LibreItalia: ecco quello che è successo

Dal 21 agosto 2017 non sono più presidente di Associazione LibreItalia. Dal 21 agosto in associazione non ci sono più nemmeno Marco Alici, Osvaldo Gervasi, Emma Pietrafesa e Andrea Castellani, che sarebbe potuto subentrare in Consiglio ma ha rinunciato a farlo. Per molti sarà una sorpresa, per quelli che leggono il blog del consigliere e presidente onorario Italo Vignoli no visto che, piuttosto che confrontarsi in Consiglio o formalizzare via pec o raccomandata, ha pubblicato e diffuso sui social le sue dimissioni irrevocabili (poi revocate, poi ripresentate e poi revocate nuovamente), attaccando me e quindi l’associazione, per poi ritirare tutto, con annesso secondo post, e tornarsi a sedere nello stesso posto dal quale si era alzato almeno per il momento.

Ho pensato molto prima di scrivere qualcosa che potesse spiegare a chi vive sereno fuori dalla lista soci dell’associazione cosa fosse successo. Questo per evitare che si possa pensare a un colpo di calore che ha colpito improvvisamente cinque persone che tanto si sono spese in questi anni a favore del software libero e di LibreItalia. La situazione, strumentalmente confusa come una questione personale tra me e Vignoli, è a distanza di qualche giorno probabilmente semplice da interpretare.

I fatti

Tutto nasce dalla volontà di organizzare la conferenza LibreOffice a Roma e dal fatto che The Document Foundation, fondazione che supporta il progetto LibreOffice, delega alle comunità locali la gestione amministrativo-contabile e organizzativa della conferenza, con tutti i rischi e le responsabilità annessi e connessi (da qui la famosa frase che dai tedeschi c’è sempre qualcosina da imparare).

Italo Vignoli è esperto nell’organizzazione di conferenze ed è anche consulente di The Document Foundation per attività di comunicazione e marketing. Lui sostiene fin dall’inizio di poter coordinare e sovrintendere. Si dimentica però di definire il ruolo di LibreItalia che nella sua mente è organizzatore dell’evento mentre in Consiglio non si è mai valutato, discusso, deliberato tale ruolo che porta con sé rischi, benefici, costi, attività da svolgere. Quando quella che lui sarcasticamente e solo a fine carriere chiama “la presidentessa” lo fa notare, Vignoli si dimette la prima volta con post pubblico e, prima che si possa decidere sul da farsi, scrive anche al board di The Document Foundation che l’associazione non è in grado di.

Vignoli è convinto che non si debba passare dal Consiglio, che lui può muoversi autonomamente e il Consiglio avallare a posteriori, tanto che firma a nome di LibreItalia (ma senza essere delegato a farlo) con il Comune di Roma, patrocinatore della conferenza, un documento utile alla concessione gratuita delle sale.

La presidentessa” convoca un Consiglio d’urgenza, chiede che si deliberi il ruolo di organizzatore di LibreItalia valutando prima ciò che il Vignoli dimissionario non ha condiviso in Consiglio e neppure, per ammissione di alcuni membri, con il comitato organizzatore di cui fanno parte i consiglieri Marina Latini (anche presidente TDF), Giordano Alborghetti, Osvaldo Gervasi (membro del board TDF) e Antonio Faccioli.

In Consiglio “la presidentessa” chiede di deliberare il ruolo di LibreItalia come organizzatore ma alcuni consiglieri membri anche del comitato organizzatore preferiscono rimandare la decisione al 21 agosto, dopo aver preso visione dei documenti richiesti dalla “presidentessa”. Come atto dovuto si chiede a Vignoli di ripensarci e, a sorpresa, lui annulla il post Dimissioni e rientra dettando condizioni: organizzare una conferenza internazionale è cosa fattibile, non si deve essere burocrati e si devono fare subito un paio di fatture, richiesta delle sale, inviti utili ai visti per gli stranieri, ecc. C’è un pacco di fogli da firmare a scatola chiusa, senza esitazione, c’è fretta di farlo perché mancano meno di due mesi.

La presidentessa”, allora, si dimette per dare un segnale: l’associazione va difesa e tutelata perché nno è casa propria, ma la casa di tutti e soci. E’ l’insieme delle persone che si sentono rappresentate in una missione, e come tali vanno tutelate.

Seguono le dimissioni di altre quattro persone e pochi minuti prima del Consiglio già convocato per il 21 agosto arrivano le dimissioni bis di Vignoli, valide dal primo secondo dopo la mezzanotte. Dimissioni inutili in quanto ancora dimissionario, ma necessarie a gettare altre accuse a destra e a manca, oltre a rimarcare che la sua presenza in Consiglio è “incompatibile” con chi la pensa in modo diverso da lui ovvero “la presidentessa”, Emma Pietrafesa e Osvaldo Gervasi.

