Dieci cose che vorrei sapere sull’Agenda Digitale

Sono mesi importanti per l’innovazione del nostro Paese: il Governo, attraverso un’apposita “Cabina di regia” sta scrivendo l’Agenda Digitale Italiana (ADI).

Con quasi due anni di ritardo, anche l’Italia ha deciso di elaborare una propria strategia di recepimento dell’Agenda Digitale Europea che, secondo quanto affermato dal Governo, ha un lungo respiro (fino al 2020).

Per un migliore esame delle misure necessarie al raggiungimento degli obiettivi, sono stati costituiti sei gruppi di lavoro (“infrastrutture e sicurezza”, “e-commerce”, “e-gov /open data”, “alfabetizzazione informatica”, “ricerca e innovazione”, “smart communities”) che, entro giugno, definiranno un pacchetto normativo (che, pur non esistendo ancora, ha già un nome: “Decreto DigItalia”) che racchiuderà una serie di misure di semplificazione delle procedure avvalendosi di soluzioni digitali e meccanismi di incentivazione per lo sviluppo dell’economia digitale. Sempre entro giugno, la Cabina di regia presenterà anche un pacchetto di progetti operativi volti alla concretizzazione dell’Agenda Digitale Europea.

Il compito che attende il Governo non è per nulla facile: nel nostro Paese, l’innovazione ha conosciuto un’altalena fatta di roboanti annunci, cospicui investimenti e nuove norme cui è corrisposta quasi sempre la delusione delle aspettative suscitate.

Per questo motivo, è fisiologico che – all’inizio – la Cabina di regia abbia destato alcune perplessità: imprese, cittadini, esperti, centri di ricerca e associazioni non sono abituati ad avere un interlocutore istituzionale che, magari, prenda davvero in considerazione quello che hanno da dire.

Sotto questo profilo, l’insediamento dei gruppi di lavoro può essere un primo, importante passo in avanti che, finalmente, può riportare il nostro Paese ad una situazione di normalità. Al momento, tra documenti non autorizzati e siti in allestimento, non abbiamo ancora contezza delle misure che la Cabina di Regia vuole adottare per superare lo stallo dell’innovazione italiana anche se – a quanto si dice – l’avvio di una consultazione pubblica sarebbe imminente.

Dovrebbe essere il momento giusto per condividere alcune riflessioni, rigorosamente in ordine sparso, sul metodo con cui sarebbe opportuno procedere, frutto (in gran parte) dell’esperienza dell’ultimo decennio.

