Le misure sociosanitarie introdotte con l’inizio della pandemia da COVID-19 hanno causato una riorganizzazione del lavoro in remote working senza precedenti. La transizione al telelavoro infatti ha riguardato molti settori e paesi del mondo, ma dopo due anni è arrivato il momento di capire in che modo riguarda e agisce su di noi.
Come riporta un report dell’OMS e di ILO sul telelavoro sano e sicuro, in Europa la percentuale di persone che lavora in remoto è passata dall’11% al 48%, dopo l’arrivo della pandemia. Nonostante finora, a livello globale, il passaggio al telelavoro ha riguardato i lavoratori con redditi e livelli di istruzione più elevati, il trend è comunque destinato a crescere. Per questo motivo è importante analizzarne i potenziali impatti sulla salute e sulla sostenibilità sociale, oltre che economica e ambientale, così che datori di lavoro e governi agiscano per rendere il telelavoro sostenibile.
Il documento cerca di rispondere ad alcune domande: “qual è l’impatto del telelavoro sulla salute fisica e mentale e sul benessere sociale dei dipendenti e delle loro famiglie?”, o ancora “In che modo i servizi e gli operatori sanitari possono contribuire alla salute e alla sicurezza di chi lavora da remoto?”. Queste questioni ci portano a pensare al telelavoro non come a un semplice “lavoro da casa” ma piuttosto come ad un sistema complesso: un modello determinato da alcune caratteristiche peculiari, per la quale non si può agire su un elemento (in questo caso il lavoro) senza avere ripercussioni su altri sistemi (come quello familiare).
La complessità del telelavoro infatti può essere ricercata all’interno della trasformazione digitale avvenuta mediante la domestication delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). La nozione di domesticazione di Roger Silverstone riguarda il passaggio dall’estraneità alla familiarità in cui le tecnologie entrano a far parte della vita quotidiana delle persone, acquisendo aspetti che oltre ad essere materiali, sono anche simbolici. Il risultato che viene fuori – declinando questo concetto nell’ambito lavorativo – è quello di un consumo di esperienze scaturite dal rapporto con le tecnologie che all’interno della sfera familiare assegnano agli utenti il ruolo di costruttori di senso. I dipendenti in remote working, dunque, attribuiscono alle tecnologie utilizzate nell’ambito lavorativo un posto e un valore negli spazi e nei tempi domestici.
Bisogna ricordare che prima della pandemia lavorare da remoto era una possibilità nata in seguito a degli accordi individuali tra dipendente e datore di lavoro, mentre con la diffusione del coronavirus questa modalità lavorativa è diventata in primis una necessità– essendo parte integrante delle misure adottate per contrastare l’emergenza – andando inevitabilmente contro le preferenze di alcuni. Quindi il processo lavorativo è stato ripensato passando da una dimensione endogena (la scelta del dipendente) ad una esogena in cui fattori esterni hanno reso il telelavoro una scelta obbligata. Concentrandosi sula dimensione lavorativa, sul processo, sulla necessità di non fermarsi, si è persa la dimensione di senso. Per questo è necessario parlare di sostenibilità digitale, così da non guardare alle tecnologie come a fonti di inquinamento.
Degli studi hanno rilevato che il telelavoro è associato ad un aumento dei conflitti tra lavoro e famiglia, ma che tale conflitto è più alto quando le richieste di lavoro sono elevate. Anche in questo caso, dunque, si può affermare che le tecnologie migliorano le condizioni dell’uomo, poiché sono gli attori che si muovono in direzioni che rischiano di sbordare verso un sistema di insostenibilità sociale.
Inoltre, questo dimostra come la sostenibilità deve basarsi necessariamente sul bilanciamento dinamico di sistemi che sono fortemente interagenti tra loro, per questo si parla di “proteggere e promuovere la salute, la sicurezza e il benessere durante il telelavoro”.
“Le risorse online e la formazione su come gestire i confini intorno all’equilibrio tra lavoro e vita privata e le richieste simultanee da parte del lavoro e della famiglia, aiuteranno i lavoratori a ottenere un migliore senso di controllo e ridurre lo stress, migliorando le prestazioni lavorative.”
Il (tele)lavoro non può prescindere dalla sostenibilità (digitale)
Questa formazione può essere supportata da sistemi di valutazione e di sorveglianza della tele-ergonomia che monitorano le abitudini posturali durante l’orario di lavoro, suggerendo azioni correttive. Anche software come registri dotati di time tracking possono garantire che il confine tra vita lavorativa e vita privata non venga superato, aiutando i dipendenti ad avere un programma di lavoro sano con un determinato numero di ore.
Questi sono solo alcuni degli esempi sull’utilità delle tecnologie nel contesto lavorativo, nel momento in cui progettazione e modalità d’uso danno senso a quello che facciamo. Infatti, se le tecnologie facciano bene o meno dipende solo da noi – banalmente il time tracking può far sentire il dipendente costantemente monitorato o sotto sorveglianza: è necessario rideterminare l’approccio che abbiamo nei confronti delle tecnologie.
Digitalizzare il lavoro significa aggiungere delle caratteristiche, ma trasformarlo digitalmente porta con sé delle azioni che producono ripercussioni non prevedibili su un altro sottosistema. Se non si è in grado di descrivere le regole del telelavoro (e di utilizzare le tecnologie in modo corretto) si corre il rischio di non essere in grado di determinare le reazioni di chi lavora. Così se il digitale può rendere la vita più complicata, presentando rischi per il benessere psico-fisico come l’impatto sul ritmo di lavoro, affaticamento degli occhi, stress, la sostenibilità digitale può far sì che questo possa declinarsi diversamente nelle nostre vite.
La sostenibilità digitale indica da un lato il ruolo delle tecnologie digitali quali strumenti per lo sviluppo di un futuro sostenibile, dall’altro la direzione da dare alla tecnologia digitale perché sia sviluppata sulla base di criteri di sostenibilità. In questo senso le linee guida e le best practise che la scheda tecnica dell’OMS fornisce sono la dimostrazione di come spesso pur non facendo riferimento in maniera diretta alla sostenibilità digitale, la si metta al centro come approccio per affrontare quel futuro prossimo già divenuto presente.
Inoltre, l’applicazione Ergonomics Checkpoints sviluppata dall’International Labour Office (ILO) è un ulteriore esempio di come la tecnologia diventa strumento di sostenibilità digitale: attraverso la creazione di liste di checkpoint interattive per l’ergonomia, gli utenti ricevono delle raccomandazioni su quali siano le pratiche migliori da adottare per migliorare la propria postura mentre si lavora.
Una tecnologia per sostenere – letteralmente – i lavoratori. Solo secondo questo modello interpretativo si possono costruire modelli economici e sociali sostenibili. Per farlo però, bisogna avere un’idea della società che si contribuirà a sviluppare:
“Pertanto, è importante organizzare il telelavoro in modo da soddisfare le esigenze sia dei lavoratori che dell’organizzazione; ciò richiede un focus sul processo o sui risultati”
Interrogandosi su quali siano i comportamenti e i fattori di rischio per la salute fisica e mentale al fine di proteggere tutti i lavoratori (sostenibilità sociale), quindi, ci si sta chiedendo cosa diventino le cose quando vengono digitalizzate (sostenibilità digitale): dimostrando che non esiste un solo modo di guardare al problema.
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