Monaco vuole tornare a Windows. O viceversa?

Nel 2003 al comune di Monaco di Baviera viene democraticamente deliberato che entro i prossimi dieci anni i quindicimila computer dell’amministrazione abbandonino Microsoft Windows per installare LiMux, un sistema operativo libero basato su Linux e creato ad hoc per i bisogni della città. E dei cittadini. Non ne fanno una questione di soldi: gli studi dicono che probabilmente lasciare Windows sarebbe più conveniente, almeno nel breve periodo. Com’è ovvio che sia, perché generalmente cambiare costa più che non cambiare. A Monaco ne fanno una questione di libertà, di sicurezza, di indipendenza dai fornitori e di opportunità “di promuovere le piccole-medie aziende locali nei progetti di miglioramento dell’infrastruttura IT della città anziché mandare i soldi all’estero dandoli a una grande società americana”.

La storia è sconosciuta ai più, perché non ci sono grandi interessi economici: chi ci guadagnerebbe a raccontare dell’inutile viaggio di Ballmer in Baviera per convincere il sindaco a lasciar perdere il software libero perché inaffidabile? Chi ci guadagnerebbe a sapere del sindaco che chiede al CEO di Microsoft: “Che alternativa ci offrite?” ottenendo in cambio il silenzio? Eppure è una storia di successo, perfino economico. C’è uno studio pubblico del comune che dimostra un risparmio di almeno dieci milioni di euro. E c’è anche uno studio segreto di HP (partner di Microsoft, come tutti i grandi produttori di hardware) che parla invece di maggiori costi per sessanta milioni di euro, senza però spiegare come sono stati calcolati. E LiMux, il “sistema operativo del sindaco”, semplicemente funziona.

Atto secondo

Microsoft intanto si impegna molto, almeno in Germania, per rendere piacevole il lavoro ai suoi dipendenti teutonici. Già dal 2014 essi possono lavorare “dove e quando vogliono”, senza dover andare necessariamente in ufficio e senza orari da rispettare. Ballmer deve aver detto loro: “io guardo il risultato”. E dallo scorso settembre i rilassatissimi dipendenti tedeschi andranno – se e quando vogliono, sempre – a lavorare nel nuovissimo quartier generale appena inaugurato. Dove? A Monaco di Baviera, dove a breve aprirà anche il primo laboratorio europeo dedicato all’IoT.

Atto terzo

Già nel 2014 la nuova amministrazione della capitale della Baviera, guidata dal socialdemocratico Dieter Reiter, definitosi in un’intervista “un fan di Microsoft”, le cose si fanno difficili per LiMux. Dev’essere che improvvisamente il sistema operativo si sia messo a funzionare male, anche se l’immancabile studio “indipendente” commissionato ad Accenture (partner Microsoft) in realtà non lo dice chiaramente, suggerendo piuttosto di analizzare i problemi uno per volta e risolverli caso per caso, magari anche cambiando il software se e dove è necessario. Fatto sta che lo scorso febbraio la giunta chiede di votare una mozione volta a dichiarare definitivamente chiusa l’esperienza di LiMux e imponga il passaggio a Windows 10 e Microsoft Office365 su tutto il parco macchine amministrativo, con una spesa stimata attorno ai 90 milioni di euro di soldi pubblici in sei anni, 25 milioni in più della soluzione proposta dallo studio di Accenture. Non per ragioni economiche, se è vero che cambiare costa più che non cambiare (e cambiare tutto costa più di cambiare solo quello che non funziona, ma tant’è), né per ragioni di libertà o di sicurezza. Sì, dev’essere proprio perché LiMux non funziona, o almeno non funziona più. O forse non piace. O per qualsiasi altra ragione, incomprensibile ai più, dato che molti, compresi i vertici di The Document Foundation, non hanno tardato a manifestare il proprio sconcerto e disappunto nei confronti della volontà della nuova amministrazione di rinunciare alle scelte di libertà e di indipendenza fatte ad inizio millennio.

Atto quarto

Karl-Heinz Schneider è il capo di it@M, la società che fornisce servizi IT al comune di Monaco. In un’intervista sul magazine tedesco Heise, ripresa successivamente anche da TechRepublic, viene chiesto a Schneider di spiegare le ragioni tecniche del ritorno a Windows. E lui spiega:

  • che non c’è nessuna seria ragione tecnica per passare da LiMux e LibreOffice a Windows e Office365;
  • che i problemi di compatibilità e di interoperabilità (leggi: necessità di scambiare documenti nei formati proprietari di Microsoft. In realtà l’interoperabilità si raggiunge passando ai formati standard, non a quelli proprietari, ma questa è un’altra storia) addotti per giustificare il cambiamento sono (già) stati affrontati e risolti a suo tempo, in genere fornendo MS Office su macchine virtuali alle postazioni che ne avevano comprovata necessità;
  • che molti dei problemi tecnici derivano in realtà dalle poche macchine obsolete, molte delle quali mantenute in funzione proprio per tenere in vita versioni (disomogenee) di Windows e Office (ma ce ne sono anche alcune con vecchie versioni di LiMux che non sono state adeguatamente aggiornate). Cattiva gestione e manutenzione, dunque, confusa con problemi del software libero;
  • che il dipartimento (KVR), su cui sembrano concentrarsi i problemi, non usa sistemi operativi Linux sui suoi client, ma sistemi Windows, mentre Linux gira solo sui server.
  • che LiMux, seppur possa sempre essere migliorato in efficienza e intuitività (ma è software libero, si può fare), ha i normali problemi che tutti i sistemi possono avere quando si installa un nuovo programma o una nuova stampante o si aggiornano quelli esistenti. Cose che capitano.

Unendo i puntini della storia viene fuori un quadro che non parla di bisogni o necessità tecniche, ma del desiderio – per ora irrealizzato – dell’attuale amministrazione comunale di Monaco di tornare a Windows e del desiderio – in parte realizzato – di Microsoft di tornare a Monaco. E resta l’impressione che non si stia cercando la soluzione a un problema, ma un problema alla soluzione.

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