Giocare allo storytelling tra digitale e seriousgame

Non è possibile riassumere lo storytelling in un’unica ricetta. Lo abbiamo detto tante volte. Il raccontare storie, al di là della modalità tecnica specifica, si esprime in forme piuttosto varie a seconda del medium che le veicola e del tipo di contesto. Ho da poco pubblicato un testo per Franco Angeli, dal titolo Corporate Story Design, che indaga le possibili interazioni delle strutture più comuni della narratologia con la dinamica di conversazione dei social network. Un settore importante che – nonostante non sia così lontano dallo storytelling di cui parla Annette Simpson nel suo bel libro The Story Factor – introduce un aspetto progettuale importante. In effetti, se per un momento prendiamo le distanze dalla finalità morale delle storie e da ciò che vogliono significare, se davvero per un momento mettiamo in stand by il valore meta-letterario dei racconti, possiamo concentrarci sul reale funzionamento degli schemi all’interno dei quali le narrazioni si sviluppano. I social network, con il loro discorso continuamente frammentato in incidentali momenti di disturbo (commenti, battibecchi, dibattiti, ecc), hanno nel tempo acquisito un ruolo importante nella narrazione. Prima di tutto perché, rispetto all’input iniziale di un’informazione (come, ad esempio, un articolo condiviso in una bacheca) gli utenti tendono ad aggiungere, interpretare, manipolare. Così capita che un contenuto, nel passaggio dalla fonte ufficiale alle sue tante interpretazioni in rete, cambi forma mille volte. Il Coro degli Utenti, così ho definito l’interazione degli internauti presenti nei social, continuamente forma e rielabora i contenuti di una storia.

Se dal punto di vista del prodotto narrativo in sé, i social non fanno che amplificare la forza o meno di un messaggio, da quello dello sviluppo della storia agiscono come parte attiva nella riscrittura del testo. Non si tratta più soltanto di rimpallarsi a vicenda un video di successo, come nel caso dei principali spot virali dei grandi brand (in taluni casi ispirando il clima da digital challenge come nei christmas advert di Allegro o Amazon), quanto piuttosto di intervenire nella storia con una serie di interferenze autoriali.

È il caso delle narrazioni scomposte in conversazioni e che, rispetto al prodotto finzionale finito, implicano la produzione aggiuntiva di contenuti in varie piattaforme e in varie forme (video, immagini, testi, link, post in risposta ad altri post, ecc.). L’input, spesso, è una provocazione, un pretesto che, però, ha un forte potenziale narrativo. Come nel caso delle notizie fake (ultimamente la scena è presa da Ermes Maiolica, il re delle bufale e dalla sua pagina Facebook Scarfake), che scatenano i social in tutto il loro potenziale. Forse è anche per questo che, oggi, si guarda molto alle metodologie di scrittura e progettazione in ottica storytelling; si guarda, cioè, agli schemi in relazioni agli ecosistemi e a come essi posso interagire con i contenuti.

È questo il caso di Intertwine, social network per lo storytelling basato su creatività condivisa e su collaborazione tra scrittori, lettori e talenti con lo scopo di creare, condividere e pubblicare opere editoriali multimediali collaborative. La start up, una rete di circa 15.000 iscritti, dopo una serie di premi e riconoscimenti (tra i quali Wind Business Factor nel 2013), ha raccolto per la precisione 1.035.000 euro tramite tre operazioni: un aumento di capitale, il bando Smart&Start Italia e un finanziamento dal Banco di Napoli ottenuto attraverso il Fondo di Garanzia. Questo progetto, che promuove l’ambiente creativo in rete sfruttando il potenziale collaborativo del comportamento degli utenti, descrive meglio di tante teorie l’evoluzione del linguaggio e, mettendo in evidenza le interazioni tra persone, sottolinea l’importanza di un immaginario che, pur riferendosi ad archetipi ben precisi, li riorganizza in forma condivisa in modi sempre diversi. Di fatto, è questo il senso dell’approccio trans-mediale.

In alcuni casi, la narrazione diventa sistema di gioco, strumento di organizzazione di team e opportunità per configurare nuove metodologie di progettazione e lavoro. È il caso di Fabula Storytelling Cards, una sorta di serious game che utilizza un mazzo di carte per inventare e decodificare storie di ogni genere. Il lavoro di Matteo Di Pascale, un UI Designer con il talento creativo del role playing, si basa sulle teorie di Campbell.

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Sempre sul genere – con un gruppo di lavoro legato alla piattaforma Learningame, progetto dedicato alla realizzazione di format narrativi per la formazione manageriale – è nato Operazione Rinascimento, un gioco di ruolo con l’obiettivo di guidare i partecipanti in un percorso di sense e decision making che utilizza delle carte per riscrivere in modo progettuale la storia di Michelangelo, Leonardo e Raffaello.

Ci sono, poi, i sistemi che utilizzano strumenti creativi per raccontare un contenuto specifico in forma di gioco, come nel caso di The Design Deck, creati dal designer Ben Barret Forrest, un mazzo di carte per raccontare i diversi aspetti del design. I temi toccati sono grandi classici: tipografia, teoria dei colori, tecniche di progettazione, storia dell’immagine.

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La maggior parte di questi straordinari sistemi si è autofinanziata nella fase di prototipazione utilizzando il crowdfunding di Kickstarter, il che fa ben sperare rispetto alla crescita di attenzione e sensibilità del pubblico.

Creare storie, quindi, sta sempre più diventano un’operazione complessa, collaborativa, legata al tempo della rielaborazione e della riproduzione di contenuti in un’operazione temporale che coinvolge circuiti e canali distributivi differenti. Un grande gioco, insomma, che vale la pena seguire con molta, molta attenzione.

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Laureato in Lettere Moderne, specializzato in management della cultura e progettazione europea, collabora con università, enti pubblici e imprese nel settore dell'innovazione e sviluppo sostenibile. Ricercatore e manager attento al cambiamento del mondo contemporaneo ha maturato competenze in diversi settori, dalle scienze sociali alla digital economy. È il fondatore della rete The Next Stop dedicata all'incontro tra il management culturale e l'innovazione, è fondatore di Lateral Training think tank dedicato alla consulenza sui temi del business coaching, corporate storytelling e marketing digitale. È trainer e formatore professionista, sia nell'ambito comportamentale che in quello del design di nuovi processi organizzativi. È presidente dell'Associazione Italiana Sharing Economy e Direttore Scientifico del primo festival di settore, il Ferrara Sharing Festival. È in via di pubblicazione il libro per Franco Angeli Corporate Story Design, manuale per la progettazione e gestione di storie d'impresa. È web designer e senior content marketer per passione, curiosità, professione. Ama leggere, scrivere, vedere film in quantità industriale e occuparsi di nuove tendenze e linguaggi dell'ambiente digitale. Non disdegna gli studi sulla gamefication e il game design. Ha fondato diverse riviste, Event Mag, Limemagazine, The Circle (ancora in pubblicazione). Dal punto di vista tecnico è certificato come: esperto di epublishing Amazon Kindle, esperto di newsstand application design Apple-iTunes store ed esperto di sistemi WooCommerce per wordpress.

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