Italiani più fiduciosi nella tecnologia digitale?

La fiducia nel progresso tecnologico, rispetto allo scorso anno, aumenta in generale dal 68 al 90%, con un +13% di intervistati che dichiara che il progresso tecnologico ha portato conseguenze «decisamente positive» e «più positive che negative». La fiducia cresce maggiormente fra le persone con competenze digitali avanzate (+9) e fra i millennials (+6). A rivelarlo la seconda edizione del rapporto “Retail Transformation 2.0” elaborato da Digital Transformation Institute e CFMT, in collaborazione con SWG.

Fiducia (+11%), sorpresa, passione (+9) e gioia (+5) le parole che più dello scorso anno gli italiani associano a tecnologie digitali. Emozioni positive, a fronte di ansia e tristezza che perdono rispettivamente 5 e 4 punti percentuali.

C’è da chiedersi da cosa dipenda questo aumento della fiducia nei confronti della tecnologia, e soprattutto che conseguenze abbia” – ha commentato il presidente del Digital Transformation Institute Stefano Epifani. “È indubitabile che una buona predisposizione verso lo sviluppo tecnologico e l’innovazione sia un fatto positivo, tuttavia bisogna chiedersi quanto questa predisposizione sia figlia di reale consapevolezza o piuttosto non sia generata da quello che potremmo definire un ottimismo ingenuo. Andando a raffrontare i dati inerenti le competenze effettive delle persone sui temi del digitale con quelli relativi a quanto esse si “sentano” competenti, emerge una discrasia importante. Discrasia che dipende dal fatto che, semplificando un po’ un fenomeno articolato e complesso, per la maggior parte degli utenti saper utilizzare le app, o accedere ai social network è sufficiente per ritenersi utenti “digitalizzati”. Un po’ come confondere il sapersi misurare la febbre con l’essere esperti di virologia. Senza pensare che si debba diventare tutti Burioni, è importante che la popolazione italiana acquisisca quelle competenze di base sul digitale necessarie per sfruttarne le potenzialità, ma anche per comprenderne i rischi. Bene quindi l’ottimismo, ma attenzione a che sia un ottimismo consapevole. Non cogliere i rischi non vuol dire che i rischi non ci siano. E l’inconsapevolezza non aiuterà a colmare il gap che ci separa dagli altri Paesi”.

Comodità e sostenibilità al centro, con qualche timore

Gli utenti, secondo Retail Transformation 2.0, sono particolarmente attratti dalla comodità nella esperienza con il digitale: salgono, infatti, rispetto allo scorso anno, gli apprezzamenti per la possibilità di “effettuare pagamenti direttamente con il cellulare per comodità” (+9%), “poter interagire con le aziende anche attraverso i social network e i sistemi di messaggistica istantanea come Whatsapp e Telegram per migliorare l’esperienza d’acquisto” (+9) e ricorrere a “Internet delle cose, attraverso cui poter gestire la casa” in modo agevole (+8). Il 69% delle persone ritiene, inoltre, che la tecnologia e il digitale potranno garantire processi di innovazione sostenibile.

A frenare gli entusiasmi alcune inquietudini legate allo sviluppo delle Intelligenze Artificiali che portano una maggiore percentuale di persone, rispetto allo scorso anno, ad affermare di essere terrorizzate “all’idea che un giorno non riusciremo più a distinguere le persone reali dai robot” (+9%) o pensare che un giorno “i robot possano rivoltarsi contro l’uomo e sottometterlo” (+5%). Questo, nonostante si pensi che “operatori virtuali, robot e androidi svolgeranno presto i compiti che detestiamo e noi saremo liberi di fare quello che ci piace di più” (+4%). A scendere di 5 punti il timore degli italiani rispetto alle app e alla possibilità che queste possano renderci incapaci di interagire con le persone reali.

Un 76% degli italiani ammette di conoscere il significato di innovazione sostenibile e alla domanda circa i possibili impatti delle tecnologie sulla società rispetto allo sviluppo sostenibile, l’82% delle persone intervistate crede in un impatto positivo. A vedere nero in particolare ceti bassi e persone con competenze digitali limitate, mentre ad essere molto ottimisti millennials e persone con digital skills elevate.

Quale il rapporto con le tecnologie emergenti?

Andando a indagare le singole tecnologie, quali Big Data, IoT, Social Network e altre, la ricerca evidenzia come, rispetto ai dati 2018, gli italiani abbiano acquisito una maggiore confidenza con Blockchain, con un +14%, e Big Data, con un +5% di persone che ammettono di conoscerne il significato o averne sentito parlare. Questo nonostante la stessa ricerca mostri come l’autostima digitale, rispetto alla passata edizione, cresca più lentamente dell’entusiasmo per la tecnologia: solo un 4% in più degli intervistati, infatti, dichiara di sentirsi pronto ad affrontare le sfide del digitale.

