Celebrare la diversità sui social: Oh Polly, lo stai facendo male

Portare sui social l’identità del proprio brand e svilupparla in modo da creare un dialogo con il proprio pubblico di riferimento non è un compito facile. Soprattutto se si vuole stare “al passo con i tempi” e cavalcare l’onda delle grandi conversazioni globali che avvengono sul web e le reti sociali. È facile commettere qualche passo falso, ma c’è anche chi, ogni tanto, riesce a farsi un’intera passeggiata lungo lo scivoloso sentiero del social media fail.

È quello che è successo nei giorni scorsi a Oh Polly, retail online di abbigliamento femminile con sede a Glasgow, in Scozia. Oh Polly – il cui claim è “per le ragazze dalle ragazze” – si rivolge prevalentemente a un pubblico di giovanissime attraverso un profilo Instagram da due milioni di follower, che propone foto di modelle su sfondi patinati ed esotici che indossano i vari capi del catalogo.

Ma in un momento in cui tutti parlano di “valorizzare la diversità” e di quanto i canoni di bellezza femminile imposti dalle passerelle siano poco realistici e potenzialmente pericolosi per le più giovani, ecco che anche un brand come Oh Polly si è attrezzato per lanciare un messaggio diverso. E lo ha fatto creando Oh Polly Inclusive, uno spin-off del proprio profilo Instagram ufficiale che propone foto di ragazze curvy di diverse etnie, siano esse influencer o semplici clienti che hanno pubblicato i propri scatti con addosso un capo firmato dal brand scozzese.

Foto via: BuzzFeed

Se sembra un’idea piuttosto infelice è perché lo è: promuovere l’inclusione su un profilo “separato” è una contraddizione bella e buona. Oh Polly ha dichiarato di voler utilizzare i social media per dare valore alla diversità ma, di fatto, non ha voluto “inquinare” nemmeno con una singola foto il proprio feed Instagram, creando addirittura un account parallelo dove pubblicare tutte quelle foto troppo “diverse”, per poter apparire sul profilo principale.

Ovviamente, non ci è voluto molto perché questa evidente contraddizione saltasse all’occhio del pubblico che, giustamente, ha fatto sentire le proprie rimostranze. C’è chi – come Alissa Ashley, ventiquattrenne statunitense da quasi 2 milioni di subscriber su YouTube – ha parlato apertamente di segregazione, chiedendosi cosa avessero le ragazze delle foto pubblicate su Oh Polly Inclusive per non essere “adatte” a comparire sull’account ufficiale del brand:

E c’è anche chi ha un’esperienza diretta da raccontare: è il caso di Brielle Anyea, modella plus-size particolarmente attiva su Instagram che a BuzzFeed ha raccontato di essere stata contattata da Oh Polly per partecipare a “una campagna a favore delle donne” per poi scoprire che tutti i suoi scatti erano finiti sul secondo account di Oh Polly. Account che inizialmente lei stessa aveva preso per un profilo fake perché questo appariva «troppo diverso da loro profilo principale».

La storia finisce come tutte le altre: lo spin-off Oh Polly Inclusive è stato cancellato non appena ha cominciato a montare la polemica, dopo solo un paio di mesi di attività. Sono poi seguite le scuse da parte del management di Oh Polly, che ha parlato di «un grave errore di valutazione» nel creare e gestire l’intera operazione.

Il problema, però, non è tanto la valutazione e la gestione di una campagna, ma la sua stessa sostanza. Siamo davanti a un brand che è caduto nella trasposizione social del vecchio detto della botte piena e della moglie ubriaca: il volersi a tutti i costi inserire in un filone tematico lontano dalla propria identità senza però volersi spostare di un millimetro dalla propria posizione. Una trappola in cui molti cadono, convinti che per affrontare certi temi basti soltanto pubblicare qualche foto condita da un po’ di frasi a effetto.

Inserirsi nelle grandi conversazioni che avvengono online attorno ai macro-temi particolarmente caldi – la rappresentazione della donna, ad esempio, oppure il razzismo – significa prendere una posizione. E prendere una posizione implica necessariamente un assestamento della propria brand identity e del proprio modo di comunicare: operazioni strategiche delicate e cruciali che di certo non si riducono a una singola campagna sui social e che vanno a impattare su tutto il brand. In assenza di questi presupposti, qualsiasi comunicazione sarà priva delle fondamenta necessarie per poter restare in piedi e veicolare correttamente il proprio messaggio al pubblico. E, nella peggiore delle ipotesi, porterà a gravi crisi comunicative difficili da gestire.

Lesson Learned. Primo comandamento della social media strategy: chiediti sempre qual è lo scopo di ciò che stai per fare e, soltanto dopo, chiediti se lo stai facendo bene. Sui social non c’è.

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