Quali le nuove modalità di lavoro e apprendimento con ICT e social?

L’innovazione digitale e gli sviluppi tecnologici hanno determinato, nel corso degli anni, cambiamenti negli ambienti di vita e nei contesti organizzativi. L’uso delle ICT è destinato a diffondersi ulteriormente, come definito dalla strategia dell’Agenda digitale europea che prevede di accelerare la diffusione della rete Internet ad alta velocità per sfruttare i vantaggi di un mercato unico del digitale adatto a famiglie ed imprese.

Secondo uno studio, che ha coinvolto oltre 22.000 consumatori dai 15 anni in su, condotto nel 2016 da GFK attraverso un’indagine online in ben 17 Paesi emerge che il 42% delle persone pensa che sia importante essere sempre connessi; oltre un terzo degli intervistati, ovvero il 34%, ammette di avere delle difficoltà a concedersi una pausa dalla tecnologia (Smartphone, Computer, TV, ecc.), anche quando sa che dovrebbe farlo. In Italia questa situazione si verifica per il 29% degli intervistati: probabilmente siamo dipendenti dalla tecnologia più di quanto immaginiamo.

L’economia digitale sta trasformando anche il modo di lavorare e ciò comporta una modifica delle competenze necessarie al lavoro. Questo rappresenta una grande sfida per i datori di lavoro, i lavoratori e le autorità pubbliche che devono poter di individuare le opzioni politiche più appropriate per supportare la trasformazione del mercato del lavoro in opportunità per tutti.

Già oggi ad esempio una delle opportunità che la tecnologia può offrire è la possibilità di lavorare in maniera più flessibile favorendo un maggiore benessere e una maggiore soddisfazione dei lavoratori. Infatti proprio in questa ottica dobbiamo considerare il lavoro agile o il cosiddetto smart working come una filosofia di lavoro in cui si tenda a massimizzare la produttività attraverso un migliore bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro come indagato nella monografia INAIL di recente pubblicazione, che indaga proprio l’impatto delle ICT sul lavoro e sul benessere dei lavoratori. Indubbiamente la digitalizzazione dei processi aziendali e l’organizzazione per obiettivi sono precondizioni che agevolano notevolmente l’instaurarsi di questo percorso. Per promuovere gli obiettivi di business e rimanere competitivi – ha dichiarato recentemente Dermot O’Brien, chief human resources officer di ADP – i datori di lavoro devono consentire la flessibilità, poiché la tecnologia sostiene la realizzazione delle carriere e fornisce la possibilità di coltivare gli interessi personali nel rispetto della mission aziendale. Rendersi conto di queste esigenze del personale e saperle gestire apporta notevoli vantaggi economici all’azienda stessa.

In tale senso si muove anche la normativa italiana, che nel testo definitivamente approvato dal Senato lo scorso 10 maggio (DDL AS2233–B), recante “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, promuove il lavoro agile allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in quanto modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Il decreto stesso prevede inoltre che la prestazione lavorativa venga eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza il vincolo di una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Chi guida il cambiamento in Italia?

In Italia a guidare il cambiamento sono le grandi imprese. Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, infatti, le iniziative strutturate relative a questa modalità messe in atto da tali organizzazioni, nel periodo compreso tra il 2015 e il 2016, sono aumentate dal 17% al 30%, mentre nelle Piccole e Medie Imprese, sebbene il livello di consapevolezza e apertura sia cresciuto, il numero di imprese con progetti strutturati rimane appena sotto la soglia del 5%. In Italia ad oggi il caso della Siemens rappresenta una delle più recenti e forse più ambiziose iniziative attuate da una grande organizzazione in quanto coinvolge un numero molto elevato di lavoratori e fissa il raggiungimento degli obiettivi di performance concordati con i dipendenti non limitatamente a una parte dei giorni della settimana, ma a tutti i giorni indistintamente. Infatti, dopo una prima sperimentazione, gli oltre 2 mila dipendenti (tutti impiegati) avranno la possibilità di scegliere ogni giorno se lavorare in ufficio oppure da casa o altrove. Questo comporterà, a partire dal 2018, l’eliminazione dell’obbligo di timbrare il cartellino in entrata e in uscita. La misura della prestazione di lavoro tradizionale (ore/giorni) verrà pertanto sostituita dalla definizione di obiettivi, sentiti i lavoratori interessati, con successivo controllo di risultato.

