“L’Italia – esordisce Geoffroy DeLestrange di Cornerstone OnDemand – è caratterizzata da un profondo divario fra Nord e Sud, unito a una mancanza di adeguatezza tra offerta e domanda di lavoratori non qualificati a seconda dei settori. Secondo un’analisi condotta da Skills Panorama, che esamina le tendenze passate, attuali e future (3-4 anni), esiste in Italia un sensibile disallineamento fra la domanda di occupazione e posizioni aperte, con alcuni settori caratterizzati dalla carenza di figure professionali idonee e altri da un surplus di domande. La carenza di personale qualificato emerge soprattutto nei settori ITC, STEM, sanità, insegnamento, marketing, design e creativi, mentre le occupazioni eccedenti riguardano principalmente edilizia, turismo e manifatturiero”.
Un panorama non proprio consolante, insomma. “La mancanza di professionisti ICT, ad esempio, – continua DeLastrange – è un problema ben noto in Italia dall’inizio del nuovo millennio. Nessuna strategia è stata ideata finora. In generale, il mercato del lavoro italiano non è in grado di erogare premi salariali sufficientemente alti da incoraggiare gli studenti a investire in programmi educativi percepiti come difficili e di lunga durata. Come nel caso dei professionisti ICT, anche la carenza di specialisti STEM è un problema ben noto, che non è ancora affrontato correttamente. Le Università italiane (con poche eccezioni) hanno difficoltà di lunga data nello sviluppare legami con le industrie al fine di promuovere collaborazioni e facilitare e accelerare la transizione dall’istruzione al mercato del lavoro. L’eccesso di domanda è presente per quasi tutte le professioni a bassa specializzazione, in particolare nei tre settori sopracitati. Questa situazione è dovuta alla rapida trasformazione dei processi produttivi, in particolare nel settore manifatturiero. Ciò implica che le competenze richieste sono in evoluzione; anche semplici lavori manuali richiedono ora una serie complessa di attività e capacità di utilizzare macchine e computer. Pertanto, deve essere presa in considerazione la necessità di formazione per migliorare l’offerta di manodopera e promuovere l’occupazione”.
Quali i “divide” che frenano lo sviluppo delle imprese italiane? Come porre rimedio a questa situazione?
“Se non ci focalizziamo sui dati relativi alla macroeconomia, ma analizziamo le informazioni della microeconomia per le aziende private, la differenza principale riguarda il tipo di innovazione messa in atto nelle aziende italiane. Osservando le statistiche dell’indagine condotta da IDC e Cornerstone nel 2018, possiamo notare come oltre 6 aziende su 10 si concentrino sull’innovazione dei prodotti più che dei processi. In altri Paesi, come Regno Unito, Francia o Germania assistiamo, invece, a una più logica suddivisione 50-50. Questo significa che le aziende italiane sono molto brave a portare nuovi prodotti e servizi sul mercato, ma faticano a cambiare il modo in cui lavorano, il metodo e l’approccio. Questo è un rischio, perché innovazione non significa solamente creare qualcosa di nuovo, ma anche fare le cose in maniera differente. Di conseguenza, le aziende italiane potrebbero rimanere bloccate nei vecchi modi di lavorare“.
Nonostante i buoni propositi, il nostro Paese secondo diversi indicatori (dal DESI ad altri) stenta a decollare dal punto di vista digitale. Quali le possibili soluzioni?
“Non tutto è negativo in Italia. Ciò che emerge dall’indagine IDC è che in Italia business, HR e IT sono allineate molto più che in altri paesi europei e questo è un netto vantaggio su cui bisognerebbe far leva. Tuttavia, uno studio del Politecnico di Milano mostra come solamente il 35% delle aziende italiane abbia definito con chiarezza una strategia per i dipendenti nel 2018. È un dato preoccupante, ma può essere risolto focalizzandosi sulla cultura dell’azienda, visto che, come emerso dall’indagine IDC, è la paura del cambiamento uno dei principali ostacoli alla trasformazione digitale. Risolvere questo aiuterebbe a migliorare l’innovazione delle organizzazioni e a favorire la trasformazione digitale”.
Quali sono e principali tendenze in ambito HR per il 2019?
“E’ proprio lo Skill divide una delle tendenze nelle HR alla quale stiamo già assistendo e che emergerà con forza nel corso del 2019. Si tratta della presenza nel mercato del lavoro di numerose posizioni aperte per personale qualificato ma non un numero sufficiente di persone con le competenze adatte a ricoprirle. Al contempo, esiste un numero molto elevato di persone non qualificate in cerca di posizioni che non richiedono competenze specifiche. Posizioni che, con l’introduzione dell’automazione e della robotica, saranno sempre più coperte dalle macchine. In Europa, in particolare nei Paesi con un basso livello di disoccupazione, sarà difficile, quando non impossibile, trovare personale qualificato proprio perché non ce ne è abbastanza per soddisfare la richiesta delle aziende.
Esiste un unico modo per risolvere questo problema: la formazione. I professionisti delle HR non devono dimenticare che parte dei talenti che cercano sono già in azienda e si trovano proprio fra il personale non qualificato che, attraverso adeguati piani di sviluppo, può trasformarsi in personale adatto a ricoprire posizioni che richiedono determinate competenze. La parola d’ordine, oggi più che mai, è formazione. In quest’ottica, i responsabili delle risorse umane non sono più coloro che si occupano di buste paga e noiosi lavori di amministrazione, ma assumono un ruolo realmente strategico per l’azienda nello sviluppo delle persone, aiutandole con la formazione ad acquisire le competenze necessarie per cogliere nuove opportunità professionali”.
Facebook Comments