E-Commerce B2b in Italia nel 2018 vale 360 mld

A sei mesi dall’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica fra imprese e a pochi giorni dall’1 luglio 2019 – quando scadrà la moratoria e cambieranno i termini di emissione e le sanzioni in caso di invio tardivo al Sistema di Interscambio (SdI) – il bilancio della normativa è positivo. Sono 854 milioni le fatture elettroniche rivolte a imprese (il 54%), PA (2%) e privati (44%) inviate fra l’1 gennaio e i primi di giugno[1] da 3,2 milioni di partite IVA (il 64% delle imprese italiane, più dei 2,8 milioni di imprese soggette all’obbligo). Soltanto il 3% (25 milioni) delle fatture è stato scartato dal SdI. Quasi due terzi delle fatture inviate provengono dai settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio (28%), utility (19%) e servizi (17%). Più della metà delle fatture è stato inviato da aziende con sede in Lombardia (34%) e nel Lazio (22%), solo il 12% viene dall’area Sud e Isole.

Oltre metà delle imprese dichiara benefici sul processo di ricezione delle fatture e il 30% ha ottenuto dei miglioramenti anche in fase di invio. Fra le opportunità per le imprese emergono in particolare la possibilità di accedere a nuovi flussi di dati utilizzabili per migliorare i processi aziendali, digitalizzare altri documenti e dare impulso all’adozione di strumenti digitali nelle transazioni fra imprese.

Nel 2018 l’eCommerce B2b fra imprese residenti sul territorio italiano raggiunge un valore di 360 miliardi di euro, in crescita del 7% rispetto all’anno precedente e dell’80% rispetto al 2012. Una cifra significativa, ma che rappresenta soltanto il 16% degli scambi complessivi fra le imprese italiane (2.200 miliardi), mentre appare maggiore l’incidenza dell’eCommerce B2b di aziende italiane verso imprese estere, pari a 132 miliardi (più del 26% del transato totale verso l’estero). Cresce anche l’uso di sistemi EDI per lo scambio elettronico di documenti, con 210 milioni di documenti (+27%) scambiati da 16mila imprese (+23%), di cui più di un quarto sono fatture.

Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica & eCommerce B2b della School of Management del Politecnico di Milano.

“La fatturazione elettronica non è la trasposizione digitale di un documento o di una attività ma un nuovo modello organizzativo che può costituire un fattore di innesco nella digitalizzazione dei principali processi tra aziende, tra aziende e Pubblica Amministrazione e nel dialogo con i cittadini — afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano — e può quindi in ultima istanza aiutare il Paese a recuperare il divario che la separa dai principali paesi europei in termini di maturità digitale. L’Italia almeno su questo è all’avanguardia: primo Paese in Europa ad adottare l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica e leader nella digitalizzazione dei processi in molte filiere. Con specifico riferimento all’obbligo di fatturazione elettronica, molte più imprese di quelle sottoposte all’obbligo hanno deciso di aderire, a testimonianza di un giudizio di utilità che travalica l’obbligo normativo”.

L’impatto della fatturazione elettronica – L’introduzione della fatturazione elettronica ha avuto un forte impatto sull’operatività delle imprese, sia per il ciclo passivo sia per quello attivo. Secondo il campione – statisticamente significativo – coinvolto nell’indagine, i maggiori benefici hanno riguardato il processo di ricezione delle fatture, indicati da oltre metà delle imprese, come la maggiore velocità della registrazione delle fatture (indicato dal 33% delle grandi imprese e dal 31% delle PMI), la semplificazione della fase di verifica della fattura (21% del campione) e del processo di approvazione del pagamento (20% e 14%). Sul ciclo attivo i benefici riguardano la riduzione dei tempi di pagamento (19% e 14%) e la più rapida riconciliazione dei pagamenti (25% e 19%). Maggiori i benefici di coloro che hanno una dotazione tecnologica adeguata (ad esempio ERP, software di Supply Chain Management o di amministrazione, finanza e controllo), percepiti da 56% delle aziende “digitali” contro il 51% di quelle non digitali”.

