#OpenDataDay: Open Data per la Sostenibilità

Nasce oggi - in occasione dell'open data day - la rubrica "Open Data per la Sostenibilità", nella quale racconteremo quale può essere il loro impatto positivo sul raggiungimento degli SDG di Agenda 2030 e nel promuovere uno sviluppo economico e una crescita sostenibile per la società

Oggi è l’open data day in tutto il mondo. In Italia quest’anno non c’è tanto fermento come nel passato, ma forse è anche giusto così: non abbiamo particolarmente brillato di recente sul tema, diciamocelo. Tuttavia, vogliamo onorare questa giornata dando il via a una rubrica dal titolo “Open Data per la Sostenibilità” con la quale vogliamo raccontare gli obiettivi di sostenibilità dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile attraverso il “punto di vista degli open data”. In sostanza, obiettivo per obiettivo, vogliamo discutere perché e come gli open data possono avere un impatto positivo sul raggiungimento degli stessi.

C’è da dire che i 17 goal dell’agenda 2030 sono particolarmente correlati tra loro: per esempio “sconfiggere la povertà” – obiettivo 1 – ha forse senso se riusciamo a “incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile” – obiettivo 8 – e a “ridurre le ineguaglianze” – obiettivo 10 -. Questa forte relazione ci porterà probabilmente a illustrare alcuni obiettivi insieme e forse anche a discutere come certi tipi di open data, che si basano su standard ben consolidati da anni, possono offrire più opportunità per trattare tali relazioni e quindi le inerenti complessità che da esse ne derivano.

Per iniziare ad affrontare il tema, da buoni analisti della semantica dei dati, è sempre bene partire da chiare definizioni.

Su quelle di agenda 2030 e dei suoi 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goal), TechEconomy si è a lungo soffermata, avendo incardinato la sua missione proprio sul principio fondante di quell’agenda, ossia la sostenibilità.

Sul tema degli open data (in italiano dati aperti) le definizioni, dopo 10 anni di attivismo, linee guida e normative, dovrebbero essere ormai chiare, cristalline, ma purtroppo ancora non è così, né per le persone men che meno per le istituzioni pubbliche e politiche. Ci sembra quindi questa una buona occasione per chiarire una volta per tutte cosa sono, fornendo una definizione che ci guiderà anche nelle future discussioni della rubrica.

Partendo dalla normativa italiana, e in particolare dal d.lgs 82/2005 e successive modificazioni, anche noto come Codice dell’Amministrazione Digitale, un dato aperto è un dato che non contiene dati personali (tranne alcune eccezioni per bilanciare diritti come quello della trasparenza) e per il quale siano verificati tutti e tre i seguenti requisiti e non solo uno come spesso si legge:

  • Requisito giuridico: un dato disaggregato disponibile secondo i termini di una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali;
  • Requisito tecnico: un dato provvisto di metadati, adatto all’utilizzo automatico da parte di programmi, accessibile attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione in formato aperto (dove per formato aperto si intende un formato dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati);
  • Requisito economico: un dato gratuito o al massimo disponibile ai costi marginali per la sua riproduzione e divulgazione.

Utilizzando una definizione più snella, riconosciuta anche a livello internazionale, un dato aperto è un dato che può essere liberamente utilizzato, condiviso e costruito da chiunque, ovunque, per qualsiasi scopo.

Pare quindi evidente, da queste definizioni, che qualunque licenza associata a dati non personali che ne limita il riutilizzo, per esempio licenze che non consentono alcun tipo di sviluppo commerciale, o peggio ancora non consentono opere derivate, non possono andar bene per qualificare un dato aperto, così come non può andar bene discriminare specifici utenti pubblicando dati che in certe circostanze non sono nemmeno leggibili da appositi software (come il caso dei famigerati PDF immagine che un non-vedente non riuscirebbe a decifrare).

Ma dovrebbe anche essere lampante che non tutto quello che viene pubblicato sul Web, e quindi reso pubblico, ossia conoscibile da chiunque, possa essere considerato open data. Gli open data sono un sottoinsieme dell’insieme più ampio dei dati pubblici che rispettano tutti e tre i requisiti prima elencati.

Per anni, nel nostro Paese in maniera particolare, si è associato il tema degli open data quasi solo al tema della trasparenza. Si è detto: i cittadini sono in grado di controllare l’operato di istituzioni pubbliche grazie alla disponibilità degli open data.

Verissimo, tuttavia, uno dei presupposti più importanti di questa nuova rubrica è cercare di vedere gli open data anche come un’infrastruttura immateriale che abilita uno sviluppo economico, una crescita sostenibile della società che diventa più informata e quindi più libera. È grazie alle loro caratteristiche e disponibilità che tutte le aziende (non una o solo un certo gruppo) possono riutilizzarli per costruire il loro business, fornendo servizi particolarmente innovativi, che vadano anche nell’ottica di rendere più trasparenti ai cittadini le azioni e le decisioni che vengono prese sulla loro vita. È grazie alle loro caratteristiche e disponibilità che la ricerca, tutta non solo singoli gruppi, potrebbe avere più armi a disposizione per studiare, analizzare fenomeni, contribuendo al progresso del Paese. È grazie alle loro caratteristiche e disponibilità che pubbliche amministrazioni potrebbero avere più informazioni a disposizione per lo svolgimento di attività istituzionali. È grazie alle loro caratteristiche e disponibilità che cittadini curiosi potrebbero arricchire il loro bagaglio di conoscenza, diventando così più informati e consapevoli.

In conclusione, i dati aperti sono un bene comune (#datiBeneComune) per tutti, che può innestare innovazioni e sviluppi per una società più sostenibile e democratica, come ci ricordano ormai più di 47.000 persone e più di 170 organizzazioni del nostro Paese.

Buon Open Data Day a tutti!

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Giorgia Lodi ha conseguito il dottorato di ricerca in Informatica presso l'Università di Bologna (Italia) nel 2006. Attualmente è tecnologa presso l'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) - Laboratorio di tecnologie semantiche (STLab). In questo contesto, è referente privacy dell’Istituto e membro di svariati gruppi europei sulla definizione della semantica dei dati. In passato ha svolto attività di consulenza per l'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID), dove ha lavorato in aree quali open government data, Linked Open Data, Semantic Web, Big Data e sviluppato la rete nazionale di ontologie per la pubblica amministrazione OntoPiA. All'interno di STLab ha coordinato e coordina ancora diversi progetti nazionali ed europei che prevedono l’apertura di dati secondo il paradigma dei Linked Open Data

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