  1. La Cabina è presidiata al massimo livello (i Ministri competenti) e i sei tavoli attivati sono composti da alcuni tra i migliori esperti italiani nell’ambito delle rispettive materie. È un eccellente punto di partenza: ma, a prescindere dalla connotazione fortemente tecnica, esiste un progetto di largo respiro dietro l’ADI? Ad esempio: qual è l’idea di amministrazione digitale del Governo? Quale quella di diritto d’autore?
  2. È probabile che la scelta di co-gestire le tematiche dell’innovazione tra più Ministeri (e le rispettive strutture) possa essere un elemento di complicazione: pensate cosa significa condividere ogni documento tra gli uffici di cinque Ministri, con tutte le vicende connesse all’organizzazione dei rispettivi dipartimenti (basti pensare alla sorte del Dipartimento della digitalizzazione e innovazione tecnologica). Probabilmente, per il futuro, sarebbe preferibile nominare un Digital Champion, ovvero un unico soggetto responsabile dell’attuazione dell’Agenda Digitale.
  3. Il Governo ha disegnato una roadmap dei lavori fino a giugno 2012. E poi? Cosa succede fino al 2020? Chi si occupa del monitoraggio e dell’aggiornamento delle misure? La speranza è che non accada quello che è accaduto con il Piano E-Gov 2012 (basta guardare il sito per ricavarne la sensazione di un’opera incompiuta): non basta adottare norme e stanziare fondi, è necessario presidiare gli obiettivi fino alla loro totale attuazione.
  4. È necessario che il Governo dica quanti soldi ha a disposizione per l’attuazione dell’Agenda: riforme e innovazioni “a costo zero” non esistono.
  5. I tavoli di lavoro sono composti da persone molto competenti, ma nessuno ha il monopolio delle buone idee. È interesse di tutti che la Cabina di regia sia aperta all’esterno (evitando scelte di comodo nella scelta degli interlocutori). Allo stesso modo bisogna evitare il disfattismo di chi critica i lavori dei gruppi senza aver ancora visto le proposte: abbiamo bisogno di una sana dialettica e di confronto, non di opposizioni preconcette.
  6. Sarà centrale l’importanza della consultazione pubblica. Finora, nei processi decisionali, gli spazi di confronto sono stati vissuti con terrore da parte di chi aveva delle soluzioni “precotte” da proporre. Questa può essere finalmente l’occasione per cambiare pagina, ma tutti devono essere in condizioni di poter contribuire, avendo la garanzia che le soluzioni proposte “dal basso” saranno prese in considerazione. Sotto questo punto di vista anche i “numeri” saranno significativi: una consultazione a cui partecipano in pochi non è un buon segno.
  7. I tempi sono stretti, ma attenzione alla (eccessiva) fretta: è possibile coniugare velocità e condivisione.
  8. Le Regioni e gli Enti Locali hanno un ruolo decisivo. In un Paese federale, come il nostro, nessuno può pensare di marginalizzare il ruolo delle autonomie. Allo stesso modo, non può tacersi di come – spesso – gli enti locali non abbiano saputo governare i processi di innovazione, creando (di fatto) un’Italia a più velocità, con alcune Regioni che hanno già attivato le proprie “agende digitali regionali” (come quella Lombarda) ed altre che faticano a trovare una propria strategia.
  9. Non bisogna commettere l’errore di pensare che si parta da zero. Nel corso degli anni sono stati attivati numerosi progetti ed iniziative normative che non possono essere abbandonati; basti pensare al Codice dell’Amministrazione Digitale: le Amministrazioni aspettano l’adozione delle regole tecniche per far entrare defiinivamente in vigore norme importanti, come quelle sui pagamenti elettronici e sulla conservazione documentale.  La digitalizzazione deve quindi partire anche dal completamento dei progetti già avviati.
  10. Il mondo è pieno di (più o meno) buone prassi da seguire, ma sarà indicativo vedere quali quelle verranno scelte dal Governo: gli USA dell’illuminato Open Gov obamiano o la Francia della liberticida legge HADOPI?

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Avvocato, specializzato con lode in Diritto Amministrativo e Scienza dell’Amministrazione. Si occupa, per professione e per passione, di diritto delle nuove tecnologie e di diritto amministrativo. Docente presso l’Università degli Studi della Basilicata, è relatore in convegni, incontri e seminari sulle materie di attività e tiene lezioni in Master Universitari, corsi di formazione e specializzazione. Autore di numerose pubblicazioni (cartacee e digitali) sui temi del Diritto Amministrativo e dell’Information Technology Law, è Vice Direttore del Quotidiano di informazione giuridica “LeggiOggi.it” e componente del Comitato Scientifico della Rivista “E-Gov” di Maggioli. È referente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza presso la Fondazione Italiana per l’Innovazione Forense (FIIF) e componente del Gruppo di Lavoro per i giovani avvocati del Consiglio Nazionale Forense. È socio fondatore e segretario generale dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione e Presidente dell'Associazione Italiana per l'Open Government; oltre al proprio blog (“Diritto 2.0”), è tra i curatori di "TheNextGov", uno spazio sul sito de "L'espresso" in cui parla di nuove tecnologie e innovazione in ambito pubblico.

4 COMMENTS

  1. Non vorrei sembrare pessimista, ma i sei gruppi di lavoro potranno incidere nella realtà quotidiana, contribuendo alla digitalizzazione, solo a condizione che nel contempo cambi la mentalità diffusa, soprattutto in alcuni uffici e in particolare in alcune sedi giudiziarie, secondo cui cartaceo è bello (ed irrinunciabile), digitale è il demonio (e da limitare al massimo, senza che mai possa sostituire del tutto il cartaceo).
    Io suggerirei di creare un altro gruppo di lavoro, forse il più importante e necessario al momento: psicologia della digitalizzazione, con l’obiettivo di fugare le paure di tanti operatori.

