Un approccio interdisciplinare alla Sostenibilità Digitale: intervista a Lara Lazzeroni

Lara Lazzeroni, Professoressa Associata di Diritto del Lavoro al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena, è la nostra nuova ospite della rubrica University 4 Digital Sustainability

La Sostenibilità Digitale non richiede soltanto lo sviluppo di competenze tecniche, ma anche una necessaria formazione culturale, utile a governare i nuovi strumenti e ad indirizzarne correttamente il potenziale. Tutto questo può nascere nelle Università, che però devono, e dovranno sempre di più, affrontare il tema in una prospettiva interdisciplinare. È il punto di vista di Lara Lazzeroni, la nuova ospite della rubrica University 4 Digital Sustainability: Professoressa Associata di Diritto del Lavoro al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena e delegata del rettore alle relazioni sindacali, è inoltre coautrice del Volume “Lavoro e tecnologie. Dizionario del diritto del lavoro che cambia” edito da Giappichelli (2022).

La Sostenibilità Digitale tra tecnica e cultura

Credo che oggi nelle Università sia chiara l’importanza della formazione sui temi della sostenibilità. Tuttavia, la misura di questa consapevolezza varia in base ai diversi contesti scientifici universitari: in generale, infatti, penso che sia maggiore per le cosiddette scienze dure, che sono attualmente più capaci, e con maggiore lucidità, di vedere nella tecnologia lo strumento abilitante per la sostenibilità”. Anche se fondamentale, però, non è solo la funzione strumentale, “fisica” della tecnologia a contare in tema di Sostenibilità Digitale. È importante anche una visione, una cultura sottostante che consenta di comprendere il legame imprescindibile che lega la tecnologia alla sostenibilità: ed è la capacità di creare tale cultura che, secondo Lara Lazzeroni, colma il gap tra i diversi settori universitari. “Tra i docenti di scienze umanistiche, di scienze sociali, si è forse più attivi sul fronte della formazione culturale, che è allo stesso modo una dimensione abilitante: la diffusione di una cultura sulla trasformazione digitale è fondamentale, perché è questa che abilita un accesso alla tecnologia più consapevole e meditato, oltre che supportato da una serie di strumenti atti a governare la tecnologia stessa, e a gestirla per favorire l’utilità sociale collettiva”.

La Sostenibilità Digitale richiede dunque un connubio tra la capacità di usare nel pratico i nuovi strumenti, e la capacità – propria della cultura – di comprenderne l’utilità e l’impatto. E questo, nelle Università, evidenzia la necessità di intraprendere un percorso di connessione tra le diverse discipline, la cui importanza sembra oggi si sia colta. “Questo è un aspetto che finora è sempre stato secondario nell’attenzione del docente, che ha la tendenza a lavorare nel settore in cui ha la propria specializzazione”, spiega Lara Lazzeroni, “oggi sta però crescendo la consapevolezza dell’importanza di collegare fra loro le discipline di insegnamento, e questo è senza dubbio uno dei bisogni chiave che la sostenibilità digitale porta con sé. Lo vedo guardando alla mia stessa disciplina, con il numero crescente di contributi, di saggi e articoli che a livello nazionale vengono predisposti in materia di digitale: io insegno Diritto del Lavoro, e temi oggi centrali come la digitalizzazione del lavoro o gli algoritmi in passato non erano ugualmente considerati”.

Nonostante ciò, la visione di creare una cultura in grado di collegare la tecnologia al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità in senso ampio – quindi intesa nei suoi tre pilastri – non sembra ancora ricoprire un ruolo di primo piano negli atenei italiani. “Se si parla con chi si occupa di questi temi dal lato tecnico, la sostenibilità digitale è vista soprattutto dalla prospettiva di sviluppare tecnologia a basso impatto ambientale, a bassi consumi energetici. Ma occorre partire dal presupposto che la trasformazione digitale è in grado di toccare trasversalmente tutti e tre gli ambiti della sostenibilità: in questo senso, l’idea di creare una cultura per andare incontro a tutti gli obiettivi di sostenibilità, che sia essa ambientale, economica e sociale, è ancora secondaria”.

Un diverso approccio alle competenze digitali

Se quella di creare collegamenti fra gli ambiti disciplinari è la strada da seguire per le Università, queste devono però superare anche alcuni limiti che, per lo sviluppo della Sostenibilità Digitale, possono rappresentare un ostacolo: tra questi, secondo Lara Lazzeroni, c’è la diffusa tendenza di creare competenze “basiche” che, nell’ambito del rapporto tra digitale e sostenibilità, possono rivelarsi non adeguate. “Questo è un approccio allo sviluppo delle competenze che è tipico di quasi tutte le Università e dei corsi di formazione, e dal quale occorre uscire. Per fare un esempio, nella mia Università abbiamo da svariati anni, da prima che questo tema diventasse centrale, uno specifico corso sulla sostenibilità: questo è affiancato da un corso sull’Intelligenza artificiale, proprio per far vedere come questi temi siano strettamente connessi, e come quello dell’IA sia un settore sul quale investire per favorire la sostenibilità. La forza e l’originalità di questo corso è che nella sua programmazione si cerca di garantire una trasversalità interdipartimentale: non è quindi un corso offerto a uno specifico dipartimento, come quello di ingegneria, ma è aperto a tutti, con l’obiettivo di creare e diffondere conoscenza per tutti. L’idea alla base è quella di tenere insieme tecnologia digitale e sostenibilità, stimolare una riflessione condivisa, e soprattutto di evitare che si pensi all’acquisizione di competenze digitali come ad uno strumento per imparare ad utilizzare una determinata tecnologia. È fondamentale allargare la visione ad altro”.

