Quale sarà il futuro delle città?

Le città del futuro saranno agglomerati urbani con servizi altamente tecnologici e innovativi? Siamo aperti al cambiamento ma cerchiamo di non dimenticare l’importanza di piantare alberi, di prenderci cura del benessere dei cittadini partendo dai bisogni primari

Immagine distribuita da Flickr con licenza

A fine ottobre sono rientrato da San Francisco dopo una settimana trascorsa lì per uno degli innovation tour che realizzo da una ventina di anni. Durante la pandemia, pensare di riprendere l’attività dei tour sembrava impossibile, invece siamo tornati ad una (apparente) normalità che ha visto me e il gruppo con cui sono andato di nuovo sulle strade di San Francisco, che resta la città tra le più innovative al mondo.

Una tra le cose che più mi è saltata all’occhio è l’aver notato diverse auto senza conducente, di cui avevo letto diversi articoli, Giulia Destefanis e Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” per citarne un paio, che ci avevano preparato a questa innovazione non più tanto futuristica.

All’inizio di questo anno, a San Francisco, Waymo, la società del gruppo Alphabet (Google) dedicata alla mobilità del domani, ha messo in strada per il pubblico un servizio di taxi a guida autonoma con le Jaguar i-Pace elettriche. Dapprima anche la Cruise, compagnia della General Motors, era stata autorizzata a far girare le sue auto senza guidatore ma poi è stata bloccata per problemi di sicurezza. Sicurezza che tiene banco in America e nel resto del mondo perché è un’innovazione che viene considerata pericolosa.

Le auto sono dotate di Gps che le guidano sterzando il volante e grazie a sensori che avvertono della presenza di altri veicoli, semafori rossi o verdi, pedoni che attraversano la strada e ostacoli vari. Un’altra importante novità che si vede passeggiando per San Francisco è la quantità di ristoranti e in generale attività ristorative e alimentari che hanno chiuso lasciando il posto a start up di nuovissima generazione, soprattutto del settore dell’intelligenza artificiale che hanno messo la sede nella città simbolo della Silicon Valley, dove un intero quartiere è diventato noto come Cerebral Valley.

Ma saranno queste le città del futuro che dobbiamo aspettarci di abitare? Agglomerati urbani da oltre un milione di abitanti con servizi altamente tecnologici e innovativi e magari senza piscine pubbliche, come fa notare Giovanni Semi, docente di Sociologia urbana all’università di Torino su un articolo per Wire, oppure possiamo immaginarci addirittura un assessore al caldo? Sì, questa non è utopia, ma la realtà di Eugenia Kargbo, chief heat officer di Freetown, capitale della Sierra Leone, che ricopre in pratica il ruolo di assessora con delega al caldo. È una figura che esiste anche a Miami e ad Atene, due città fortemente colpite dal cambiamento climatico, la Kargbo è la prima nel continente africano e ha assunto l’incarico nel 2021.

Il mio ruolo è quello di supportare Freetown nello sviluppo di piani di adattamento, ma anche di identificare e promuovere soluzioni sostenibili per ridurre e mitigare l’esposizione ai rischi di caldo e cambiamento climatico”, spiega a Wired e continua dicendo che “Freetown non si raffredda mai davvero. Il 33% della popolazione vive in contesti informali, il 95% delle case sono costruite con materiali che intrappolano calore”.

A gennaio, Kargbo ha avviato la prima mappatura delle isole di calore in città. Ci ha aiutato a comprendere il nostro livello di vulnerabilità, a identificare le minacce e trovare soluzioni. Al contempo, abbiamo condotte una campagna di comunicazione per aumentare la consapevolezza della cittadinanza sui rischi e promuovere l’educazione sulle misure di adattamento”.

Siamo aperti alle città del futuro, sì, ma non dimentichiamoci l’importanza di piantare alberi, di prenderci cura del benessere dei cittadini partendo dai bisogni primari.

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