Comunicare la sotenibilità: il caso di Iceland Food

Cambiamenti climatici, economia circolare, sostenibilità: quando un tema diventa rilevante non si può non parlarne. O meglio, se sei un brand devi avere qualcosa di cui parlare: il che significa che devi mettere in campo una serie di iniziative per raccontare cosa stai facendo per ridurre l’impatto ambientale delle tue attività e renderle più sostenibili a livello ambientale, sociale ed economico. La questione, però, non è solo farlo, ma anche farlo nel modo giusto.

Ad esempio, se sei una catena di supermercati specializzata in surgelati la questione diventa ancora più complessa: perché è evidente che, quando si parla di grande distribuzione, o si mette in campo una serie di iniziative concrete oppure il rischio di farsi tentare dalle sirene del greenwashing è altissimo – con tutte le conseguenze del caso sull’immagine e la percezione del brand.

La catena di supermercati in questione è Iceland Food, azienda britannica con sede in Galles con un migliaio di store nel solo Regno Unito e qualche dozzina di altri punti vendita sparsi per l’Europa. Sappiamo tutti quanta plastica venga impiegata nella gdo: nella stragrande maggioranza dei casi gli alimenti vengono venduti impacchettati in vassoi, pellicole o buste di plastica prevalentemente usa e getta, spesso difficili da riciclare o che vengono dispersi nell’ambiente.

All’inizio del 2018 Iceland ha annunciato di voler diventare completamente plastic-free. Un progetto ambizioso da raggiungere in cinque anni: entro il 2023 Iceland avrà completamente sostituito tutti gli involucri e i contenitori di plastica in favore di buste di carta riciclata e vassoi in cellulosa.

https://about.iceland.co.uk/

Il progetto di Iceland Food è già di per sé piuttosto interessante ma ancora più interessante è la strategia messa in campo per comunicare questa svolta. Una volta annunciato il progetto, illustrato in un video da Richard Walker, consigliere delegato dell’azienda, Iceland Food ha lanciato l’hashtag #TooCoolForPlastic, utilizzandolo come collettore di una serie di video in cui si dà la parola non ai vertici dell’azienda, ma a chi si impegna in prima linea per ripulire l’ambiente marino dalla plastica:

La strategia comunicativa di Iceland parte proprio da qui: ogni anno dodici milioni di tonnellate finiscono negli oceani, creando danni incalcolabili all’ecosistema. Iceland Food si lavora per diventare plastic-free, ma nel frattempo c’è un sacco di gente che cerca di riparare ai danni creati fino a qui. Ed è così che la campagna di Iceland dà voce ad un gruppo di volontari di New Brighton, cittadina costiera nei pressi di Liverpool, che da tempo si impegna a ripulire le spiagge della città, spesso invase da frammenti di plastica più o meno grandi restituiti direttamente dal mare.

Inutile negare che, a fronte di un’attenzione sempre crescente da parte dell’opinione pubblica, fare una scelta aziendale in ottica di riduzione dell’impatto ambientale non è soltanto una questione di sostenibilità: è anche una questione di marketing e, soprattutto, di branding. Tuttavia, ci sono modi più efficaci di altri per raccontare le proprie svolte verso la sostenibilità: uno di questi è non mettersi in prima linea, ma dimostrare di far parte di un (eco)sistema più grande, dove si lavora insieme per il raggiungimento di un obiettivo.

Lesson Learned: Coinvolgere una “terza parte” nella comunicazione di un progetto legato al proprio brand può essere un’ottima strategia per dimostrare la validità di quello stesso progetto, e per consolidare il posizionamento del brand in quella fetta di mercato in cui si vuole agire. 

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