I media nella storia americana
L’evoluzione dei media ha dato origine al susseguirsi di momenti di progresso e fasi di arretramento della qualità dell’informazione, con conseguenze che si riflettono sulla stabilità e la resilienza delle istituzioni democratiche. In tal senso, nelle storia americana si trovano alcuni spunti di riflessione utili per capire il ruolo dei media e della tecnologia digitale nello sviluppo della coscienza politica individuale e collettiva che sorregge la democrazia.
Come ricordava Tocqueville, agli albori del giornalismo del nuovo continente, i giornali di quartiere o delle associazioni fungevano da voci che animavano il dibattito delle elite politiche sul futuro dell’America e delle sue istituzioni. Alla fine dell’ottocento, invece, si assisteva all’affermarsi del giornalismo professionale su quello scandalistico, anche detto yellow journalism. Il giornalismo, divenuto una professione, mostrò tutto il suo valore a difesa della democrazia anche in momenti complessi come quelli che attraversò la società americana negli anni Settanta. Basti ricordare l’impatto delle inchieste che portarono alla luce gli scandali noti come Pentagon Papers (1971) e Watergate (1972). Da quel momento in avanti, anche grazie ad una celebre pronuncia della Corte Suprema, il giornalismo è servito da “faro” per illuminare ciò che può nascondersi tra le ombre del potere, controllare chi governa, non far passare inosservati i suoi errori o eventuali inganni.
Il pilastri del giornalismo made in USA e il backlash di internet
La reputazione del giornalismo americano è cresciuta sulle basi del binomio, tanto prezioso quanto fragile, tra libertà di espressione e verità dell’informazione. Oggi la missione dei media non è cambiata, nonostante le tecnologie che veicolano le news siano in continua trasformazione. Tuttavia, le tecnologie digitali hanno messo in evidenza alcune imprevedibili vulnerabilità del giornalismo in tutte le democrazie occidentali e soprattutto negli USA.
Per comprendere cosa è successo, bisogna ricordare che nei primi anni Novanta il legislatore americano appoggiò la politica della “non regolamentazione” delle responsabilità degli utenti sul web con l’obiettivo di favorire la crescita della rete. Oggi, questa scelta originaria, codificata nella legge sulle telecomunicazioni, ha alterato l’equilibrio tra libertà di espressione e verità dell’informazione dando prevalenza alla prima sulla seconda, e con la conseguenza che la percezione collettiva della credibilità dell’informazione si è spostata dai media tradizionali a quelli digitali, spesso a discapito delle fonti e di notizie ben ancorate ai fatti.
Il risultato è stato quello di un “backlash” di internet, ossia alcune delle promesse del web si sono rivelate dei tranelli per i suoi utenti e per la democrazia che si è trovata esposta a rischi inediti. Ci si aspettava, infatti, che internet rafforzasse i regimi democratici ed i processi di democratizzazione ed invece in alcuni momenti internet ha indebolito la democrazia, fin quasi a minarne le fondamenta. Negli ultimi dieci anni i social network, che hanno assunto la funzione di agorà virtuali delle democrazie contemporanee, sono stati usati per manipolare il consenso politico in un crescendo di disinformazione. Nel caso degli USA, l’onda mediatica della disinformazione ha raggiunto l’apice nella campagna delle elezioni presidenziali del 2016, quella vinta da Donald Trump.
I tranelli dell’intreccio tra tecnologia e libertà d’informazione
Le elezioni presidenziali del 2016, sono state il periodo in cui gli USA hanno assistito all’esplosione delle fake news, cioè di informazioni artefatte per favorirne la diffusione, a prescindere dalla qualità e veridicità dell’informazione. Questo fenomeno è stato aggravato dalla dinamica degli algoritmi di prima generazione, che plasmavano le cosiddette echo chambers. Le cosiddette “camere dell’eco” si creano laddove un social network propone ad un utente solo contenuti che sono coerenti con il suo credo politico, come se fosse in un ambiente chiuso o meglio una camera virtuale, dove ci sono barriere che escludono le opinioni diverse, rendendo impossibile il dissenso e il pluralismo. L’utente legge soltanto informazioni affini al suo pensiero politico, rinforzando le sue convinzioni. Le echo chambers hanno due effetti da non sottovalutare: generano una crescente intolleranza e spostano la polarizzazione dalle elite al cittadino.