A diminuire la percentuale delle persone che si dichiarano “professioniste del settore” (-6%), a fronte di un 43% di “utenti low tech”, ovvero persone con competenze digitali solo basilari.

“Una ricerca si porta dietro sempre un vissuto difficile da raccontare” – commenta Beppe Carrella, senior partner di BCLAB e scrittore.Siamo abituati ormai ad essere bombardati da ricerche su qualunque argomento. Ogni ricerca riassume l’eterna lotta (al di là dei numeri) tra fautori e  avversari. In un periodo storico dove anche la politica si lamenta che quelli che ‘vincono’ fanno leva sulla paura, sul rendere insicuri i cittadini, sul disegnare scenari futuri catastrofici, una ricerca sulle tecnologie digitali non poteva che ricadere in questa logica: l’Intelligenza Artificiale soppianterà l’uomo nelle sue funzioni più intime, creerà disoccupazione, sarà a vantaggio di una elitè. E così via. Stesse storie sentite anche quando si è sviluppata l’energia elettrica, quando si è addomesticato l’atomo, quando si sono svelati i segreti delle cellule biologiche, giusto per citare qualche avanzamento nella comprensione dei fenomeni naturali. Ogni volta che entra in ballo una nuova scoperta compare il fantasma dell’imminente scomparsa dell’uomo. Nessuna scomparsa, ad oggi, infatti siamo ancora qui a discuterne. Insomma verrebbe da dire ‘nuove tecnologie, vecchi fantasmi’. Quello che salta all’occhio di questa indagine  è una maggiore consapevolezza sull’argomento, una migliore definizione dei confini: è chiaro che al di là dei catastrofismi o degli entusiasmi finalmente si cerca di capire che farci, come questa tematica possa essere utile e soprattutto quali sono ad oggi i suoi limiti”.

Perché l’AI è ritenuta utile ma spaventa?

Il successo dell’IA – continua Carrella – è dovuto a tre fattori: crollo del prezzo dei sistemi di immagazzinamento dati (data storage), grande disponibili di dati (open data) e banda larga (bandwidth). Se a questo aggiungiamo la crescita esponenziale della potenza elaborativa, il gioco è fatto. Semplice! Oggi noi usiamo AI per fare previsioni e per processi di ottimizzazione. Il tutto è una naturale conseguenza della legge economica che dice che qualcosa si impone sul mercato quando diminuisce di costo ed è quindi accessibile in maniera estesa. In definitiva oggi l’intelligenza artificiale ha reso accessibile fare queste due attività. Punto. Tecnicamente significa che dati e algoritmi non sono più antagonisti ma alleati in una strategia orientata al business. Proprio questo permette di ragionare in termini di applicazioni sostenibili e realizzabili. Tutto il resto si potrà fare (simulazione della mente, realtà immersiva medica, ecc.) quando ci sarà una ulteriore crescita elaborativa (quantum o natural computing) e il codice prenderà la forma di algoritmi evolutivi. La teoria c’è, la realizzazione ancora deve venire. Tutte cose che ci possiamo immaginare e che forse potranno realizzarsi. Quello che nessuna ricerca potrà mai raccontarci sono i cambiamenti sociali. Un fenomeno ben chiaro agli studiosi e che prende il nome di effetto Jetson. Negli anni ’60 una serie di cartoni televisivi, i Jetson appunto, vivevano in un futuro popolato di tecnologie che soltanto oggi noi troviamo sul mercato. Le tecnologie vivevano però in una società che non era affatto diversa da quella prima dell’arrivo di queste innovazioni. Insomma ci immaginiamo le tecnologie che useremo con grande precisione, ma non sappiamo in che tipo di società evolveremo. Ed è questo il punto chiave ed è proprio questo quello che leggiamo anche in questa ricerca. Che società sarà la nostra?  Per poter rispondere dovremmo aver trovato per prima cosa la risposta ad un’altra domanda: che significherà lavorare in un futuro prossimo? Nel frattempo cominciamo a seguire il consiglio che John Lennon diede al figlio nella bellissima canzone Beautiful Boy: Life is what happens when you are busy making other planes. E poi qualcuno potrebbe dirmi che fine hanno fatto gli scrittori di fantascienza? Anche questa sembra una professione in via di estinzione”.

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