L’innovazione sostenibile: la costruzione del futuro o futuri da subire?

Per superare gli effetti sociali, sanitari ed economici causati dall'emergenza pandemica, e sostenere con forza il rilancio dell’economia, sarà fondamentale una politica di collaborazione che possa indirizzare verso una innovazione sostenibile

“Più di tutto mi ricordo il futuro“

Salvador Dali’

 

Tutto il sistema internazionale è messo a dura prova dall’emergenza globale del Covid-19. La caduta a domino partita dalla crisi sanitaria ha colpito tutti i settori da un punto di vista economico: le attività pubbliche, quelle scolastiche, quelle industriali, i mercati finanziari, il turismo, il traffico aereo, le produzioni cinematografiche e artistiche, quelle sportive.

Viviamo ancora in un mondo globale ma siamo allo stesso tempo divisi perché ogni nazione, seppur interconnessa, tratta l’emergenza in maniera molto individuale e indipendente, non tenendo conto delle complessità e delle connessioni economiche-politiche. A questo punto, chiedersi se subire o costruire il nuovo futuro è d’obbligo, per far sì che ad indebolirsi non sia anche la leadership comunitaria e collettiva che, invece di mantenere attivo il dialogo e la cooperazione, cederebbe il passo ad egoismi sempre più marcati, all’isolazionismo e in alcuni casi ad una deriva autoritaria.

Il cambio di paradigma che viene chiesto all’Unione europea, ad esempio, è necessario per non uscire da questa situazione emergenziale con danni economici e politici ancora più gravi. Una politica di collaborazione tra i paesi occidentali è di fondamentale importanza per superare gli effetti sociali, sanitari ed economici di questa emergenza epocale e sostenere con forza il rilancio dell’economia anche difendendo gli asset strategici europei. (1)

All’inizio c’è stata un’iperglobalizzazione, sostituita da governance globali intelligenti che però hanno presentato molti problemi: le identità politiche, i legami affettivi che ruotano ancora intorno agli Stati nazionali, le comunità politiche che sono organizzate per le nazioni, non per la globalità e quei “meccanismi transazionali che non riescono a sostenere la globalizzazione economica su vasta scala.” (2)

Quale sarà dunque la visione per una innovazione sostenibile? Che cosa intenderemo d’ora in poi quando parleremo di sense of community e come potremo svilupparlo a partire da questo cambio di paradigma? Sicuramente l’attenzione ricadrà su un’innovazione ancora più responsabile nei nostri modelli di vita: nuove forme di interazione sociale e produzione di beni e servizi dovranno basarsi su investimenti in un’innovazione che possa stimolare una crescita responsabile. (3)

Non si può non essere d’accordo con Fulvio Ananasso, Presidente Stati Generali dell’Innovazione e Consigliere Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione, che ritiene “fortemente auspicabile che parte degli stanziamenti mobilitati per combattere il coronavirus e la successiva ricostruzione economica fossero destinati a investimenti urgenti per stimolare l’Innovazione, specialmente proteggendo ed incentivando le micro/piccole e medie imprese (PMI) vitali per il nostro tessuto produttivo, protagoniste indiscusse di Open Innovation ma minacciate dagli sconvolgimenti del Covid-19 e dai rischi di esistenza stessa per via delle posizioni dominanti dei grandi gruppi che sopravvivranno”. (4)

È risaputo che l’innovazione sociale passa indiscutibilmente attraverso rete collaborative e lo ribadisce anche l’ultimo rapporto del CERIS (Centro di ricerche internazionali sull’innovazione sociale costituito all’interno dell’Università LUISS Guido Carli): nel nostro paese il 41% dei promotori dell’innovazione sociale è rappresentato da reti. (5)

“Porre l’accento sulle reti ibride e sull’innovazione sostenibile come ibridazione” afferma Patrizia Messina, Direttrice del Centro Interdipartimentale di Studi Regionali dell’Università degli Studi di Padova “vuol dire superare il vecchio paradigma dell’innovazione, solo tecnologica, tipica del fordismo, per lasciare il posto alla dimensione delle creatività, che mette l’accento sulla capacità di interconnessione, reinterpretazione e costruzione di senso, attraverso la configurazione di un ‘nuovo prodotto'”.

È tornata prepotentemente la dimensione locale, la realtà dei comuni e direi dei quartieri, perché la qualità della vita si misura dove abitiamo. Il tema della sostenibilità s’impone su tutti, dando una declinazione locale anche a quella globalizzazione che aveva tentato di cancellare ogni differenza annegando ogni realtà in uno standard unico, una notte in cui “tutte le vacche sono nere” per dirla con una celebre frase di Hegel. Si è molto parlato a ragione in questi giorni del tema della sostenibilità ambientale in relazione al coronavirus. Non sappiamo ancora l’origine di questo virus, se è stato uno spill over dal mondo animale a quello umano o una fuga da qualche laboratorio, forse lo scopriremo passata la fase più critica di questa situazione o forse non lo sapremo mai. Ma l’unica certezza che abbiamo è che nasce dalla nostra “insostenibilità” come comunità umana e in relazione alla natura che ci circonda. L’espansione di città enormi su terreni ancora abitati da una fauna naturale e la distruzione di ecosistemi millenari sono sicuramente la causa di questa situazione dove il paradigma di una crescita economica illimitata si scontra con evidenza con la realtà della terra che è limitata con confini e risorse ben definite. Come dice il grande biologo Edward Osborne Wilson, abbiamo colonizzato la biosfera e l’abbiamo devastata come nessuna specie nella storia della vita, in quello che abbiamo realizzato siamo unici, l’umanità è una conquista magnifica, ma fragile.

 

 

 

1  https://formiche.net/2020/04/geopolitica-crisi-coronavirus-nato-occidente/

2  Rodrik, D., La globalizzazione intelligente, Editori Laterza, 2011

https://www.agendadigitale.eu/cittadinanza-digitale/innovazione-sostenibile-tutte-le-novita-della-legge-di-bilancio-2020/

4 Ibidem

http://www.vita.it/it/article/2020/04/15/piu-sviluppo-sostenibile-con-le-reti-collaborative/155016/

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