Se mi vuoi lasciare dimmi almeno perché…

Nel business, sia nei mercati più competitivi per presenza di numerose compagnie affermate e con volumi di business comparabili, sia in quelli ex monopolistici in cui l’operatore principale vede la sua base clienti lentamente “erosa” dalla concorrenza, uno dei costi che impatta maggiormente sui conti delle compagnie è quello di tutte le attività collaterali necessarie all’acquisizione di un cliente.

Più la situazione ambientale è complicata (ci possono essere i più svariati motivi, dall’aggressività dei competitors fino ai problemi logistici o addirittura legali), maggiore è la difficoltà nell’acquisire un cliente e maggiore sarà il costo relativo per renderlo parte del proprio portafoglio.

Questo aspetto, di per sè piuttosto semplice e intuitivo, genera però un risvolto abbastanza immediato: tutte le risorse utilizzate per far si che il cliente scelga la propria azienda e i propri prodotti, si annullano nell’esatto momento in cui questo cliente decide di non avvalersi più dei servizi precedentemente sottoscritti, azzerando così di colpo gli investimenti fatti e rendendone necessari altri per reintegrare un nuovo cliente nel portafoglio. Con ciò si capisce come in questi contesti la fase di mantenimento del cliente assuma una importanza elevata, al pari di quella della vendita.

La percentuale di clienti che lasciano un fornitore in un determinato periodo di tempo rispetto alla base clienti complessiva, è il tasso di abbandono, altrimenti noto con il corrispettivo inglese di churn rate: è un indicatore che ci permette di capire la propensione della base clienti ad abbandonare la compagnia ed  è particolarmente rappresentativo in mercati che utilizzano un modello di business basato sulla sottoscrizione di un abbonamento.

L’indicatore fornisce una stima iniziale del fenomeno e deve essere approfondito per individuare le motivazioni di questi abbandoni, il perchè: scarsa qualità del servizio, offerte aggressive della concorrenza, errori nei processi di comunicazione e così via. D’altro canto l’analisi va condotta altrettanto attentamente sui risultati delle azioni che si possono mettere in pratica per arginare l’aumento del tasso di abbandono: azioni di marketing mirate, formule contattuali con durate vincolate, azioni di loyalty, ecc.

La verifica delle motivazioni del churn e della bontà delle decisioni strategiche intraprese per minimizzarlo sono la tipica applicazione di una soluzione di business intelligence, attraverso la quale si possono comprendere nel dettaglio le abitudini e le condizioni dei clienti che passano alla concorrenza. E’ possibile infatti individuare gruppi di clienti che presentano una situazione per la quale è possibile ipotizzare un abbandono, come ad esempio le vittime di errori di fatturazione piuttosto che i sottoscrittori di prodotti lancio che non hanno rispettato le aspettative promesse in pubblicità. Su questi insiemi, dopo aver attribuito un valore al cliente per valutare lo sforzo massimo sopportabile dall’azienda per conservarlo, vanno tarate le opportune azioni di retention (conservazione del cliente, appunto). E sempre con gli stessi strumenti, una volta adottate le opportune contromisure, sarà possibile valutare la bontà delle scelte fatte ed eventualmente, come abbiamo già visto in altri articoli, calibrare meglio la mira.

Attraverso l’utilizzo di strumenti di business intelligence è stato inoltre possibile stabilire un andamento piuttosto generalizzato dell’indicatore del tasso di churn che nel primissimo periodo di vita del cliente, subito a valle dell’aquisizione, risulta essere sensibilmente più alto per poi diminuire con il passare del tempo quando giungono a consolidamento le dinamiche legate alla fidelizzazione.

In uno dei prossimi articoli vedremo proprio il legame di fidelizzazione e programmi di loyalty con il mondo BI.

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