Buon compleanno Facebook! E sono 15

Nato il 4 febbraio 2004, acquario, governato dal pianeta Urano, l’oroscopo lo classificherebbe come bizzarro, che ama la tecnologia e la libertà, ma con eccessivo senso di indipendenza oltre che probabilmente infedele. Facebook nasce da cinque papà: Mark Zuckerberg, che poi lo ha cresciuto e guidato, e i suoi compagni di università Eduardo Saverin,  Andrew McCollum, Dustin Moskovitz e Chris Hughes. Pensato come “strumento” di socializzazione riservato agli studenti di Harvard, è oggi il secondo colosso, dopo Google, per fatturato nella pubblicità digitale, con un utile record nel 2018 di 22 miliardi di dollari ed entrate pari a 55 miliardi di dollari. Questo, nonostante qualche scandalo (Cambridge Analytica solo per citarne uno), un sacco di critiche e un apparente perdita di fiducia degli utenti che, nonostante siano diventati più sospettosi, comunque in generale decidono di restare.

Se volessimo prendere le misure a questo quindicenne, potremmo dire, riferendoci ai dati pubblicati a gennaio 2019 da We are social, che è primo per utenti attivi nel mondo, con i suoi oltre 2 miliardi di persone registrate, da sommare a quelle di Whatsapp (1,5 miliardi) e Instagram (1 miliardo), visto che nel corso di questi quindici anni Facebook ha acquisito un paio di fratelli. Una famiglia che si è allargata nel tempo, dunque, e che, come è stato annunciato di recente, potrebbe vedere i suoi componenti ritrovarsi felicemente in un’unica, comoda chat piuttosto che divisi tra le tre attuali.

Se volessimo soffermarci sulla situazione italiana, potremmo notare come Facebook risulti la terza piattaforma social più attiva dopo Youtube e Whatsapp, con un 81% di utenti che dichiarano di usarlo. 31 milioni sarebbero, secondo la stessa ricerca, le persone che potenzialmente si potrebbero raggiungere tramite pubblicità su Facebook e 19 milioni quelle intercettabili attraverso Instagram.

Al di là dei numeri, però, cosa pensiamo di Facebook? Qual è il nostro rapporto con il social in blu?

Abbiamo chiesto ai nostri visionist come hanno vissuto la loro vita sul pianeta Facebook, perché si sono iscritti, come è cambiato il rapporto con questo marziano e perché sono restati, se sono restati.

Non ricordo “quando”, ma “perché” mi sono iscritto” – dice Marco Caressa.Avevo preso sul serio la possibilità di essere in contatto con amici e persone che sarebbe stato difficile frequentare regolarmente. Non riflettendo abbastanza sul fatto che, pur facendo attenzione alla visibilità di post e commenti, stavo serenamente dando gratis a Mario Facebook tutti i miei dati sensibili. Gusti musicali, politici e intellettuali. Me ne resi conto quando riuscii a manipolare un potenziale cliente della mia azienda studiandone il profilo e presentandomi al suo cospetto millantando analoghe passioni ed interessi. Ma non è stato quello a farmi allontanare. Business is business, non sono nato ieri. Piuttosto, il progressivo svacco delle conversazioni a qualsiasi livello, come il famoso esperimento di Radio Radicale del 1986 a microfoni aperti in versione permanente. Anche qui non si tratta di scandalizzarsi, ma di trovare la cosa utile. E’ il motivo per cui mi cancellerei anche ora. Non l’ho ancora fatto perché le notifiche dei compleanni mi evitano troppe brutte figure. Anche se, devo dire, pure Linkedin sta cominciando a segnalare anniversari. Speriamo non diventi come Facebook!

Molto più rigida la posizione di Carlo Piana, un non utente di Facebook. “Per me il compleanno di Facebook non va celebrato. Non mi sono mai iscritto a Facebook. Lo esaminai quando ancora non esisteva in italiano e gli utenti nel nostro Paese erano qualche migliaio. Da allora ho deciso che non fosse il caso e non mi sono mai guardato indietro. Cosa non va in Facebook? È l’epitome di ciò che Internet non è. È un’applicazione proprietaria, cosa che onestamente condivide con altre popolari piattaforme. Non solo, è un “walled garden“, un giardino recintato, in cui i contenuti (in parte) sono disponibili soltanto a chi è registrato. Infine, era chiaro sin dall’inizio che il business model fosse quello di farsi intensamente, completamente e supinamente, gli affari tuoi. E questo prima che inglobasse WhatsApp e Instagram. Cento di questi giorni? No, se morisse domani, non verserei una lacrima. Non stapperei Champagne, ma una bottiglia di Barbaresco sì. W Internet, W i protocolli e gli [standard aperti]. Internet, alla fine, quello è“.

Iscritta, diversa rispetto a qualche anno fa, ma ancora contenta: Giada Cipoletta. “Mi sono iscritta a Facebook con la volontà di ritrovare i miei compagni di classe, la maestra delle elementari, il professore del liceo, persone che altrimenti non avrei saputo cosa stessero facendo a distanza di tanti anni. All’inizio c’era l’intenzione di mantenere viva la relazione, poi, con il tempo, è rimasta solo una finestra aperta sul cortile del passato, da osservare con lo sguardo del presente. Non uso Facebook per pubblicare cose di lavoro – preferisco di gran lunga LinkedIn o Twitter. Il social di Mark è il luogo nel quale mostro il lato più spensierato di me, ma è anche quello dove ultimamente scorro il newsfeed con fare più critico, mettendo in pausa o “non seguendo più” un sacco di persone e aziende, per una più ecologica fruizione delle informazioni. Continuerò a usare Facebook? Credo di sì, anche se forse sarà una fruizione più passiva, un affacciarmi alla finestra di questo ecosistema con la curiosità di capire, ascoltare e leggere l’ansia delle persone di voler essere quello che si cerca di apparire”.