Vignoli nel Consiglio del 21 ha una missione importante: salvare LibreItalia (anche dall’assemblea dei soci, visto che si decide di non convocarla subito perché non c’è tempo da perdere). Rientra quindi in Consiglio e insieme a Latini, Gemmo, Alborghetti, Faccioli e Ponzo (nel frattempo subentrato ai dimissionari), tutti membri del comitato organizzatore della LibreOffice conf e convinti sostenitori del fatto che LibreItalia dovesse organizzare la conferenza, a sorpresa delibera solo il patrocinio, lasciando la gestione operativa al Comitato organizzatore come per la conferenza LibreOffice di Milano del 2013. Chi sarà il responsabile? Chi fatturerà? La cosa non è ben chiara ma non sarà LibreItalia a farlo. Vista l’esperienza del ballo di samba di Vignoli, per sicurezza, il nuovo Consiglio non chiede alla presidentessa di ripensare alle sue dimissioni. Visto mai che volesse ballare anche lei adesso che si patrocina soltanto?

Se si dovesse sintetizzare: Vignoli e gli altri membri del vecchio Consiglio che ora siedono nel nuovo vogliono che LibreItalia organizzi la conferenza, ma dopo le dimissioni della presidentessa e di altri 4 deliberano di NON organizzare (ma solo patrocinare) la conferenza di Roma, lasciando la gestione operativa, amministrativa e contabile al comitato organizzatore e presumibilmente ad altro soggetto privato che fatturerà. Deliberano cioè il contrario di quello che si chiedeva alla presidentessa di fare.

Qualcuno potrebbe ironizzare dicendo che siamo tutti organizzatori con la firma degli altri. E che magari, come infatti afferma Vignoli nel suo secondo post, una strategia può esserci stata. Non si sa da parte di chi. Del resto, il processo alle intenzioni non è bello farlo pubblicamente e ognuno emana il verdetto individualmente.

Il perché delle dimissioni

La dimissione è arrivata perché LibreItalia per me è stata fin da subito un posto in cui custodire valori etici importanti:

condivisione, che non c’è nel momento in cui si pensa di poter prendere decisioni senza averle prima presentate chiaramente, discusse e deliberate in quel Consiglio che rappresenta i soci, unici “proprietari” dell’associazione;

collaborazione, che non c’è se si pensa che debbano essere gli altri a fare quello che si deve fare, senza preoccuparsene in prima persona;

libertà, che non c’è quando utilizziamo un metodo manipolatorio con cui si tenta di piegare gli altri, chiedendo il silenzio rispetto a commenti o pareri in contrasto con i nostri;

rispetto, che non c’è quando, rifuggendo il confronto diretto, si pubblicano accuse non surrogate dai fatti per i quali ci sarebbe da scrivere un lungo post nella sezione fake news;

fiducia, che non c’è se si deve aver timore che qualche membro del Consiglio o dell’associazione possa presentarsi a nome di LibreItalia senza avere delega a farlo e senza aver condiviso con altri gli impegni da prendere;

trasparenza, che non c’è se non si condividono informazioni utili a prendere decisioni importanti;

onestà intellettuale, che non c’è se si confonde il lavoro con il volontariato, un’associazione con una fondazione, un individuo o un’azienda privata;

serietà, che non c’è quando si sottovalutano rischi e possibili ripercussioni negative solo perché a carico di un’associazione intera o di un’altra persona;

lealtà, che non c’è se si condividono con altri scambi personali di email;

coraggio, che non c’è quando piuttosto che confrontarsi apertamente e risolvere insieme un problema, si scappa prima per poi eludere il problema scegliendo la soluzione più facile;

semplicità, che non c’è quando si confonde la semplificazione con la capacità di risolvere problemi complessi approcciandoli con metodo.

Le associazioni sono rappresentate dal Presidente e guidate dal Consiglio. Si lavora in squadra e a nessuno è data la possibilità di prendere decisioni individuali perché quella è la strada per deformare ogni spirito associativo. Se avessi avallato una decisione non condivisa avrei mancato di rispetto al Consiglio e ai soci, avrei (stavolta sì) violato lo Statuto e ogni senso etico di associazione.

Ha ragione Vignoli quando dice che il “caso LibreOffice Conference” è solo uno di quelli in cui ci sono state quelle che lui definisce “radicali divergenze di vedute con la presidentessa”, tutte riconducibili alla volontà mia e di altri membri del Consiglio di preservare i valori appena citati, che sono anche alla base del software libero. Valori che richiamiamo nei seminari, nei corsi e tutte le volte che elenchiamo i motivi per i quali scegliere open source. E io come altri, nella vita lavorativa e non, cerchiamo di somigliare alle parole che diciamo.

