Il primo passo per la Sostenibilità Digitale? Comprendere la tecnologia: intervista a Marco Pironti

Il nuovo ospite della rubrica University 4 Digital Sustainability è Marco Pironti, Professore ordinario di Economia e gestione dell’Innovazione e Presidente dell’Innovation Center ICxT dell’Università di Torino

Nel nuovo appuntamento con University 4 Digital Sustainability, discutiamo del ruolo delle Università – e non solo – nella strada della Sostenibilità Digitale con Marco Pironti: Professore ordinario di Economia e gestione dell’Innovazione e Presidente dell’Innovation Center ICxT dell’Università di Torino, è anche Direttore del master in Management of Emerging Technologies for Industry 4.0 (MET 4.0) e membro del collegio docenti del Dottorato in Innovation for Circular Economy. È inoltre docente di Economia e Management nell’era dell’AI presso la IULM di Milano e autore di oltre cento pubblicazioni sull’impatto dell’innovazione e delle nuove tecnologie su ecosistemi emergenti, modelli di business e strategie di impresa. Al di fuori dell’università, ha ricoperto anche il ruolo di Assessore per l’innovazione, Smart City e Fondi Europei del Comune di Torino.

La Sostenibilità Digitale non è solo un tema tecnologico

È ancora presto, in Italia, per parlare di piena consapevolezza rispetto all’interconnessione esistente tra la trasformazione digitale e le tematiche della sostenibilità. Nonostante ciò, in questo percorso – ancora agli inizi – i segnali sembrano essere promettenti. “Nell’ultimo periodo c’è stata senza dubbio un’accelerazione sulla Sostenibilità Digitale, anche se spesso non dettata dalla comprensione del tema quanto più da condizioni di contesto”, evidenzia Marco Pironti, “la pandemia, ad esempio, ci ha fatto capire che potevamo lavorare anche da casa, con i conseguenti effetti che questa modalità di lavoro può generare. Potevamo capirlo anche da soli, ma senza il Covid, probabilmente, staremmo ancora discutendo su come collegarci da casa. Per il cambiamento spesso servono questi momenti di passaggio un po’ traumatici”.

Insomma, che ciò derivi da una reale comprensione della sua importanza o meno, fondamentale è che oggi il tema cominci ad essere adeguatamente considerato. A partire da qui, sarà però necessario lavorare per consolidare il reale significato del concetto di Sostenibilità Digitale: ed è in funzione di questo obiettivo che, sebbene le università si stiano senz’altro muovendo, secondo Marco Pironti dovrebbero cambiare il proprio approccio. “Nel contesto universitario, lo sforzo principale che si sta facendo è quello di far crescere il mondo STEM, e quindi di portare quante più persone all’interno del mondo della tecnologia, nella convinzione che questo possa aumentare anche la consapevolezza su cosa significhi essere sostenibili attraverso il digitale. Io sono da oltre ventanni in un dipartimento di Computer Science, e sono arrivato alla conclusione che purtroppo non è così o, quantomeno, non sempre. Negli ultimi anni, infatti, molte delle accelerazioni che abbiamo vissuto sono state proprio Technology driven. Il tema, dunque, non è tanto quello di intervenire su coloro che non conoscono la tecnologia per fargli comprendere le relazioni esistenti tra questo strumento e la sostenibilità, quanto piuttosto fare il contrario: ovverosia spiegare a chi quella tecnologia la crea, e quindi sta guidando il cambiamento, che la Sostenibilità Digitale non è soltanto un tema tecnologico, ma considera al suo interno anche problematiche di natura etica, sociale, economica e di impatto ambientale. È fondamentale fornire ai ‘tecnici’ competenze su questi temi, per evitare il rischio che a guidare sia solamente la tecnologia senza rimanere al passo con le dinamiche della sostenibilità che dovrebbe intercettare”.