ICT e competenze digitali

L’espansione della tecnologia in maniera così preponderante negli ambienti di lavoro può avere successo solo se si lavora sull’acquisizione delle competenze digitali necessarie. Questo aspetto è stato oggetto di indagine anche da parte della Commissione europea che nel recente studio “ICT per il lavoro: competenze digitali sul posto di lavoro” ha proprio indagato l’impatto delle ICT sulla trasformazione dei posti di lavoro e le nuove competenze necessarie. I risultati raccolti dimostrano che le tecnologie digitali vengono utilizzate in tutti i tipi di lavori, anche in settori economici non tradizionalmente legati alla digitalizzazione, come ad esempio l’agricoltura, l’assistenza sanitaria, la formazione professionale e il settore delle costruzioni. Da tale indagine, che ha coinvolto un campione rappresentativo di 7.800 luoghi di lavoro appartenenti a 12 settori economici in 6 Paesi Membri delle UE, emerge che le tecnologie digitali sono ampiamente utilizzate in tutti i luoghi di lavoro dell’Unione. Infatti il 93% dei luoghi di lavoro europei utilizza postazioni di pc fissi, il 94% utilizza la tecnologia a banda larga per accedere a Internet, il 75% utilizza computer portatili e il 63% altri dispositivi portatili, e infine il 22% utilizza piattaforme intranet. Un altro dato importante riguarda il rapporto tra la dimensione del posto di lavoro e l’accesso alle tecnologie digitali. Le aziende di dimensione maggiore fanno un uso più elevato di tecnologie digitali rispetto a quelli più piccole, che in molti casi ritengono ancora poco vitale per il loro business investire in nuove tecnologie. Inoltre, nelle micro imprese e tra i piccoli datori di lavoro, dove sussiste una maggiore richiesta di competenze digitali, risulta difficile assegnare al personale tempo per l’acquisizione di tali nuove competenze e troppo costosa la realizzazione di programmi di formazione adeguati. Questa situazione è meno rilevante per i datori di lavoro delle grandi aziende che dispongono invece di maggiori risorse per sviluppare programmi di formazione o acquistarli in outsourcing. Ma è anche importante ricordare che attualmente alcune aziende di piccole e medie dimensioni ritengono di non avere bisogno delle ICT e quindi non richiedono al mercato tali competenze.

Quale ruolo ha la formazione in azienda?

La formazione ha un ruolo chiave all’interno delle aziende, non solo come strumento per supportare lo sviluppo di nuove competenze digitali al loro interno, ma anche per abilitare i cambiamenti nei modelli di lavoro e per l’impatto positivo che essa può avere sull’engagement e la valorizzazione dei talenti. E’ pur vero che la formazione tradizionale in aula ha ancora un peso molto rilevante nelle modalità di fruizione: su 5 giornate annuali di formazione medie per addetto, 3,32 sono trascorse in aula. Cresce tuttavia l’interesse verso nuovi canali e approcci alla formazione, con un ripensamento delle attività in chiave digitale per un arricchimento delle attività tradizionali e una loro migliore integrazione. L’apprendimento sta diventando sempre più auto-gestito e spesso si realizza lontano dai tradizionali contesti educativi formali, quali scuole ed Università: infatti lo sviluppo delle ICT per l’apprendimento ha permesso alle persone di imparare sempre e ovunque. La tecnologia Web 2.0 e l’uso dei social media consentono di rivalutare l’importanza e la prevalenza dell’apprendimento informale nei luoghi di lavoro rispetto a quello formale e non formale che si può attuare attraverso varie modalità (come ad esempio blended learning, social learning, community, gamification) e in contesti diversi.

Effetti dei social media sull’apprendimento legato al lavoro

L’apprendimento all’interno delle organizzazioni non comporta solo la formazione e l’istruzione dei dipendenti, ma anche processi di condivisione della conoscenza informali che hanno un effetto positivo sullo sviluppo delle competenze dei dipendenti stessi. Rashid Ali,in una indagine del 2014 sul comportamento e sull’accettazione del social network come sistema informativo di apprendimento, ha evidenziato che la maggioranza dei lavoratori siano favorevoli all’uso dei social network per l’interazione con colleghi, anche di diversi livelli gerarchici, per la condivisione delle conoscenze e delle esperienze e soprattutto come sistema abilitante per l’apprendimento informale.

Non sempre, però le azioni volte alla formazione aziendale sono in grado di tenere conto delle competenze dei dipendenti sviluppate attraverso tale apprendimento informale: le aziende hanno infatti difficoltà a usare la conoscenza emersa durante le attività (individuali e/o collaborative) di lavoro e d’apprendimento per sfruttare, in maniera efficace ed efficiente, le competenze già esistenti. E’ indubbio che oggi la maggiore sfida per i formatori è proprio quella di riuscire, anche con l’aiuto delle nuove tecnologie, a predisporre attività di apprendimento collaborativo e fornire metodi utili a rispondere al contempo sia alle esigenze personali d’apprendimento sia alle strategie e ai vincoli dell’organizzazione.

In tale ottica anche l’area di competenza del formatore dovrà essere costruita sperimentando ed elaborando artefatti e scenari che considerino le peculiarità del contesto digitale, poiché solo in questo modo si avrà l’opportunità di superare la semplice integrazione delle nuove possibilità formative nei quadri operativi del passato. Le piattaforme formative, inoltre, dovranno essere inserite nel giusto tipo di processo che includa la progettazione, la conoscenza dello strumento e le competenze riflessive sull’intero percorso di apprendimento altrimenti si rischia di attuare percorsi formativi non efficaci.

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