Grazie TechEconomy, addio. Benvenuta TechEconomy2030!

Ricordo ancora bene quando, ormai otto anni fa, pubblicai un post su Facebook che recitava più o meno così: “qualcuno vuole partecipare ad un progetto nuovo?”. Era la sera della vigilia di Capodanno (cosa non si fa per risparmiarsi il veglione), ma malgrado ciò risposero in tanti. Ed a quel punto il dado era tratto…

Era ancora l’era dei blog…

Al tempo l’idea era quella di creare un blog multi-autore (si, andavano ancora di moda i blog) dove si potesse riflettere sul ruolo della tecnologia e dell’economia nello sviluppo della società, prendendo in considerazione punti di vista diversi che venissero da esperti, tecnici, docenti universitari, ricercatori appartenenti alle più variegate discipline.

Anche il bombo può volare

Oggi in effetti parleremmo di trasformazione digitale, ma allora ancora non si chiamava così. Anche se il senso era già quello. Io e tanti altri sentivamo l’esigenza di uno spazio ove sviluppare una riflessione seria sulla dimensione trasformativa del digitale nel mondo. Una riflessione che non fosse vincolata ai tempi brucianti imposti da un’informazione sempre più mordi e fuggi, che non dovesse essere condizionata dall’ansia degli analytics e del traffico, che non vivesse all’ombra del click-baiting. Che non dovesse rispondere a sponsor ed a logiche commerciali stringenti e che ci consentisse di dire la nostra senza doverci preoccupare troppo di risultare simpatici o antipatici. Eravamo dei sognatori, e lo siamo ancora. Insomma: non proprio il massimo se se ne vuole fare un business. Un po’ come il bombo di Einstein (che in realtà sembra non essere di Einstein): una cosa che sembrava proprio non poter volare. Eppure, in barba alle leggi della fisica o – proprio come nel caso del bombo di Einstein – in virtù del fatto che a volte la fisica è più complessa di come pensiamo di saperla interpretare, Tech Economy vola felice dal 2012.

È ora di cambiare

In tanti hanno capito la peculiarità di uno strumento che non insegue il mercato, ma cerca di riflettere su di esso. In tanti nel tempo si sono avvicinati ad un progetto che è cresciuto con loro e che grazie a loro si è rinnovato e continua a rinnovarsi (qualcuno, certo, non l’ha capito. Ma state pur certi che ce ne faremo una ragione). Ormai Tech Economy è conosciuta. Ha un suo pubblico di riferimento straordinariamente vasto, se guardiamo ai temi che affronta ed a come li tratta. È apprezzata perché – tra le altre cose – non abbiamo peli sulla lingua né amici da difendere a priori. Insomma: è una macchina molto particolare, ed ormai è ben rodata. E cosa si fa con una macchina rodata? Non so voi, ma noi non certo la cosa più ovvia: ossia oliarla per bene e mandarla avanti così. Noi infatti la cambiamo. Si, avete letto bene. Non facciamo un restyling, non le diamo una riverniciata. La cambiamo del tutto. A partire dal nome.

Attenzione a non sbagliare la domanda

Perché cambiare tutto? Perché pensiamo che Tech Economy, per come l’abbiamo pensata, in fondo non serva più. Abbiamo iniziato otto anni fa il nostro ragionamento comune sul ruolo ed il senso della tecnologia come strumento di trasformazione della società. Ad otto anni di distanza questa domanda se la pongono ormai in tanti. E noi ci siamo annoiati. Ci siamo annoiati perché pensiamo che una parte importante del mondo dell’informazione, della ricerca, della società, oggi, stia rischiando di sbagliare la domanda. Un rischio che corre ogni volta che si interroga per cercare di capire se l’intelligenza artificiale crei o distrugga posti di lavoro, ogni volta che si chiede se i big data siano uno strumento di comprensione della società o di controllo su di essa, ogni volta che si domanda se i social network creino nuove solitudini o sviluppino inedite modalità relazionali. Ogni volta, insomma, che si chiede se la tecnologia ci faccia bene o male.

Perché il punto – oggi – non può essere ancora quello di cercare di capire se la tecnologia fa bene o male. Non possiamo limitarci ad un ruolo di spettatori nello sviluppo di una tecnologia vissuta nelle sue evoluzioni come se non dipendesse (anche) da noi. Non possiamo, insomma, limitarci a pensare di dover subire i risultati di scelte che, in fondo, siamo noi stessi a co-determinare.

Quando ci chiediamo se la tecnologia ci fa bene o male sbagliamo la domanda.

Non chiediamoci “se”, ma interroghiamoci sul “come”

Per noi, oggi, la domanda corretta non è se la tecnologia ci faccia bene o male, ma come si debba fare per supportare un modello di sviluppo tecnologico che non solo sia positivo, ma diventi strumentale allo sviluppo di un mondo migliore. Non dobbiamo chiederci se i big data siano una buona idea, ma come usarli perché siano utili. Non dobbiamo chiederci se blockchain sia una soluzione o un problema, ma come sfruttarla perché produca un impatto positivo. Non dobbiamo chiederci se i robot elimineranno posti di lavoro, ma organizzarci perché creino un vantaggio per le aziende e per i lavoratori. Insomma: la differenza tra Taylor e Ford non è nella tecnologia, ma nel modello di società al quale ha guardato chi l’ha implementata. Guardiamo con attenzione agli sviluppi della tecnologia, intercettiamone e discutiamone i rischi, ma lavoriamo alacremente per sfruttarne i vantaggi!

Che strada prendere?

