Il valore dell’innovazione

Tra i molteplici problemi da affrontare in una fase recessiva, la selezione delle opere infrastrutturali occupa naturalmente un peso di rilievo, come dimostra il dibattito in corso per dare sostanza al piano “CrescItalia” annunciato dal Governo.

Una recente analisi presentata dall’Unioncamere sulle priorità infrastrutturali del Paese ha stillato una classifica delle dieci opere prioritarie secondo oltre 800 imprenditori italiani che fanno parte delle giunte delle Camere di commercio. Sul podio si sono classificate, nell’ordine, Pedemontana, autostrada dei due mari e linea ferroviaria Monaco di Baviera-Verona.

Venendo ai temi a noi più cari, anche nell’Agenda Digitale italiana in via di elaborazione, il primo capitolo è dedicato alle infrastrutture di rete di nuova generazione. Secondo una ricerca condotta da Between a metà 2011, circa i 3/4  delle famiglie italiane che utilizzano internet e una quota simile di imprese riteneva  necessario il passaggio alle reti di nuova generazione per mantenerci allineati agli altri paesi.

Chi paga le infrastrutture? Il “dilemma del prigioniero” delle infrastrutture è  da sempre incentrato sul  ruolo dei soggetti privati nella realizzazione delle grandi opere e  nella loro corretta remunerazione, a maggior ragione quando l’entità delle risorse necessarie è tale da prospettare dei ritorni economici su periodi molto lunghi. Sempre secondo la ricerca sopra citata, per le reti di nuova generazione il 37% delle famiglie ritiene che il problema debba essere affrontato congiuntamente dagli operatori e dalle istituzioni, il  34% che debba invece rimanere a carico degli operatori e il rimante 29% che si invece un tema di natura istituzionale.

Che cosa abbiamo finora pagato?  Lasciando per un attimo da parte il caso dell’Alta Velocità e Capacità, negli ultimi anni sono stati innescati tre  importanti processi di innovazione infrastrutturale “spintanea” che hanno riguardato direttamente il portafoglio delle famiglie italiane. Nello switch off della televisione analogica, i broadcaster hanno investito nella nuova infrastruttura con l’obiettivo di generare nuovi ricavi, ma parte dell’onere (l’acquisto dei decoder e l’eventuale adeguamento dell’antenna) è stato ribaltato sul consumatore finale. Nel caso dell’aggiornamento tecnologico costituito dai contatori elettronici per l’energia elettrica, l’onere è stato sostanzialmente ribaltato sui consumatori che si ritrovano una specifica voce in bolletta, naturalmente nella speranza che questo conduca ad una maggiore efficienza e un conseguente risparmio prospettico. Infine, il caso forse più evidente di finanziamento pubblico dell’innovazione è rappresentato dagli incentivi per la produzione di energie rinnovabili, che ci devono consentire di riequilibrare progressivamente le fonti energetiche a beneficio, innanzitutto, dell’impatto ambientale (più che del portafoglio).

Ma quanto ci (noi “cittadini”) costa tutto ciò? La migrazione alla televisione  digitale si può stimare che potrà generare un onere complessivo per i consumatori dell’ordine di 2-3 miliardi di euro. L’onere in bolletta dei contatori elettronici rappresenta 3,5 miliardi di euro. Secondo l’AEEG, nel solo 2012 gli incentivi alle rinnovabili/assimilabili supererà i 10 miliardi di euro (6 per il solo fotovoltaico), oltre ai costi indiretti indotti. Anche considerando solo il differenziale nei costi di produzione, stiamo parlando di diversi miliardi di euro all’anno, per un periodo che è tipicamente di 20 anni…

A mero titolo di paragone ricordiamo come gli investimenti complessivi per la rete di nuova generazione fissa siano stimabili in 15-20 miliardi di  euro per coprire l’intero territorio, con un moltiplicatore economico verosimilmente superiore agli altri casi contemplati.

Infrastrutture digitali.  Detto tutto ciò, quanto siamo disposti a pagare come cittadini  e imprese per avere a disposizione collegamenti ad altissima velocità e, in prospettiva, una nuova generazione di servizi in rete? Questo salto generazionale deve essere finanziato solo da coloro che utilizzeranno i servizi avanzati? In quale misura dovranno partecipare agli investimenti coloro che veicoleranno i propri servizi? Come evitare che le logiche di mercato conducano ad un digital divide infrastrutturale di nuova generazione ben più critico di quello che abbiamo finora conosciuto? A quali condizioni è possibile “spegnere” la vecchia rete in rame?

Dietro queste domande si celano i nodi da sciogliere per dare concretezza alla nostra Agenda Digitale nazionale, ma anche l’enorme potenziale per la trasformazione del sistema economico.

Ci auguriamo quindi maggiore lungimiranza nella definizione delle priorità infrastrutturali e un ritorno alle valutazioni di impatto “ambientale”. In senso lato, ovviamente …

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