Succede solo da McDonald’s!

Usare i social media per raccontare il proprio brand e instaurare un contatto diretto con i propri clienti? Certo, ormai lo fanno un po’ tutti. Ma è facile incappare nel disastro più assoluto: e quanto più il nostro brand sarà noto, tanto più il fallimento comunicativo avrà risonanza dentro e fuori il Web. Nello specifico, il brand “molto noto” è McDonald’s.

Ma veniamo ai fatti: McDonald’s pianifica una campagna pubblicitaria su Twitter e il 19 gennaio lancia l’hashtag sponsorizzato #MeetTheFarmers (Incontra i contadini) che, come tutti gli hashtag sponsorizzati – cioè pagati per avere una maggiore visibilità –schizza automaticamente nell’Olimpo dei trending topic della giornata. Lo scopo di #MeetTheFarmers è coinvolgere gli utenti nell’esaltare la freschezza e la genuinità degli ingredienti usati da McDonald’s per preparare i propri “prodotti tipici”.

Nonostante qualche isolata contestazione, l’esperimento sembra funzionare e così i social media strategist dell’azienda decidono di lanciare lo stesso giorno un secondo hashtag: #McDstories. Il lancio avviene con un solo tweet:

E qui comincia la tragedia, perché quello che avrebbe dovuto essere un invito a raccontare i propri momenti felici vissuti tra BigMac, patatine fritte e confezioni di Happy Meal, si è trasformato in un collettore di “storie trucide”. Gli utenti di Twitter si sono letteralmente impadroniti dell’hashtag per raccontare di intossicazioni alimentari, denti rotti dopo un morso a un panino e altre delizie del genere.

Come è potuto succedere?

Secondo l’analisi di Gus Lubin per Business Insider, #McDstories è un hashtag “pericolosamente vago”. In effetti, se #MeetTheFarmers è già di per sé portatore del concetto di genuinità, #McDstories si presta a diverse interpretazioni: non specifica in alcun modo quali storie l’utente sia invitato a raccontare. È un po’ come chiedere a un bambino di fare “un disegno” e poi sgridarlo perché ha disegnato una casetta invece di un gattino.

La viralità immediatamente raggiunta dall’hashtag e forse un pizzico di voglia di infierire su una delle più famose multinazionali del pianeta hanno fatto il resto: nell’arco di poche ore la campagna di McDonald’s è diventata un vero e proprio boomerang per l’azienda, con migliaia di messaggi negativi sguinzagliati in giro per il Web che hanno inevitabilmente attirato l’attenzione dei media.

Pochi giorni dopo Rick Wion, social media director di McDonald’s, prende la parola e spiega:

“Mentre #MeetTheFarmers è stato usato per la maggior parte della giornata e ha avuto successo, #McDstories non è andato come previsto. Abbiamo velocemente “ridotto” #McDstories, che è rimasto sponsorizzato per meno di due ore. Un’ora dopo, il numero delle conversazioni su #McDstories è passato da un picco di 1600 tweet a poche dozzine. È altresì importante considerare questi numeri in prospettiva: c’erano 72.788 menzioni per McDonald’s, e solo il 2% di esse erano legate all’hashtag #McDstories. Come per tutte le social media campaigns, predisponiamo sempre un piano B, nel caso la comunicazione non vada come previsto. La capacità di cambiare “a metà strada” ha evitato che questo piccolo contrattempo diventasse qualcosa di più grande”.

Niente di più vero. Ma ormai mezzo mondo sghignazza davanti al nuovo prodotto di McDonald’s: il “McFail”.

Lesson Learned: Quando si lancia una campagna sui social media non si può prevedere quale evoluzione seguirà la nostra comunicazione, specialmente se si chiede la diretta interazione degli utenti con il brand. Ogni campagna andrà testata in anticipo e monitorata da vicino per intervenire in caso la situazione prenda una piega inaspettata.

 

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