Ed è questo l’approccio che le Università dovrebbero seguire, oltre che ciò che viene oggi richiesto a queste strutture: quello, cioè, di fornire non soltanto le competenze utili all’utilizzo dei nuovi strumenti, ma anche di creare le condizioni affinché, di tali strumenti, si possa fare un corretto utilizzo. “I ragazzi oggi hanno scarse competenze digitali, perchè appunto limitate a ciò che serve loro per affrontare un problema specifico. Non sono interessati alla conoscenza piena”, sottolinea Lara Lazzeroni, “e lo vediamo quando utilizzano i social: si inseriscono all’interno di questi ambienti limitandosi ad imparare ciò che serve loro per aprire un contenuto, condividerlo e via dicendo. Quindi le Università dovrebbero insegnare ai ragazzi un uso consapevole della tecnologia: sapersi avvicinare in modo adeguato ad essa, sapersene distaccare quando è opportuno, e capire a cosa questa possa servire davvero nella propria vita quotidiana. È proprio questo che la cultura della sostenibilità digitale richiede all’Università verso i giovani: di essere il luogo nel quale far compiere il salto della vita; consentire a ragazzi e ragazze di diventare uomini e donne consapevoli”.

Sfruttare (e gestire) il potenziale della tecnologia

Insomma, creare questo tipo di cultura sottostante all’uso del digitale è fondamentale. Sia perché il suo potenziale è enorme in funzione degli obiettivi della sostenibilità, sia perché questo potenziale va gestito, per evitare di incorrere nei possibili impatti negativi che può generare se non adeguatamente implementato. “Gli ambiti di applicazione della tecnologia digitale alla sostenibilità ambientale sono numerosissimi, ma uno di quelli più importanti ritengo sia il tema degli sprechi alimentari”, spiega Lara Lazzeroni, “ancor prima di pensare a come produrre cibo in quantità sufficienti per l’intera popolazione mondiale, bisognerebbe infatti cercare di ridurre gli sprechi: in questo senso, l’innovazione digitale è in grado di fornire gli strumenti utili per raggiungere questo obiettivo. Da noi c’è ad esempio un progetto che si chiama Agritech, Centro Nazionale per lo sviluppo delle Nuove Tecnologie in Agricoltura, e il Santa Chiara Lab della nostra Università è stato selezionato tra i 9 Spoke, i cosiddetti nodi di ricerca, per seguire gli obiettivi dell’agrifood, per lo sviluppo delle aree marginali, per la tracciabilità dei prodotti. La tecnologia può quindi abilitare un miglioramento in questo ambito.

Anche da un punto di vista sociale, il digitale può avere un grande ruolo nell’ottica dell’inclusione, delle pari opportunità. Qui però si potrebbe fare una riflessione, ad esempio, sugli algoritmi con funzione decisionale, calati in un contesto sociale come potrebbe essere un luogo di lavoro. L’algoritmo, infatti, risponde in un certo modo a seconda di come viene programmato: è quindi chiaro che pensare di utilizzare questo strumento eliminando le discriminazioni di qualsiasi tipo è parte integrante di quella cultura della sostenibilità digitale di cui parlavamo. Questo è uno dei temi che vengono affrontati al Fab Lab del Santa Chiara Lab dell’Università di Siena, laboratorio di innovazione interdisciplinare impegnato da anni in attività di formazione e ricerca nel campo della sostenibilità digitale a supporto dell’inclusione e dell’accessibilità.

Valorizzare la cultura dell’interdisciplinarità

Quello della Sostenibilità Digitale è dunque un tema complesso, che se correttamente affrontato può consentire di accelerare il raggiungimento di obiettivi sempre più urgenti, e sempre più importanti. Ciò richiede alle Università di lavorare alla costruzione di una solida cultura su questi argomenti, così come di adottare un necessario approccio interdisciplinare alla ricerca che, in questo contesto, rappresenta uno strumento essenziale. “In questa prospettiva, però, noto un problema di fondo”, spiega Lara Lazzeroni, “c’è una contraddizione tra le richieste che le Istituzioni rivolgono alle Università, e il loro supporto alla sostenibilità. Mi spiego meglio: la sostenibilità si basa, per definizione, su tre pilastri, e ciò fa di essa un tema interdisciplinare, mentre le nostre Istituzioni premiano la verticalizzazione degli studi e della competenza, finendo per non premiare l’interdisciplinarità delle ricerche scientifiche.

Pensiamo però all’intelligenza artificiale, che oggi è ovunque. Se questa venisse trattata solamente in termini ingegneristici, come spesso si tende a fare, non si coglierebbero dinamiche che riguardano l’etica, le diversità e altro ancora. In altre parole, se non ci fossero competenze umanistiche, giuridiche, economiche e sociali a collaborare con quelle ingegneristiche, ci troveremmo ad esempio di fronte a potenziali stereotipizzazioni della società, che ovviamente non sono sostenibili. Insomma: esiste una cultura della interdisciplinarità che fa oggi da sfondo, e che non è ancora sufficientemente colta e valorizzata dalle nostre Istituzioni nazionali”.

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