Non tutte le aziende hanno però avvertito dei benefici sui propri processi aziendali. A livello di ciclo passivo, poco più di un quarto delle imprese dichiara di non avere tratto alcun beneficio (21% delle grandi imprese e 32% delle PMI). Sul ciclo attivo, invece sono state soprattutto le PMI a non percepire alcun beneficio dalla fatturazione elettronica (43% contro il 27% delle grandi imprese). Purtroppo, c’è anche una quota di imprese che ha dichiarato un impatto negativo dalla fatturazione elettronica: appesantimento delle attività gestionali sul ciclo passivo (20% delle grandi aziende e 18% delle PMI), aumento dei tempi di pagamento (15% e 12%) e maggiore lentezza nella riconciliazione dei pagamenti (12% e 9%).

“Se è vero che sei mesi sono pochi per avere davvero percezione dei benefici a tutto tondo sugli impatti della fattura elettronica — commenta Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica & eCommerce B2b — non si può negare che in chiave prospettica si aprano ampie opportunità per le imprese. Dalla possibilità di operare su dati strutturati ed elaborabili del ciclo passivo, migliorando la gestione della tesoreria, il credit management e il controllo di gestione, alla digitalizzazione di processi documentali interni – per esempio il ciclo dell’ordine – aumentando l’efficienza aziendale e la sua competitività; dalla possibilità di ottenere più velocemente finanziamenti sulle fatture da parte di piattaforme dedicate alla supply chain finance al miglioramento dei rating sui fornitori, grazie a una maggiore integrazione dei dati del ciclo passivo con quelli delle fasi pre-negoziali. Ciò che mi preme sottolineare, è che non bisogna fermarsi all’adempimento normativo, ma guardare oltre”.

Le PMI – Le piccole e medie imprese hanno reagito all’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica cogliendone le opportunità, anche attraverso il ridisegno dei processi aziendali, oppure vivendo il cambiamento come mera imposizione normativa, limitandosi a conformarsi alle disposizioni di legge. L’Osservatorio ha indagato i principali fattori che scoraggiano le PMI a intraprendere un percorso di digitalizzazione e le leve che, al contrario, hanno spinto le PMI più digitali. Il primo scoglio è spesso legato alla mancanza di interesse, fiducia e cultura digitale dell’imprenditore: non riuscendo a percepirne i benefici, vede la digitalizzazione come una problematica in più da affrontare, sia in termini di competenze che di costi. Nelle PMI non digitali è evidente, inoltre, l’assenza di progettazione a lungo termine, alla quale si aggiungono la cronica mancanza di un presidio organizzativo e regolare sull’innovazione, che esuli da quella di prodotto, e la difficoltà a mettere in discussione processi lavorativi consolidati. Nelle PMI digitali, al contrario, l’imprenditore guarda positivamente al cambiamento, il continuo aggiornamento e il confronto con altre realtà permettono di percepire nuovi potenziali benefici per l’azienda e c’è una maggiore attenzione alla formazione.

Le soluzioni per l’integrazione di filiera – Sono circa 150mila le imprese che nel 2018 hanno una soluzione digitale a supporto dei propri processi aziendali, con una crescita del 15% rispetto all’anno precedente e un aumento del 16% annuo dal 2012, quando le imprese che utilizzavano strumenti digitali erano 60mila. Fra queste 16mila sono connesse tramite sistemi EDI (+23% rispetto al 2017) per scambiarsi i principali documenti del ciclo dell’ordine (ordine, conferma dell’ordine, avviso di spedizione e fattura). Più del 97% delle imprese connesse appartiene a cinque settori: automobilistico, elettrodomestici ed elettronica di consumo, farmaceutico, largo consumo e materiale elettrico. Il numero di documenti scambiati è cresciuto significativamente nell’ultimo anno, toccando quota 210 milioni, con un incremento del 27% sul 2017 e del 600% rispetto al 2009 (+24% la crescita media annua). Il documento più scambiato via EDI è la fattura, con 55 milioni di scambi nel 2018, pari al 26% del totale dei documenti transitati (+10%). Seguono l’ordine, col 15% del totale, l’avviso di spedizione, con 23 milioni e l’11% dei documenti scambiati (+10%), e le conferme d’ordine, che registrano la crescita più significativa, da 3,2 a 8 milioni di documenti (+150%, il 4% del totale). La crescita deriva dal fatto che le aziende più mature nell’utilizzo di questi strumenti digitali hanno intensificato le relazioni coprendo anche altri documenti del ciclo, tra cui quelli logistici, che crescono del 50%, passando da 62 a 93 milioni di unità.

