Per sfruttare a pieno il potenziale della tecnologia per la sostenibilità le competenze digitali, seppur fondamentali, non sono di per sé sufficienti. È importante, prima di tutto, comprendere gli impatti che questi strumenti possono generare, per essere in grado di minimizzare quelli negativi e riuscire a massimizzare quelli positivi. Ed è nella costruzione di queste competenze, necessarie per approcciare correttamente la sostenibilità digitale, che le università devono dare un contributo decisivo. Ce ne ha parlato Luigi Mundula, Professore Associato di Geografia e Presidente del corso di Laurea “Made in Italy, Cibo e Ospitalità” all’Università per Stranieri di Perugia: ingegnere con un PhD in Urban Planning e Master in Economia, è attualmente anche research fellow della Tor Vergata Economy Foundation e del CIREM dell’Università di Cagliari, oltre che direttore scientifico della International Smart City School e fondatore del Tomorrow’s Cities Lab.
La distanza tra digitale e sostenibilità
Seppur in modo ancora non del tutto omogeneo, sembra essere oggi diffusa, tra i docenti universitari, la consapevolezza dell’importanza della formazione sui temi della sostenibilità. “Alcuni sono molto più coscienti di altri, come quelli che lavorano in ambito STEM, perché il tipo di materie che insegnano li portano naturalmente a occuparsi di sostenibilità. Tuttavia, vedo che anche in ambiti più trasversali, come ad esempio nelle scienze politiche, si stanno moltiplicando corsi sui temi dello sviluppo sostenibile.
Una distinzione si rende però necessaria se si considera l’attuale consapevolezza su temi che vanno oltre la sola sostenibilità ambientale, la dimensione, cioè, che ad oggi viene maggiormente associata al concetto di sostenibilità. In questo caso, infatti, mentre negli ambiti tecnici si tende a concentrarsi soprattutto sulla sostenibilità ambientale, negli altri c’è una più elevata attenzione sulle altre dimensioni, come quelle economica e sociale. Nonostante ciò, oggi praticamente tutte le università hanno dei delegati nella Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile (RUS), ognuno dei quali affronta la sostenibilità da vari punti di vista per poi diffondere questi temi a tutti i propri colleghi. Anche grazie a questo tipo di iniziative, dunque, ritengo che con il tempo si potranno superare queste differenze, per andare verso una piena consapevolezza”.
È quando però ai temi della sostenibilità, in tutte le sue declinazioni, si affiancano quelli della trasformazione digitale che nelle università si osservano le maggiori mancanze. Frutto non soltanto, secondo Luigi Mundula, della difficoltà nel comprendere le relazioni che legano i due elementi, ma anche della confusione rispetto al reale significato del concetto di trasformazione digitale. “Per fare un esempio, oggi si parla molto di Digital humanities, dunque dell’ambito letterario che si sta progressivamente avvicinando al digitale. Un avvicinamento senza dubbio positivo, ma il cui scopo è ancora soprattutto quello di digitalizzare archivi, testi e quant’altro. E ciò significa interpretare il potenziale dei nuovi strumenti non nell’ottica della trasformazione digitale, ma in quella della digitalizzazione: quello che manca, in questo come in molti altri ambiti, è quindi la piena comprensione del significato di trasformazione digitale.
Inoltre, se si considera che spesso l’uso del digitale viene inteso soltanto come un mezzo per attualizzare le materie e renderle più moderne e attrattive, appare evidente come il suo utilizzo nell’ottica della sostenibilità non venga ancora adeguatamente considerato. Insomma, in ambito accademico questi due elementi, il digitale e la sostenibilità, viaggiano ancora su due binari paralleli”.
Sfruttare le opportunità. Come preparare gli studenti alla Sostenibilità Digitale?
Questi due processi, però, dovranno sempre più incontrarsi. Lo rende evidente l’enorme potenziale di uno strumento che, se ben utilizzato, rappresenta la migliore leva a nostra disposizione per costruire un futuro migliore. “Guardiamo, ad esempio, alla sostenibilità ambientale”, ha spiegato Luigi Mundula: “questa può essere raggiunta soltanto attraverso un cambio di paradigma che ci conduca da un’economia lineare a un’economia circolare, che dal mio punto di vista rappresenta il vero cuore del problema. Questa trasformazione non può che essere abilitata dalla tecnologia digitale, perché è l’unico strumento in grado di renderla possibile consentendo a noi di mantenere il livello di benessere che abbiamo acquisito e, allo stesso tempo, alle future generazioni di poter fare altrettanto. Questa considerazione, ovviamente, vale anche per le tematiche di natura sociale ed economica: le tre dimensioni della sostenibilità, infatti, rappresentano le facce di una stessa medaglia.
