Proprio l’altro giorno è accaduto qualcosa, annunciato nelle solite mailing list di progetto che fanno un po’ nerd, un po’ antidiluviano; Canonical, l’azienda che produce Ubuntu, che è forse la più nota tra le distribuzioni Linux e che ha consegnato per la prima volta il pinguino alle masse (masse, insomma…) senza che le stesse fossero troppo recalcitranti, ha infatti deciso che dalla prossima release della distribuzione la derivata Kubuntu, con ambiente desktop KDE, sarà gestita totalmente dalla comunità, e la casa non investirà più un centesimo su quel fronte.
Ora, un breve ricapitolo della storia di Linux in qualche riga: ci sono molteplici interfacce grafiche. Da poco Ubuntu è passata a una cosetta fatta in casa tanto carina che si chiama Unity, tuttavia gli utenti KDE sono un bel po’, e con questa mossa Canonical sicuramente li ha spiazzati.
E ora che succede?
Beh, adesso niente: KDE rimarrà disponibile per l’installazione su Ubuntu come lo è sempre stato, e verranno anche distribuiti i CD della derivata creata appositamente. Solo che la persona che si occupava del packaging di KDE è stata spostata su un altro workgroup, e da ora la distribuzione dei pacchetti dell’ambiente desktop (di cui mi fregio di essere uno dei numerosi utenti) rimarrà ancorata in seno alla comunità. Questo è un episodio emblematico, perchè segna un precedente notevole per numerosi casi di studio, dal mio punto di vista, sia per le decisioni prese da Canonical, che per fare un po’ di scuola di come effettivamente “si fa” una distribuzione Linux. È un compito complesso infatti, e nell’ambito aziendale è stato trascurato un fattore molto importante: pacchettizzare un intero ambiente desktop richiede uno sforzo notevole, che può essere ridotto per mezzo di alcuni automatismi, tuttavia poi i pacchetti che vengono messi a disposizione degli utenti per l’installazione necessitano di cura, menutenzione, competenza. E decisamente un po’ di forza lavoro. Per una distribuzione dalla struttura complessa come Ubuntu, caricare tutto questo sulle spalle di una sola persona è visto da me come un’eccessiva fiducia nel fato, che aiuti questo sventurato a mettere insieme un KDE che non sembri un accrocco nel modo migliore.
E infatti Jonathan Riddell, nel dare l’annuncio via mailing list non è stato nemmeno troppo infelice: no vabbeh, Canonical mi riassegna al team QT, buona fortuna. Vedremo poi le conseguenze (tra un annetto circa), ma posso già fare il mio pronostico: sicuramente per un progetto del genere è meglio affidarsi al lavoro di una comunità di appassionati, piuttosto che a una singola persona pagata per fare del meno peggio. Gli appassionati e la community daranno al progetto un respiro più ampio, collaborando e gestendo la cosa in maniera anche meno burocratica, consegnando all’utente finale qualcosa che probabilmente sarà molto migliore del prodotto di partenza, contaminato da una logica aziendale che non sta in piedi. Canonical quindi perde? No, vince. Lascia alla comunità il potere di salvarti, quando non hai i soldi e la manodopera per farlo.
Questione di business
Eh, questione di business, di dinero, di moneta. Giustamente Canonical non è una ONLUS, e anche se i bilanci non sono proprio il massimo della gioia, sta provando a inserirsi in un mercato complesso come quello del Software-as-a-service. Per farlo, sta rendendo quello di Ubuntu un ambiente di lavoro sempre più centralizzato rispetto a quelli che sono i servizi offerti dalla casa, anche per altre piattaforme magari presenti in maniera più ingente sul mercato. Semplicemente, pagare uno sviluppatore (o meglio, un packager) perchè mantenesse uno specifico flavour della distribuzione, era inconcludente, così hanno deciso di tagliare quel ramo che adesso diventerà un alberello cresciuto dalla comunità: Canonical ci metterà la base, ossia un sistema pienamente performante, e dal basso KDE verrà impacchettato al meglio per la distribuzione. La decisione di Canonical mi sembra ottima, poiché tende a dare un imprint maggiore anche al brand, che sicuramente non beneficiava di una divisione aziendale, sia pure di una sola persona, che fosse in disaccordo con l’idea di “Light” spiegata tanto tempo fa da Mark Shuttleworth.
Per questo motivo penso che la scelta sia vincente: KDE adesso avrà una comunità di sviluppatori dietro, sicuramente più attenta, anche se non stipendiata, ma che, non c’è dubbio, almeno saprà gestire un bugzilla in maniera più ordinata e decente. D’altro canto, Canonical potrà dedicare tutte le sue risorse al suo target, senza permettersi più di stipendiare persone che facciano qualcosa di molto bello ma poco produttivo ai fini del fatturato.
Nice shot.
Caro Alessio,
innanzitutto mi complimento per il tuo articolo che mi trova evidentemente d’accordo. Ora però voglio esprimerti un pensiero in più…
Sono anni oramai che utilizzo GNU/Linux nelle sue varie forme (Fedora, Opensuse, Ubuntu, Kubuntu, Mint, Debian, ecc…) e da almeno un paio mi interrogo se abbia ancora senso sviluppare tutti questi ambienti grafici e se non sarebbe meglio concentrare gli sforzi (data la scarsità di denaro e di risorse umane) su 1-2. Ad oggi ci sono (correggimi se sbaglio, dirò solo i principali):
-Unity
-Gnome-shell
-KDE
-LXDE
-XFCE
+ le varie Fluxbox,ecc…
la domanda è: CE LO POSSIAMO PERMETTERE?
Non c’è nessuno spreco di risorse, a parte pochi sviluppatori dei due “main desktop” il resto sono volontari, quindi sviluppano su quello che gli gusta di più, altrimenti farebbero altro
@Alberto: per come la vedo io, caso KDE a parte, si.
Alla fine a conti fatti lo spreco di forza lavoro è il minimo, dato che Unity e GNOME Shell poggiano sempre sulle stesse librerie di fondo, ossia quelle di GNOME, anche se cambia la shell grafica (Cinnamon compreso). Fortunatamente la programmazione a oggetti permette queste cose meravigliose che consentono di diminuire le reinvenzioni della ruota.
KDE è necessario per chi vuole un ambiente customizzabile al massimo, e diciamo che il mio difendere KDE è frutto del conflitto d’interessi dato dal fatto che ne sono io stesso utente 😀
LXDE fortunatamente è Openbox con qualche cosa intorno, e la manodopera a una cosa del genere è veramente minima (potrei farlo pure io come progetto universitario per qualche esame, per dirti). Il “problema” è la grossa fetta di utenza che si è succhiato XFCE tra gli scontenti di GNOME2: si, bellissima la libertà e bellissimo il concetto di flessibilità anche su desktop, ma XFCE ha ottenuto una considerazione quasi al pari dei due maggiori DE, ed è questo che ha aumentato la frammentazione non fattivamente, ma agli occhi di un utente nuovo.
In quanto a brutale forza lavoro, a parte GNOME che se la passa un po’ maluccio, gli sviluppatori ci sono e fanno il loro porco lavoro, anzi ti dirò che KDE è quasi in esubero rispetto alla reale necessità, e infatti va tutta la mia lode ai nuovi PM che riescono a mantenere uno stato delle cose coerente persino sul GIT.
Riguardo Unity, ben sappiamo come stanno le cose. GNOME invece… avevo parlato con Lapo Calamandrei tempo fa, e mi diceva che c’era un ammanco di risorse umane specie riguardo i coder.