In calo, invece, le Extranet attive nel 2018 che supportano lo scambio di documenti del ciclo transazionale (ordini, documenti di trasporto, fatture, informazioni amministrative), che passano da 470 a 372 unità (-21%). Il 16% supporta anche la fase pre-transazionale (eProcurement), l’8% abilita i progetti di eSupply Chain Collaboration, mentre solo il 3% delle Extranet copre tutte le fasi della relazione tra un cliente e un fornitore (eProcurement, eSupply Chain Execution e eSupply Chain Collaboration). Il settore con il più alto numero di Extranet è il metalmeccanico (13%), seguito dal largo consumo e tessile abbigliamento (9% rispettivamente), dall’automobilistico (8%), dalla logistica (6%), dalle utility (5%), dagli elettrodomestici ed elettronica di consumo (5%), dal farmaceutico (5%) e dal materiale elettrico (4%).

“La tendenza degli ultimi anni è di passare dall’Extranet – che tipicamente connette un singolo attore con i suoi partner di business (con i fornitori o con i clienti) – a soluzioni di tipo “molti a molti”, che consentono di mettere in relazione un ampio numero di aziende interessate a sviluppare un determinato business e ad accedere a un insieme più ampio di clienti o fornitori – afferma Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica & eCommerce B2b -. Oltre ai marketplace, un esempio sono le piattaforme cloud, ossia modelli Software as a Service (SaaS) in cui l’utente finale accede in modalità on demand a un’applicazione pronta all’uso, sostenendo costi in base all’effettivo utilizzo del servizio. Tali soluzioni sono in grado di supportare anche le fasi di eProcurement, eSupply Chain Execution ed eSupply Chain Collaboration”.

Negli ultimi anni sta crescendo la rilevanza dei marketplace anche nel segmento B2b. L’Osservatorio ne ha censiti 23, che permettono di vendere in Italia prodotti italiani e stranieri. Non tutte le piattaforme permettono di effettuare una transazione. Circa il 40% di esse, infatti, supporta attività di lead generation o funge da vetrina di prodotti (23%). Prevalgono i marketplace multi-settore (65% delle piattaforme censite), che offrono un’ampia varietà di prodotti, dall’alimentare all’elettronica di consumo, dall’abbigliamento al materiale elettrico. I marketplace sono in prevalenza americani (35%) o cinesi (18%), ma non mancano anche iniziative italiane, che hanno però caratteristiche molto diverse rispetto a quelle dei grandi operatori internazionali. L’Osservatorio ha identificato 7 piattaforme italiane B2b, di cui 2 permettono di completare l’acquisito direttamente sulla piattaforma, mentre gli altri 5 abilitano attività di lead generation o funzionano come vetrine con l’obiettivo di promuovere all’estero le eccellenze alimentari e tessili del Made in Italy.

I pagamenti B2b – Gli strumenti di pagamento prevalentemente utilizzati in ambito B2b sono i bonifici bancari digitali, usati dal 79% delle grandi imprese dal 78% delle PMI, e i bonifici tradizionali, impiegati dal 58% delle grandi aziende e dal 38% delle PMI. Gli strumenti di pagamento remoto sono utilizzati negli scambi B2b per oltre la metà dei pagamenti effettuati (67% delle transazioni delle grandi imprese e 64% delle transazioni delle PMI). Fra le grandi imprese i sistemi di pagamento più diffusi sono la carta di credito (38%), la RiBa digitale (36%) e il MAV digitale (32%), mentre le PMI si affidano più spesso alla RiBa digitale (35%), la RiBa tradizionale (33%) e l’assegno cartaceo (32%). Il contante è ancora abbastanza diffuso in entrambe le realtà, con il 19% delle grandi imprese che lo usa nel 11% delle transazioni verso i fornitori e il 23% delle PMI che lo impiega nel 12% delle transazioni. Una grande impresa su quattro (24%) usa sistemi di pagamento più innovativi (come l’e-payment, il mobile payment, i digital wallet, i real time payment), contro il 7% delle PMI, ma entrambe impiegano questi strumenti in appena il 10% delle transazioni.