Le sfide per le università: dalla “nuova” formazione alla Terza Missione

Tra le sfide, oltre che tra le responsabilità delle università, c’è inoltre quella di indirizzare correttamente lo sviluppo di questo tema tenendo in considerazione due aspetti di fondamentale importanza: in primo luogo che i contenuti da veicolare devono adattarsi alla diversità dei target che, oggi, coesistono in ambito universitario; e, in secondo luogo, che non è sufficiente parlare di questi argomenti, ma occorre prendere una chiara posizione in merito agli stessi. “Quando si parla di formazione universitaria si pensa subito ad un target di ragazzi tra i 18 e i 24 anni, quindi alle nuove leve che si affacciano al mondo del lavoro. In realtà il ruolo della formazione oggi sta cambiando, tanto che oggi si parla di formazione continua”, spiega Marco Pironti. “C’è quella rivolta agli studenti del triennio e della specialistica, ma anche la formazione di terzo livello, i cosiddetti dottorati, fino ai master in alto apprendistato e i corsi executive. Ciò significa che nelle mie aule mi interfaccio con persone dai 18 fino ai 60 anni, da giovani studenti e studentesse fino ai dipendenti di aziende. Oggi, dunque, la vera sfida delle università e dei docenti è quella di comprendere che si deve fare una formazione molto diversa rispetto al passato: occorre essere in grado di rimodulare il messaggio, i tempi e i modi a seconda dei diversi target ai quali ci si rivolge. E, ovviamente, anche il messaggio legato alla sostenibilità, e alla sostenibilità digitale, deve essere ripensato in questa prospettiva.

Inoltre, uno dei problemi dell’università in generale è che il meccanismo per cambiare i corsi di laurea non è né agevole né tantomeno veloce. È per questo motivo che, sebbene sull’argomento si stia cominciando a lavorare, lo si sta facendo senza intervenire sull’infrastruttura formale: in altre parole non ho ancora un corso che si chiama “Economia e Sostenibilità Digitale”, ma quei contenuti vengono già affrontati. Insomma, sulla sostanza si sta facendo molto, ma vorrei si intervenisse anche sulla forma, cambiando il ‘contenitore’ ancor prima del contenuto. Perché è in quel modo che ci si riesce a posizionare con chiarezza sul tema della Sostenibilità Digitale”.

Ma non solo. Secondo Marco Pironti, infatti, l’impegno verso gli studenti non esaurisce le responsabilità delle università, che devono anche uscire dai propri confini per raggiungere, potenzialmente, l’intera cittadinanza. “Devono oggi uscire al di fuori delle ‘aule’ per lavorare su quella che oramai da anni chiamiamo Terza Missione, sul public engagement. Ciò significa che il loro reale impatto, paradossalmente, non è solo sugli studenti, che sono più semplici da ingaggiare, ma anche su coloro che studenti universitari non sono e forse non saranno mai. E questa visione, che può sembrare un po’ strana, è la principale responsabilità sociale delle università”.

Consapevolezza digitale: l’importanza di intervenire a monte

Dal punto di vista del contenuto, però, un ruolo centrale è ovviamente ricoperto dalla tipologia di competenze che è necessario veicolare a partire dalle università. Competenze che, come visto, non devono essere solamente digitali: queste, infatti, rappresentano solo la base di una “piramide” immaginata da Marco Pironti. “Partendo dal basso, la Sostenibilità Digitale ha senz’altro uno zoccolo duro, la base, che sono le competenze tecniche: se non conosci gli strumenti, infatti, difficilmente puoi affrontare questo tema. Subito dopo, poiché tutto deve trovare un bilanciamento, sono fondamentali le competenze relative alla sostenibilità economica. A seguire ci sono le competenze manageriali, perché questo è un cambiamento che deve essere adeguatamente governato e gestito. E infine, nella punta estrema, ci sono le competenze di natura etica che, lo vediamo oggi con le discussioni in merito all’Intelligenza artificiale, è il vero tema da affrontare quando si parla di tecniche più avanzate: se a monte non vengono definite delle regole etiche diventa difficile, a valle, sviluppare degli algoritmi che rispondano a criteri di sostenibilità”.