I dati hanno evidenziato come le elezioni del 2016 abbiano rappresentato il momento più drammatico per l’assalto delle fake news all’informazione. Una pubblicazione del 2019 apparsa sulla rivista Nature Communication mostra quanto sia stato dirompente il peso delle fake news nel 2016. Analizzando trenta milioni di tweet che riportavano notizie politiche, pubblicati nei cinque mesi antecedenti alle elezioni del 2016, si è scoperto che circa 7,5 milioni erano fake news.
Il nuovo corso della politica aziendale dei social network
Dopo le ricorrenti accuse rivolte ai social come culla della disinformazione, nel 2020 è cambiata la politica aziendale dei social media nei confronti degli utenti e della veridicità delle notizie. La pandemia ha anche permesso di sperimentare su larga scala dei metodi di controllo dei post per ristabilire l’integrità dell’informazione e il legame fatto-notizia. Sono intervenuti sistemi di allerta preventiva, con avvisi e segnali di allerta per etichettare i post come affidabili o meno, facendo rierimento a informazioni credibili perché diffuse dalle autorità pubbliche.
Al contempo, da luglio del 2020 i social hanno attivato dei sistemi di monitoraggio per le campagne politiche per incentivare la trasparenza ed evitare che la diffusione di notizie false possa manipolare la rete. Queste misure hanno riguardato direttamente gli account ufficiali dei candidati, quelli dei partiti, degli altri leader politici e degli influencer coinvolti nelle presidenziali del 2020.
L’obiettivo è stato quello di promuovere le notizie diffuse da fonti ufficiali o da giornali professionali rispetto a fake news che avrebbero potuto diventare virali grazie a pagine architettate come strumenti di disinformazione (utili anche come strumenti di influenza politica da parte di potenze esterne agli States). Nascono quindi nuove regole per sovraintendere il funzionamento dei social per preservare l’informazione digitale creando alleanze con i giornali tradizionali e promuovendo la visibilità dei post degli account delle istituzioni.
Riforme del web e Obiettivi di sviluppo sostenibile
Intanto, anche sulla spinta di indagini giudiziarie contro i big del web, si è aperto il dibattito nei partiti americani sulla riforma della Sezione 230 del Telecommunications Act, ossia la legge sulle telecomunicazioni, del 1996. Lo stesso presidente Joe Biden, da candidato democratico, si era schierato tra i favorevoli alla riforma per applicare ai media digitali le regole che valgono per la stampa tradizionale.
Parallelamente a questa riforma, la Commissione energia e commercio della House of Representatives del Congresso americano sta valutando cosa possano fare Facebook, Twitter e Google per controllare la disinformazione. Si tratta della prima fase di un esame parlamentare che porterà a nuove proposte per regolamentare la rete.
In linea con il ritorno della leadership degli USA nell’ambito del multilateralismo, il nuovo orientamento assunto dai social network verso l’informazione ed il dibattito politico in corso a Washington dimostrano come la democrazia americana stia provando a salvare se stessa dalla disinformazione mobilitando il giornalismo, le tech-companies e la politica per creare le condizioni di quella sostenibilità “sociale ed istituzionale” di cui si parla nel sedicesimo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. La stabilità ed il progresso delle democrazie richiede una comunicazione digitale che aiuti il cittadino a comprendere, senza essere preda di facili manipolazioni del consenso.
Solo quando l’industria di internet contribuirà a ricostruire il funzionamento virtuoso dell’informazione, salvando gli effetti positivi delle sue interazioni con la democrazia, allora inizierà un’altra fase della sinergia tra politica e tecnologia. Gli USA continueranno ad essere un laboratorio dello sviluppo digital-politico e le altre democrazie seguiranno il loro esempio.
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