Paolo Caressa prova a dare una spiegazione scientifica della “resistenza” del social in blu. “Alcuni antropologi spiegano la voglia di spettegolare tipica delle piccole comunità di umani come una evoluzione negli antropoidi dotati di parola dello spulciarsi fra le scimmie: le vecchine che sulla panchina del paese ripassano le relazioni matrimoniali (o extramatrimoniali) dei compaesani, trascorrendo così il pomeriggio nel consolidare il loro legame sociale e il “trust” reciproco, fanno dal punto di vista etologico la stessa cosa delle loro parenti prossime che nelle foreste dell’Africa si crogiolano al sole mentre si spulciano a vicenda. Mi spiego con questa intuizione scientifica il successo di Facebook: consente di estendere dalla piazza del paese alla dimensione planetaria la voglia di spulciarsi a vicenda, ma anche il ludico esercizio che consiste nel virtualizzare gli impulsi estremi della socialità. Come nel gioco ci si può infatti aggredire, picchiare e uccidere verbalmente o con immagini, il tutto senza nemmeno conoscersi e, inconsapevolmente, tracciando un proprio dettagliato e prezioso profilo comportamentale. Buon compleanno dunque, a nome di tutte le scimmie!

Altro parere di non iscritto, quello dell’esperto di sicurezza informatica Paolo Giardini. “Non mi sono mai iscritto a Facebook. A parte la mia naturale riservatezza, le clausole contrattuali fra Facebook e utenti sono tali da scoraggiare chiunque abbia a cuore la propria privacy. I giovani non sono più attratti da Fb a favore di altri social, ma la causa non va ricercata nella maggiore attenzione ai propri dati, anzi. I social maggiormente in voga sono quelli dove i tempi di condivisione e fruizione sono contratti e ridotti. Per parafrasare un titolo famoso: L’insostenibile immediatezza del post“.

In conclusione –  chiosa Stefano Epifani – ognuno può trovare mille buoni motivi per essere su Facebook, ed altrettanti per non esserci. Il fatto è che Facebook ha abbattuto definitivamente la differenza tra “reale” e “virtuale” nelle relazioni, rimodellando il modo in cui comunichiamo, ci informiamo, definiamo scelte d’acquisto, costruiamo rapporti, avviamo o coltiviamo amicizie, ci innamoriamo. Tutto ciò è positivo o negativo? Difficile dirlo, ma certamente tutto ciò “è”. È semplicistico affermare che si tratti di una rivoluzione positiva, perché nasconde tanti lati oscuri o comunque da conoscere per non essere “vittime” di questo cambiamento, ma sarebbe altrettanto semplicistico dipingere un quadro a tinte fosche soltanto perchè la direzione di tale cambiamento induce variazioni a regole (come la privacy) che crediamo immutate ed immutabili ma non sono altro che il risultato di fattori sociali, economici, tecnologici, di contesto. In fondo, con tutti i problemi che apre, se non fosse per Facebook molti di noi, oggi, non sarebbero qui, non conoscerebbero le persone che conoscono, non si sarebbero arricchite di esperienze che, a patto di essere vissute con consapevolezza, possono essere senz’altro positive. Ed è questa la parola chiave da tenere a mente: consapevolezza. Quella consapevolezza necessaria per interpretare il divenire che ci circonda e che vede in Facebook e negli altri strumenti come Facebook elementi di una complessità che va governata per non esserne governati. Facebook a 15 anni entra nell’adolescenza: età di cambiamenti e grani difficoltà, ma anche di crescita. Tutti noi vi entriamo con lui.”

E io? Quando ho stretto amicizia con Mario Facebook correva l’anno 2009, la mia seconda figlia non utente di Facebook spegneva la sua prima candelina e, al tempo (come anche adesso), preferivo lavorare a maglia o leggere un bel libro piuttosto che veder scorrere veloce il tempo guardando aforismi, notizie, foto di vacanze e qualche bufala insieme (come succede costruendo bene la rete relazionale) a tante notizie commentate interessanti. Mi sono iscritta perché, per deviazione di mestiere, alcuni strumenti prima di giudicarli devo provarli, testarli, conoscerli, frequentarli. Mi sono iscritta per lo stesso motivo per il quale da qualche giorno uso Zepeto, che Mario Facebook avrebbe voluto comprare ma per fortuna no. Ho imparato a convivere serenamente con “l’amico Mario”: sono consapevole del fatto che sta con me per interesse, so di poter condividere, come faccio spesso, cose ironiche per strapparmi un sorriso e prendermi in giro, ma so che ogni tanto posso anche scrivere una cosa più seria per vedere quanti amici rispondono, si confrontano, criticano, attaccano. E’ Mario Facebook, bellezza. E io, parafrasando Verdone, “ci lavoro co sti social“.

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