Le tecnologie digitali consentono oggi, per esempio, di affrontare temi cruciali come quello dello spreco di cibo, così come di raggiungere obiettivi fondamentali come quelli dell’inclusione e delle pari opportunità, aumentando le possibilità di conoscenza e di accesso all’informazione: più l’informazione è diffusa, più le opportunità sono distribuite. Allo stesso modo, vedo grandi opportunità anche in ambito economico. Penso al tema della sharing economy, che ha oggi importanti applicazioni, tra gli altri, nel campo della mobilità. Le possibilità create dalla sostenibilità digitale sono quindi già oggi moltissime, e non ho dubbi sul fatto che potranno solo aumentare in futuro”.
È per queste ragioni che la comprensione e lo sfruttamento di questo potenziale appaiono oggi sempre più strategiche. E se per passare all’azione è fondamentale acquisire adeguate competenze sul tema, un ruolo decisivo in questo percorso lo avranno proprio le università. “Servono anzitutto competenze digitali”, ha sottolineato Luigi Mundula, “almeno per quella che è la mia esperienza, credo che i ragazzi non siano così indietro da questo punto di vista, pur essendoci comunque delle differenze, per attitudini o interessi, tra quelli iscritti ad esempio ai corsi ingegneristici piuttosto che letterari. Per quelli che sono ancora un po’ indietro, ciò che si dovrebbe fare e che sto facendo anch’io è fargli ‘sporcare le mani’, fargli usare i nuovi strumenti in momenti laboratoriali: questo è molto importante, perché quando si parla di digitale credo che la pratica sia di gran lunga più importante della teoria. E se questa modalità si utilizza da sempre nelle discipline STEM, sta cominciando a diffondersi sempre di più anche in discipline un tempo distanti dal digitale.
Nonostante l’acquisizione di competenze digitali sia ovviamente basilare, credo però che nella direzione della sostenibilità digitale non rappresenti l’obiettivo prioritario. Ciò che è ancora più importante della competenza tecnica specifica sugli strumenti digitali in quanto tali, infatti, è la comprensione degli impatti che tali strumenti possono avere in diversi ambiti. In altre parole, nel momento in cui interpretiamo correttamente la trasformazione digitale, e cioè come una trasformazione di senso, non è tanto importante essere un esperto della tecnologia, quanto piuttosto di come quella tecnologia sia in grado di modificare le dinamiche, le relazioni tra i soggetti e molto altro ancora. Perché alla fine il punto è sempre lo stesso: la tecnologia non è buona o cattiva in quanto tale, ma in base a come viene utilizzata. Per questo dobbiamo dare ai nostri studenti le giuste competenze che li aiutino a capire come questo strumento può impattare, a seconda di come viene usato, nelle dinamiche ambientali, sociali ed economiche di un contesto, in modo tale che siano in grado di gestirle al meglio”.
L’importanza di un approccio interdisciplinare
L’offerta formativa rivolta agli studenti non esaurisce però, come sottolineato in conclusione da Luigi Mundula, i passi prioritari richiesti alle università per il supporto alla sostenibilità digitale. In un percorso in cui anche le istituzioni avranno un ruolo fondamentale. “Le istituzioni, soprattutto le amministrazioni locali, si trovano in questo momento in difficoltà per mancanza di personale, e in particolare di personale tecnico. In questo modo non sono in grado di supportare la sostenibilità digitale, che non può procedere da sola ma ha bisogno, appunto, di personale competente. Per questo ritengo prioritario che investano in questa direzione.
Quanto alle università, come detto, manca una piena consapevolezza di cosa sia la trasformazione digitale e di come il digitale possa aiutare la sostenibilità. E non intendo soltanto nelle singole e specifiche soluzioni, rispetto alle quali qualcosa si sta già facendo. Ciò che è importante è cominciare a lavorare di più sull’interdisciplinarità, che è l’approccio richiesto dalla sostenibilità digitale. Ecco, se noi riuscissimo a superare quella settorialità che è nel DNA delle università per lavorare in modo più interdisciplinare, intersecando settori e facendo cross fertilization, saremmo in grado di lavorare molto meglio e in maniera anche più efficace, e di trasferire questo approccio anche agli studenti”.
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