Trasparenza batte Ministero della Giustizia 1 a 0

Grande successo per l’azione giudiziaria nata dall’iniziativa del gruppo Facebook “Trasparenza siti web pubblica amministrazione” nei confronti del Ministero della Giustizia. Alcuni componenti del gruppo hanno proposto riscorso presso la Prima Sezione del Tar Lazio che, con sentenza n. 9076 del 28 luglio 2017, ha riconosciuto l’inadempimento da parte del Ministero agli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, trasgredendo, in particolare, al disposto dell’art. 15-ter del D.Lgs. 33, come modificato dal cosiddetto Decreto FOIA – Freedom of Information Act.

Di fronte a un’istanza di accesso civico semplice – anche a fronte di quel FOIA, che era stato tante volte sventolato come baluardo della libertà di informazione – volta ad ottenere la pubblicazione delle tabelle relative dell’albo degli amministratori giudiziari, complete dei dati sugli incarichi ed i compensi,  in formato aperto, riutilizzabile e secondo modalità che ne consentissero l’indicizzazione e la rintracciabilità tramite motori di ricerca, proprio il Ministero della Giustizia non ha dato alcun cenno di risposta.

Quando si tratta di trasparenza, il silenzio non è una risposta ammissibile

Questa è appunto la condotta censurata dal Collegio giudicante, non risultando intrapresa alcuna azione, neppure dopo la presentazione dell’istanza di accesso, al fine di rimediare all’omessa pubblicazione.

Come si poteva rimediare all’inerzia del Ministero della Giustizia? Semplicemente applicando le norme sulla trasparenza. Ora il Ministero dovrà invece farlo, per effetto della sentenza, entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notifica. Il Ministero dovrà riscontrare l’istanza di accesso e provvedere alla pubblicazione dell’albo degli amministratori giudiziari completo dei dati previsti dalla legge. Del tutto immotivatamente, però, le spese di lite sono state compensate tra le parti. E questo – pur se di vittoria si tratta – non è un buon inizio per invogliare i cittadini italiani a invocare giudizialmente i propri diritti alla trasparenza.

Carmela Pace, membro del gruppo Facebook Trasparenza siti web pubblica amministrazione nonché firmataria dell’istanza di accesso civico partecipato da vari membri del gruppo ha dichiarato: “Su questa vicenda il silenzio dell’ANAC è assordante. Troppo facile fare a parole la trasparenza e l’anticorruzione, invitando i cittadini a partecipare per il bene collettivo e poi lasciarli soli a sostenerne l’onere, anche economico. L’Autorità deputata a vigilare (ANAC), tra l’altro, era destinataria, per conoscenza, dell’istanza di accesso. Ringrazio i Giudici amministrativi per questa sentenza che ordina al Ministero della Giustizia di rispettare la legge. Una frase quest’ultima mia che sarebbe degna delle tavole del “teatro dell’assurdo” e che, invece, descrive una situazione reale, benché paradossale. La società civile c’è e quando è coesa ed organizzata, come nel nostro gruppo, fondato da Laura Strano, che riunisce tanti sostenitori della trasparenza, riesce ad ottenere conquiste importanti. I cittadini attivi vanno visti come una risorsa. Le Autorità farebbero bene a dare il giusto risalto e sostegno a gruppi come il nostro e, soprattutto, farebbero bene ad accogliere le nostre segnalazioni come input su cui procedere per la prevenzione della corruzione“.

Laura Strano, fondatrice del gruppo Facebook Trasparenza siti web pubblica amministrazione, esprime la sua soddisfazione: “Grazie all’impegno del gruppo trasparenza che mi onoro di avere fondato si aggiunge oggi un altro tassello al raggiungimento dell’obiettivo della trasparenza della PA con la partecipazione dei cittadini. Gutta cavat lapidem – “la goccia perfora la pietra”. Nessuno si senta esente dagli obblighi di trasparenza se agiscono i cittadini”.

Anche l’Avv. Andrea Lisi, anch’egli componente del Gruppo Trasparenza e fondatore del gruppo Facebook Italian Digital Minions, sottolinea l’aspetto incredibile della vicenda: “È assurdo che proprio il Ministero della Giustizia vada a violare una legge che viene invece definita rivoluzionaria dai suoi stessi propugnatori. La normativa risulta ancora troppo complessa e contraddittoria tanto che lo stesso TAR ha ritenuto doveroso compensare le spese di giudizio considerata la novità e delicatezza della questione? Spero sinceramente che non sia così, anzi ne sono certo, ma spero anche che in future occasioni (che certamente verranno) altri Giudici possano essere ancora più coraggiosi, condannando – come è giusto che sia – le amministrazioni soccombenti al pagamento di tutte le spese processuali; del resto questa vicenda dovrebbe far riflettere su quanto non sia facile esperire azioni collettive a tutela di diritti ampi come quello dell’informazione e trasparenza con costi di giudizio così elevati.”

 

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