La tecnologia come strumento per la costruzione di un mondo migliore? Facile a dirsi, ma che vuol dire – in concreto – un mondo migliore? Anche in questo caso, prima di perdersi in riflessioni astratte, la strada la abbiamo, e si chiama sostenibilità. La tecnologia deve diventare uno strumento utile alla costruzione di un mondo sostenibile. Sostenibilità ambientale, economica e sociale non sono principi astratti: sono parti di un sistema complesso ed interconnesso che deve rappresentare l’obiettivo a cui puntare quando ci si chiede cosa si voglia trarre di buono dalla trasformazione digitale. Trasformazione digitale che deve diventare appunto, strumento di sostenibilità.

La sostenibilità …è un tema “d’agenda” (oggi)

Da ormai quasi un decennio una parte importante del mio lavoro si svolge dall’altro lato del mondo, dove per le Nazioni Unite mi occupo dell’analisi degli impatti della trasformazione digitale sulla sostenibilità urbana. Un lavoro così lontano da quello che si fa in Italia che non mi è mai nemmeno venuta la tentazione, da questa parte dell’oceano, di parlarne più di tanto. Oggi, tuttavia, finalmente qualcosa sta cambiando. Il tema della sostenibilità sta diventando centrale anche nel nostro Paese, e finalmente si inizierà a ragionare di sostenibilità in maniera davvero compiuta. O almeno così è sperabile. E farlo vuol dire avere come faro Agenda 2030. Un faro che conosciamo grazie all’ottimo lavoro di realtà che anche nel nostro paese si preoccupano di divulgarne la cultura (una tra tutte l’Asvis), ma che ancora oggi rischia di illuminare soltanto chi già sa dove guardare. Anche se le parole di Ursula Von der Leyen lasciano sperare che le cose siano destinate, presto, a cambiare.

Una nuova strada

E con questo veniamo a noi. Che fine fa Tech Economy? Tech Economy vuole dare il suo contributo a questo percorso focalizzando totalmente la sua azione sui temi collegati alla sostenibilità, nel quadro degli obiettivi di Agenda 2030.

Siamo convinti che oggi sia un vero e proprio dovere sociale di chi si occupa di tecnologie e trasformazione digitale dedicare la massima attenzione possibile a questo tema. E per farlo nel modo più corretto vogliamo iniziare dalle domande giuste (o che noi riteniamo tali):

  • come sfruttare la trasformazione digitale come leva di sostenibilità?
  • Come usare le tecnologie come strumenti per migliorare la nostra società, il nostro ambiente, la nostra economia?
  • Quali sono le scelte da supportare per fare della tecnologia un’alleata in questo percorso?

Solo guardando a questa prospettiva la società potrà comprendere come sfruttare positivamente le leve della tecnologia e del digitale. Solo così – e facendo riferimento ad un quadro “alto”, che è quello di Agenda2030 – potremo indirizzare le giuste scelte politiche sui più disparati temi che la tecnologia tocca: dall’informazione all’economia della condivisione, dalla platform society al 5g, dalla di privacy al ruolo dei social network, dalla web tax alle fake news. E quindi eccoci qui con quello che è ben più di un restyling.

Tech economy 2030

Le attività di Tech Economy “confluiscono” verso il Digital Transformation Institute, perché siamo convinti che l’attività di ricerca sia imprescindibile in questo momento storico e la sensibilizzazione verso la consapevolezza di ciò che sta succedendo sia un elemento fondamentale per vincere la sfida del cambiamento in atto. Il Digital Transformation Institute, nato ormai da tre anni, diventerà il “motore” del nostro cambiamento, a partire da un progetto editoriale che prende da Tech Economy le persone, le idee, le esperienze maturate in tanti anni e le proietta verso un nuovo obiettivo: guardare alla tecnologia come strumento di sostenibilità. E farlo – cosa non secondaria –  cercando di abbattere la barriera di competenze, di diffidenza reciproca, di modelli non sempre condivisi tra chi si occupa di sostenibilità e chi si occupa di digitale. Siamo convinti che questi due mondi, per funzionare, debbano toccarsi più di quanto non abbiano fatto finora.

Vogliamo impegnarci per fornire il nostro contributo in questa direzione.

Che succede ora?

Ciò che abbiamo detto vogliamo farlo, per ora, in cinque modi:

  1. Mandando in pensione Tech Economy per come l’abbiamo vissuta in tanti anni per costruire il nuovo Tech economy 2030, che speriamo vi piacerà quanto e più il suo anziano genitore;
  2. Pubblicando un manifesto che – nella sua essenzialità – vuole essere il nostro riferimento e la nostra guida nella costruzione di questo nuovo progetto;
  3. Sviluppando una ricerca sul ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità finalizzata ad identificare un set di indicatori concreti;
  4. Lavorando ad un grande evento sulla tecnologia per la sostenibilità (che non vuol dire tecnologia sostenibile) che abbiamo in programma per il 2020;
  5. Pubblicando un libro su questo tema. Entro l’anno (si lo ammetto: questa l’ho aggiunta per cercare di costringermi a chiudere le bozze, da troppo tempo sospese).

E quindi, senza troppi sentimentalismi (anche se non nascondo che l’emozione è tanta) grazie a quanti hanno letto, scritto, sostenuto, criticato, odiato ed amato il nostro Tech Economy. Grazie a quanti ci hanno aiutato a farlo crescere e ci hanno portato a vederlo oggi trasformarsi in qualcosa di nuovo e diverso. E, speriamo, ancora più stimolante.

Grazie a Tech Economy. E addio. Benvenuta Tech Economy 2030.

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