Cosa lasciamo

Il Consiglio in carica fino al 21 agosto lascia: una disponibilità di circa 10mila euro ai quali si aggiungeranno presto i fondi del 5xmille; un accordo solo da firmare con il MIUR; una convenzione firmata con la Difesa italiana che scadrà tra due anni e che va curata al fine di continuare a supportare la più grande migrazione a software libero d’Italia; quasi una ventina di scuole in cui ripartire con attività seminariali e di formazione ai ragazzi; un accordo con Ordine nazionale e regionale dei giornalisti da far crescere proponendo iniziative di formazione; un protocollo d’intesa firmato con IPRASE Trento da portare avanti realizzando un corso e-learning su LibreOffice e attività seminariali; un bando per finanziare i ragazzi che si certificano ECDL su open source solo da pubblicare e la disponibilità di Aica a sostenere la cosa; la pubblicazione finanziata di un libro; una rete già costituita di formatori volontari LibreOffice da far crescere e formare; la conferenza annuale LibreItalia che si era deciso di fare ad Assisi (visti i rapporti istituzionali con il Comune migrato di recente a LibreOffice); un bando individuato al quale partecipare per supportare le attività di formazione nelle scuole; un blog attivo, con una neonata redazione di soci contributori; diversi canali social gestiti finora in modo professionale con molti seguaci da mantenere e far crescere; molteplici contatti con giornalisti, professionisti, istituzioni che si sono avvicinati e resi disponibili a collaborare per far crescere questa realtà.

Cosa ne sarà di LibreItalia?

Previsioni sul futuro dell’associazione non posso né voglio farne. So solo che io il mio giro di giostra durato tre anni l’ho fatto e che, grazie alla collaborazione di tante belle persone incontrate, posso lasciare un tesoro di attività di cui andare orgogliosi (e che di certo non sono distanti come scritto da Vignoli da quegli obiettivi statutari individuati all’atto della costituzione). Mi auguro che il mio gesto insieme a quello di altre 4 persone possa lasciare spazio ai tanti che dovranno ora serrare le fila, andare ad elezione prima possibile e difendere quei valori che non dovranno mai estinguersi per non far morire l’associazione.

LibreItalia non è certo della “presidentessa”, del presidente onorario o di altri. LibreItalia è dei soci e a loro spetta decidere chi può rappresentarla mantenendo il livello di grande credibilità che l’ha portata a firmare accordi con la Difesa italiana, IPRASE Trento, scuole di ogni ordine e grado in tutta Italia, Ordine nazionale e regionali dei giornalisti. C’è tutto il tempo per indire elezioni. Urgenze per l’associazione non ci sono, visto che il nuovo Consiglio ha deciso di deliberare soltanto il patrocinio alla LibreOffice Conference, rinunciando alla organizzazione. Io di certo non mi ricandiderò. Questi tre anni sono stati intensi, di grande lavoro ma ricchi di soddisfazioni che da sole ripagano anche l’amarezza di questi giorni. Ora tocca a qualcun altro continuare a dimostrare che qualcosa di buono con LibreItalia ancora si può fare.

Post scriptum

Grazie alle tante belle persone che ci hanno aiutati a rendere LibreItalia un indiscusso punto di riferimento per la diffusione del software libero. Grazie a chi in questi giorni mi ha chiamata, mi ha inviato un messaggio, mi ha chiesto di ripensarci, mi ha supportata, mi ha incoraggiata, mi ha detto grazie (anche se non ce n’era bisogno), mi ha palesato stima e mi ha ricordato che non è necessario indossare “cappelli” associativi per chi crede in quello che fa e lo fa disinteressatamente.

Grazie a Italo Vignoli per aver usato il termine “presidentessa” e avermi dato così l’occasione di ricordare che il rispetto per il genere, al quale notoriamente tanto tengo, non dovrebbe mai essere solo esercizio teorico da svolgere declinando al femminile qualche ruolo qua e là. Il rispetto per il genere e le persone lo si dimostra nei fatti e non soltanto nelle parole. Come nei fatti e nelle azioni e nel modo in cui queste si fanno s’incarnano i valori etici citati prima.

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2 COMMENTS

  1. Cito dal primo post di Vignoli:

    “Nel 2016, quando abbiamo presentato la candidatura, questa è stata accompagnata da un documento in cui c’era scritto chiaramente che l’organizzazione della conferenza – così come quella di tutte le precedenti e future LibreOffice Conference – era a carico dell’associazione che rappresenta la comunità locale, ovvero LibreItalia.”

    Questo documento non viene citato in questo post. Esiste? Qualcuno l’ha firmato? Cosa c’è scritto?

  2. Il documento è citato nel momento in cui si dice che nessuno era in disaccordo rispetto al fare la conferenza a Roma. Se si vuole sapere se sia sottoscritto da Libreitalia (quindi dalla presidentessa) e se fosse su carta intestata la risposta è NO. La questione non è se si voleva organizzare o meno la conferenza ma le modalità con cui è stata gestita la cosa. Se LibreItalia doveva organizzare, perché non si è sollecitata la cosa in consiglio? Perché non ci si è organizzati in tal senso (valutando al di là della convinzione della bontà della cosa tutti gli aspetti di rischio/beneficio e costo)? E soprattutto perché ora si patrocina e non si organizza?

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