  2. scusate se sono scettico non sulla possibile emanazione di una qualche legge ad hoc in merito, di un decreto digitalia o simili, bensi’ sulla sua applicazione pratica.
    L’Italia e’ STRACOLMA di leggi che dicono che la pubblica amministrazione deve rispondere entro X tempo al cittadino, che tutte le amministrazioni dovrebbero avere la propria PEC tramite la quale i cittadini avrebbero il diritto piu’ volte sancito di presentare domande, denunce e dintorni. Vado a memoria ma mi sa che il rimo embrione di una legge simile sia addirittura del 1990, e già allora si imponevano tempi certi, presentazioni via internet et similia.
    Nonostante tutto, siamo ancora a lettera morta, e ben lo sa chi ha a che fare col 90% della PA, fatte salve poche rare eccezioni.
    Il problema e’ che in Italia si possono fare tutte le leggi del mondo, ma poi e’ impossibile farle rispettare.
    Vuoi presentare una domanda / una denuncia / un atto / una richiesta? bene, stai chiedendo allo stato in teoria che ti venga riconosciuto qualcosa, spessissimo un tuo diritto.
    PECCATO che sai benissimo che tra te e quel diritto ci stia un funzionario che puo’ dirti di no, normalmente senza nessuna motivazione, ed a tutti gli effetti intoccabile.
    e SAI BENISSIMO che se ti azzardi a dirgli “scusa, guarda che tu mi DEVI prendere la denuncia in formato PDF con firma digitale via PEC e rispondermi entro 15 giorni, lo dice la legge” per prima cosa la risposta e’ “checavolostaidicendowillis? mettiti in coda e non farmi perdere tempo con queste bazzeccole, io voglio il MIO modulo 27bis in carta azzurro paglierino triplice copia in fila per tre col resto di due, e del modulo che hai tirato giu’ da internet non me ne cale poco ne tanto”.
    Se poi fai tanto di alzare il ditino e dire “ma scusi, la legge direbbe…” la risposta diventa immediatamente “NO – BOCCIATO – NEGATO”. a quel punto che fai, inutilmente richiesta al TAR? ma lo SAI che stai entrando in una spirale autodistruttiva dove spenderai miGlioni di Neuri per ottenere.. NIENTE.
    e’ TOTALMENTE inutile parlare di digitalizzazione della PA. bisognerebbe prima avere una PA la cui unica occupazione non sia quella di perpetuarsi sempre uguale a se stessa di secolo in secolo, e sempre piu’ con la logica di essere boiardi con davanti dei contadini anzichè servitori dello stato con davanti i loro datori di lavoro.
    se no si ottiene il risultato della famosa quanto inutile campagna “mettiamoci la faccia”, la cui unica utilità e’ stata vendere qualche fondo di magazzino per rendere comunque impossibile al “cliente” dire come la pensa perche’ il terminale, con sopra windows, ha il salvaschermo che parte…e la password inserita!
    PRIMA bisogna formare gli OPERATORI della PA, creare delle regole CERTE per cui se non ottempreano alla legge si trovano nei guai, e POI si potrà parlare di introduzione dei computer nella PA (ho volutamente usato un termine differente da informatica).
    Ma questo e’ un dilemma ben piu’ ampio e che coinvolge tutti: finche’ non si introdurrà la certezza della pena continueremo a vivere in itaGlia anziche’ in Italia…

  3. Lo so che certe cose bisogna sforzarsi di dirle in modo gradevole per non allarmare le gerarchie politico istituzionali, ma, alla fine, i nodi vengono sempre al pettine, ed ora questo nodo è: sistematizzare la partecipazione dei cittadini ai fini dell’esercizio di azioni proattive a rendere l’amministrazione della cosa pubblica aderente ai principi costituzionali che la devono ispirare.
    Poichè sappiamo tutti che la Democrazia è fatta di dialettica di poteri e che tra essi, vi devono essere anche quelli che, terzi, devono garantire il corretto fluire di quella dialettica, per poter dare una risposta alle giuste perplessità dell’avv. Belisario, occorre “inventare” un “hub attivo democratico” e installarlo, permanentemente, nel sistema istituzionale. Qualcosa del genere potrebbe essere modellato su una figura funzionale sostanzialmente affine a quella del “difensore civico”, visto come “magistrato di persuasione” (che più correttamente andrebbe chiamato “mediatore”), salvo, ovviamente, ridefinirne tutto il corollario di requisiti, poteri e compiti espliciti, a protezione delle buona e trasparente amministrazione.

  4. Cabina di regia, comitati, commissioni: spero non sia il soltio modo italico di creare dal nulla qualcosa per approdare a qualcosa più del nulla (e questo, ovviamente, non dipende dalla qualità dei componenti, in larga parte elevata).
    Concordo in larga parte con il commento di Suffritti ma anche con le criticità evidenziate da Belisario sulla mancanza di un organismo unico di coordinamento e sulla chiarezza in merito alle risorse disponibili.
    Molti di noi possono dare un contributo, vedremo se lo “sportello” avrà orari di apertura decenti e nessuna modulistica in serbo-croato.

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