Gli strumenti di pagamento innovativi sono più diffusi in quelle aziende che adottano delle soluzioni di Supply Chain Finance (SCF). Infatti, ben il 38% delle grandi aziende e l’11% delle PMI che usano strumenti di pagamento innovativi adoperano anche soluzioni di SCF, contro il 7% delle grandi aziende e il 6% delle PMI che non usano tali soluzioni. È ancora marginale, invece, la diffusione delle criptovalute nelle transazioni B2b, usate da appena l’1% delle PMI e da nessuna grande impresa, ma che suscita un forte interesse in ottica futura. Il 28% delle grandi imprese conta di usarla entro il prossimo anno (4%) o in quelli successivi (24%) e anche il 13% delle PMI sembra intenzionata a sperimentare questa valuta, nel 3% dei casi entro l’anno prossimo e nel 10% dei casi nel lungo periodo. Fra le PMI che hanno usato le criptovalute, il 42% le ha impiegate nelle transazioni con un’azienda del settore utility, il 23% nel settore automobilistico e il 20% nel largo consumo. Le ragioni che hanno spinto a provare l’utilizzo delle criptovalute rispetto ad altri strumenti sono state la maggiore velocità della transazione (57%) e la maggiore sicurezza (43%).

L’Artificial Intelligence applicata alla supply chain – L’Osservatorio ha censito 72 casi di applicazione dell’Artificial Intelligence (AI) nei processi B2b e nei rapporti di filiera. In Italia risultano 5 progetti attivi, contro i 7 del Regno Unito, gli 8 di Francia e Germania e i 21 degli Stati Uniti. Il primo settore per numero di progetti avviati è il largo consumo, con quasi la metà dei casi censiti e iniziative negli ambiti previsione della domanda, gestione delle scorte, transazioni. Seguono automotive (8 progetti), logistica e abbigliamento (6). La maggior parte dei progetti di AI in ambito supply chain riguarda i processi di pianificazione (ad esempio, la previsione della domanda e la gestione delle scorte) per i quali le imprese hanno disposizione una grande quantità di dati, che possono alimentare gli algoritmi di AI. Nel 71% dei progetti i dati utilizzati dagli algoritmi sono stati prodotti dall’azienda o provengono dagli scambi con i partner, mentre nel 29% dei casi vengono raccolti ed elaborati in tempo reale in base alle esigenze. La ricerca fotografa tre tipologie di progetti di AI: esecutivi (8%), che riguardano i progetti relativi alla gestione dei documenti a supporto del ciclo dell’ordine; collaborativi (28%), che si concentrano su gestione delle scorte, monitoraggio della supply chain, pianificazione della produzione e previsione della domanda e utilizzano dati in tempo reale dai partner di business; potenzialmente collaborativi (64%), che riguardano gli ambiti dei progetti collaborativi ma usano solo dati storici prodotti dall’azienda.

La blockchain nel Digital B2b – I risultati della ricerca evidenziano anche una crescita delle applicazioni della Blockchain in ambito supply chain, con 202 progetti internazionali (+54% rispetto al censimento del 2017). La maggior parte delle iniziative censite supporta i processi di eSupply Chain Control (40%), in cui l’obiettivo è sfruttare la catena dei blocchi per tracciare meglio la merce e aver un miglior controllo della filiera, e di eSupply Chain Execution (36%), dove la Blockchain è impiegata sia nello scambio di documenti sia nella gestione del credito di filiera, soprattutto in finanza, logistica e largo consumo. Seguono la eSupply Chain Collaboration (13%), in cui l’obiettivo primario è la revisione dei processi esistenti e la creazione di nuove procedure, l’eProcurement (6%), in cui la catena dei blocchi serve a potenziare la fase di ricerca di nuovi fornitori e di negoziazione, e il supporto ai processi interni (5%), ossia l’uso della tracciabilità interna e della autenticità e immodificabilità dei dati proprie della Blockchain per migliorare l’archiviazione, la conservazione documentale e la gestione dei flussi di lavoro digitali. I settori più interessati dai progetti di Blockchain sono il largo consumo (22%), la finanza (19%) e la logistica (16%). Due terzi dei progetti censiti si collocano in Asia (34%) ed Europa (33%), un quarto in America (25%) una minoranza in Oceania (6%) e Africa (2%). Gli Stati Uniti sono la nazione che ospita il più elevato numero di iniziative (40), seguiti da Cina (17), Giappone (12), Regno Unito (12), Italia (12) e Australia (11). La maggior parte dei progetti si trova ancora in fase di annuncio (45%) o sperimentazione (43%), mentre i casi già operativi sono 25, specialmente nella finanza (9 progetti) e nel largo consumo (6).

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