Le competenze digitali, dunque, sebbene non siano di per sé sufficienti, sono una condizione assolutamente necessaria, e dalla quale passa fortemente il futuro della Sostenibilità Digitale. In questa prospettiva, però, lo sviluppo di queste competenze deve essere inteso come un processo continuo, che dovrebbe partire già dai primi livelli della formazione: è per questo motivo che, in questo percorso, le università potrebbero avere poca possibilità di intervento. “Negli atenei arrivano, tra gli altri, i ragazzi che hanno concluso il percorso secondario superiore: se si aspetta che arrivino per intervenire in tal senso è già troppo tardi, perché hanno già acquisito, o meno, una certa sensibilità rispetto a questo mondo. Ciò significa che se parliamo di reale consapevolezza digitale bisogna lavorare a monte, e a monte vuol dire già dai primi anni della scuola: noi, ad esempio, parliamo di coding già nelle scuole elementari. Occorre lavorare con i ragazzi, anche molto piccoli, per fargli acquisire dimestichezza con gli strumenti e con il ragionamento digitale, e ciò prevede la necessità di far utilizzare nel pratico la tecnologia, perché è in questo modo che loro riescono poi a maturare sensibilità e interesse rispetto a queste materie. E, parallelamente, bisogna intervenire anche in funzione di una adeguata formazione dei docenti, perché sono loro che si interfacciano ogni giorno con i ragazzi e che hanno la responsabilità di creare in loro questa forma di consapevolezza e di capacità critica”.

Capire la tecnologia. Quale ruolo per le Istituzioni?

Quello del far toccare con mano la tecnologia alle persone rappresenta un punto focale delle riflessioni di Marco Pironti. Un approccio che è fondamentale nei primi anni di vita, ma anche verso la società nel suo complesso, nella quale convivono persone appartenenti a diverse generazioni, e con diverse sensibilità in merito. E che, inoltre, assume un ruolo centrale anche nell’ottica della Sostenibilità Digitale: senza le basi, la conoscenza della tecnologia, diventa infatti difficile comprendere gli impatti che questa può avere nella direzione della sostenibilità. “Nel momento in cui si comincia a far percepire, in concreto, cosa voglia dire digitale e tecnologia, diventa più semplice far comprendere anche che impatto questa possa avere sull’ambiente e su tutto ciò che ci circonda”, sottolinea Marco Pironti. “Oggi, però, ancora la gran parte della cittadinanza non capisce la tecnologia, non riesce a capirne i vantaggi così come i limiti, e questo li porta a temerla, e quindi a chiudersi. Per questo motivo è necessario oggi lavorare per colmare questa distanza.

Faccio un esempio: nella mia esperienza di Assessore all’Innovazione a Torino, tra i vari progetti sviluppati c’è stato la nascita di ‘CTE Next – Casa delle Tecnologie Emergenti’. Un progetto che, tra le altre cose, prevede uno spazio fisico dedicato ai cittadini, in cui loro possono entrare e capire concretamente cosa sia la tecnologia, come funziona, quali sono i suoi impatti e via dicendo. A quel punto loro possono poi decidere con maggiore consapevolezza se e come adottarla, ma quantomeno si è ridotta la distanza. La creazione di luoghi fisici di questo tipo ha un grande valore, perché il digitale non deve essere soltanto raccontato, ma deve essere vissuto, toccato con mano: l’aspetto esperienziale è fondamentale per colmare questo gap”.

Questa iniziativa rappresenta un esempio di quale possa essere, nel supporto alla Sostenibilità Digitale, anche il ruolo potenzialmente decisivo delle Istituzioni. Che però, sottolinea in chiusura Marco Pironti, devono agire in sinergia per massimizzare il proprio impatto. “Il rischio su questo tipo di attività è che ognuno si muova, anche con buoni progetti, ma non coordinati, e questo può creare confusione nel target finale. Il lavoro delle Istituzioni deve quindi prevedere una cabina di regia, un coordinamento affinché quello che ognuno fa sia parte di un programma complessivo: la trasformazione digitale è un processo ormai iniziato, e per gestirlo nel modo più corretto bisogna agire in una sinergica logica di ecosistema per non annullare gli sforzi positivi che molti stanno facendo”.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here