“Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone
che potete regolare sulla libertà della mia mente.”
(Virginia Woolf)
Si sta parlando molto in questi giorni di pandemia di quale sarà il futuro del lavoro. Dopo mesi di telelavoro in cui le nostre case nel bene o nel male sono state le protagoniste di una emergenza mondiale che ci ha portato a rivedere profondamente le nostra dimensione rispetto alla nostra modalità di lavorare. Alcune riflessioni legate non solamente agli aspetti tecnologici, ma agli spazi del lavoro, ci possono aiutare a capire cosa dovremo fare nel futuro e cosa è già presente nella nostra realtà attuale per creare quella empatia degli spazi che sarebbe importante fosse l’elemento distintivo nel lavoro del futuro.
C’è da chiedersi come si sono evoluti gli ambienti di lavoro dalla seconda rivoluzione industriale ad oggi e capire quanto siano empatici.
In “Atelier i luoghi del pensiero e della creazione”, la scrittrice Elisabetta Orsini ci immerge in un ambiente di lavoro davvero d’eccezione, in cui assistiamo proprio alla fusione tra l’uomo e il suo luogo di lavoro. “L’atelier costituisce una singolare sintesi fra il fuori e il dentro, fra il mentale e il corporeo. L’artista quando lavora nel suo studio permane dentro se stesso e si esilia dal mondo, escludendolo, ma ciò nonostante e proprio grazie al suo lavoro nell’atelier, dimentica se stesso e la sua individualità per divenire parte della sua opera e del suo spazio di creazione. […] Finché l’artista continua a lavorarvi lo spazio è il suo corpo, (…) l’habitat esterno riflette quello interiore e prolunga il corpo dell’artista nel corpo dello studio.”
Harry Francis Mallgrave, nel suo bel libro “L’empatia degli spazi”, sostiene che “Gli edifici sono spesso considerati oggetti stravaganti piuttosto che elementi palpabili cui i nostri corpi e i nostri sistemi neurologici sono inestricabilmente connessi. L’architettura non è un’astrazione concettuale bensì una pratica incarnata e lo spazio architettonico si costituisce primariamente attraverso un’esperienza emotiva e multisensoriale. Se le più avanzate scoperte scientifiche promettono benefici in ambito biologico o psicologico, queste stesse scoperte hanno anche la potenzialità di migliorare i nostri ambienti costruiti. Particolare attenzione va posta verso coloro per i quali progettiamo: le persone che abitano gli edifici che costruiamo.”
Al giorno d’oggi, non c’è impresa che non sia alla ricerca di strumenti per integrare al meglio gli obiettivi individuali con quelli aziendali. Le trasformazioni radicali che toccano il mondo del lavoro in ogni suo aspetto, inevitabilmente spingono le organizzazioni ad ampliare la loro concezione di lavoro verso nuovi orizzonti.
Il grande psicologo americano Carl Rogers è stato il primo a riconoscere nell’empatia quel “quid” che si crea tra paziente e terapeuta o, per contestualizzare, tra collaboratori, senza il quale sarebbe impossibile rendere “compartecipi” due persone in modo da far sì che tale scambio abbia valore. Rogers era arrivato alla conclusione che un alto grado di empatia in una relazione è probabilmente il fattore più potente nell’apportare trasformazioni e apprendimento.
Secondo Jeremy Rifkin “La coscienza empatica si è sviluppata lentamente lungo il corso dei 175mila anni di storia dell’umanità: a volte è fiorita, per poi regredire per lunghi periodi. Lo sviluppo dell’empatia e lo sviluppo del sé vanno di pari passo, e accompagnano la crescente complessità e sete di risorse delle strutture sociali che caratterizzano l’esistenza umana”.
Le aziende che si muovono verso un digital workplace stanno sicuramente aumentando, ma in realtà sono poche le organizzazioni che lo attuano strategicamente e l’emergenza accorsa per il Covid-19 non ha fatto altro che alimentare una certa confusione in questo senso. La conoscenza delle nuove modalità di lavoro è ancora scarsa e questo non consente l’ottenimento dei benefici sperati.
Alcuni degli aspetti da considerare per uffici sostenibili sono un buon isolamento termico, un’illuminazione a basso consumo, delle finestre intelligenti, le smart windows e soprattutto tanto verde.
La sfida è dunque quella di integrare il più possibile sostenibilità ed efficienza energetica anche in ambito lavorativo per far sì che gli spazi siano quanto più possibile confortevoli, perché maggiore benessere verrà concepito dai dipendenti, migliore sarà l’efficacia e la produttività.
Facebook Comments