con fatica impostando strumenti e procedure che permettano velocemente un cambiamento improvviso o la gestione dell’emergenza. Se ogni variazione costa invece tanta fatica non è questione di impegnarsi di più o di essere reperibili 24/7 allora c’è un problema. 

3) saper cambiare idea è un’ottima cosa se questo risponde a un’esigenza reale, supportata da fatti e dati. Altrimenti si chiama insicurezza, e non ha nulla a che fare con i benefici dei nuovi strumenti di lavoro. 

4) non perdere la visione di insieme: quando si modifica al volo un tassello occorre la consapevolezza del fatto che ogni azione ha una ricaduta su altre realtà interconnesse nell’ecosistema. La fretta cieca in questo non risulta mai un buon alleato.

5) non si può risolvere tutto solo a distanza: ogni tanto bisogna parlare guardandosi in faccia. Anche perché è più difficile fare certe sparate di persona e viene meno il coraggio di produrre le mail grondanti sangue per qualsiasi stupidaggine che si scrivono di notte o in ferie quando si è sfiniti dalla sindrome da Burnout. E dunque ci si capisce meglio. 

6) occorre saper essere rilevanti: nei momenti di ferie o comunque extra lavorativi seppellire collaboratori e colleghi di mail e messaggi su qualunque cosa crea solo stress e, soprattutto, porta quasi matematicamente a non vedere proprio quell’unica comunicazione che invece andava veramente presa per tempo.

Immagine tratta da http://bordiniuc.com
Immagine tratta da http://bordiniuc.com

Per tutti questi motivi, occorre una comprensione sempre più profonda dei mezzi tecnologici e una capacità insieme di pensarli in una chiave che permetta di generare, se non benessere, almeno utilità e coinvolgimento positivo in chi li usa.
È una questione di rispetto, una grande opportunità, una sfida difficile (anche sul piano organizzativo).

Appendice: quando la digitalizzazione va in vacanza

Detto questo “spegnere tutto” secondo me è una soluzione solo in parte, ammesso che sia possibile.

Da oltre 10 anni sono abituato ad avere sempre al seguito in ferie dei dispositivi per connessione mobile (i primi veramente avventurosi!), e se dosati nell’uso sono una grande risorsa nell’andare in vacanza sereni, perché permettono di intervenire se davvero necessario. Inoltre negli anni grazie all’essere sempre connessi ho scovato posti interessanti nei dintorni dove mangiare, ho trovato velocemente servizi che mi potevano servire in loco, insomma ho potenziato la mia esperienza di vita in quei contesti, senza dimenticare la maggiore costanza dei contatti con amici e persone care anche dall’estero. Tutto questo sempre di più vacanza dopo vacanza grazie al migliorare di certi strumenti e alla loro maggiore diffusione.

Non esagerate con l’online… immagine tratta da http://blog.tagliaerbe.com
Non esagerate con l’online… immagine tratta da http://blog.tagliaerbe.com

Questi due concetti, la difficoltà (impossibilità mi pare ancora troppo) di interrompere al 100% e insieme l’opportunità di migliorare l’esperienza contestuale durante la vacanza ci deve di nuovo far riflettere sul rapporto che noi abbiamo con la tecnologia che ci tiene connessi, che alla fine è uno strumento che può essere riempito da ciò che noi vogliamo metterci.

Per questo credo che oggi sia davvero importante fare educazione e formazione su di un sano bilanciamento connessione/disconessione anche a livello di privati (specie per i giovani), andando oltre e prima dell’istituzione di solide policy organizzative aziendali a tutela del singolo ma anche dell’impresa nel suo insieme (gli errori sotto stress li pagano tutti). 

Che ne pensate?

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Si occupa di Digital Strategy dal 2000 con, fin da subito, la convinzione che servano profili in grado di conciliare le logiche di business con una solida conoscenza della tecnologia in modo ibrido. Dal 2006 al 2014 è responsabile del Digital Marketing per un gruppo leader nel settore retail e successivamente, fino al termine del 2016, si occupa all’interno della stessa società dell’intero ecosistema della Customer Technology, facendo in modo di colmare la distanza tra Marketing, Change Management e gestendo l'Innovation Lab interno dell’azienda. Oggi ricopre un analogo ruolo di Digital Transformation a livello global per un importante brand del lusso italiano. Appassionato divulgatore con il blog http://internetmanagerblog.com, è docente in master e in corsi di alta formazione. Oltre ai viaggi digitali, ama conoscere nuovi posti anche nel mondo fisico.

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