Net economy, startup, innovazione e lavoro in Italia

La net economy è ormai chiaro che favorisce la crescita del prodotto interno lordo (PIL) di un paese, meno certo è l’impatto che ha sul mercato del lavoro. Un report del Dag (Digital Advisory Group), un’associazione italiana composta “da oltre 30 organizzazioni, aziende private e pubbliche, e università determinate a contribuire allo sviluppo dell’economia digitale” offre interessanti stime sull’impatto dell’economia digitale sul mercato del lavoro.

700mila sarebbero i posti di lavoro creati in Italia da Internet negli ultimi 15 anni. Di questi, il 60% sarebbero impieghi direttamente collegati ad Internet (sviluppo software, telecomunicazioni, portali Web, Web marketing, etc); mentre il 40% sarebbe costituito da posti di lavoro “indotti”, ovvero creati nei più disparati settori economici a supporto indiretto dell’economia digitale.

Il rapporto tra economia di rete e mercato del lavoro risulta, però, complesso. Le aziende proprio grazie alla rete possono attingere facilmente al mercato del lavoro internazionale ed, in particolare, alla vasta disponibilità di giovani programmatori freelance provenienti dai mercati emergenti. I costi possono essere, inoltre, abbattuti tramite crowdsourcing.

Il problema reale resta, però, quello di una sostanziale inadeguatezza dell’ambiente italiano, non capace di competere con le realtà internazionali. Le startup incontrano maggiori difficoltà in Italia; mancano le reti sociali di supporto, parzialmente le competenze e i vantaggi che altre realtà sono in grado di offrire. Manca in Italia l’”ambiente” costruttivo che facilità innovazione, creatività e sinergie. Mancano quei milieu innovateur capaci di generare e sostenere processi innovativi e sinergie in aree territoriali circoscritte. Quell’insieme di relazioni sociali ed istituzionali capaci di promuovere e favorire l’imprenditorialità e l’innovazione tecnologica.

Enrico Gasperini, CEO di Digital Magics, un incubatore aziendale, ha, per questa ragione, proposto provocatoriamente, di recente, di provare a trasformare Milano nella “Berlino Valley” italiana. “Nell’ultimo anno a Berlino sono state fondate oltre 500 nuove startup, di cui oltre 100 finanziate dai Venture Capitalist. Le aziende sono progettate per diventare leader europee e non solo locali”.

La proposta per ora resta una provocazione. Internet e le iniziative economiche legate alla rete, per ora, restano piccole in Italia. L’economia digitale è, nel paese, ancora in una fase di sviluppo e incertezza; e la maggioranza dei progetti ha ancora un carattere eccessivamente nazionale e poche ambizioni internazionali.

Il Digital Advisory Group, nonostante ciò, stima in 1.8 il rapporto tra posti di lavoro creati dalla net economy contro quelli persi, con un contributo netto al mercato del lavoro italiano di 320000 nuovi impieghi.

La stragrande maggioranza di questi nuovi impieghi sono stati creati da imprese di grandi dimensioni (società di telecomunicazione, istituti bancari, etc.). Le piccole e medie imprese italiane hanno contribuito in maniera decisamente minore. Il rapporto tra lavori creati e distrutti dalla rete è, infatti, di 1 a 1 nelle PMI; ovvero per ogni posto di lavoro distrutto da Internet, sono stati creati solo 1.03 impieghi alternativi. Le PMI italiane scontano, quindi, forti ritardi per quanto riguarda il pieno ingresso nel nuovo ecosistema economico digitale globale.

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