Il valore dell’Open data

L’informazione è il petrolio del nuovo millennio. Open Data e Big Data  fanno ormai definitivamente parte della nuova rivoluzione in corso, motore della crescita prossima ventura, spread e dintorni permettendo.

La buona notizia è che negli ultimi mesi si sono moltiplicate le iniziative da parte delle istituzioni per condividere il proprio patrimonio informativo attraverso la disponibilità dei dati in formato aperto, liberamente utilizzabili, di norma secondo i termini della Italian Open Data License. Come emerge dalla documentazione del contratto di licenza “essa mira a facilitare il riutilizzo delle informazioni pubbliche nel contesto dello sviluppo della società dell’informazione”. L’insieme degli open data diffusi dalle pubbliche amministrazioni italiane vengono poi  (auspicabilmente) raccolti nel portale www.dati.gov.it.

Anche nel Codice dell’Amministrazione Digitale un obiettivo esplicito è quello di valorizzare i dati pubblici raccolti ed elaborati dalle pubbliche amministrazioni consentendone esplicitamente il riutilizzo.

Informazione, diritto primario. Per un Paese come l’Italia l’accesso all’informazione in modo trasparente rimane ancora in molti campi una conquista e quindi ben venga una crescente apertura. Mi è capitato recentemente di giocare al piccolo  Perry Mason a seguito del ciclo Film Cronaca su La7. La rete e la crescente disponibilità di informazioni primarie ci consentono ormai di essere molto meno dipendenti dai tribunali mediatici o dalla finzione cinematografica, permettendo di costruirci consapevolmente un’opinione sui temi più disparati. Si può fare naturalmente ancora molto di più, ma la strada è aperta e si può facilmente immaginare l’impatto derivante dall’accesso ai contributi originali audio-video sui temi di maggiore rilevanza emotiva.

Informazione e nuove opportunità. L’aspetto che interessa però maggiormente gli imprenditori e i neo-imprenditori è sicuramente la possibilità di  realizzare di nuovi prodotti e servizi attraverso l’utilizzo dei dati messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni. Del resto, i nuovi protagonisti dell’economia digitale hanno ampiamente dimostrato come si possano generare nuovi business a partire da dati e informazioni apparentemente privi di valore, capitalizzando informazioni di profilatura (vedi i social network) ovvero attraverso algoritmi di monitoraggio dell’utilizzo della rete. In questo contesto, l’accesso ai dati di pubblica utilità è un’ulteriore barriera all’ingresso che cade a favore dello sviluppo di nuove applicazioni e servizi in rete.

Informazioni senza qualità. L’informazione senza qualità rischia però di rimanere potenza senza controllo. All’obiezione che  “una qualsiasi informazione è sempre meglio di nessuna informazione” si potrebbe obiettare che anche i famosi cinegiornali dell’Istituto Luce rappresentavano una parte dell’informazione. Due esempi per fornire una prova. Sullo spinoso argomento IMU, la pubblicazione sul sito del MEF degli incassi dei singoli Comuni ha scatenato varie interpretazioni. Nella realtà, il dato pubblicato consente di affermare che Roma ha incassato più di Romana. Non sarebbe il caso di avere un dato sul numero di soggetti passivi e sul numero di coloro che hanno pagato? Allo stesso modo, il MIUR ha pubblicato  i dati sulle scuole italiane. Su oltre 70.000 plessi, in meno della metà dei casi ci sono i dati sul numero di alunni (sic) e, in generale, per nessuna informazione si supera la fatica soglia del 50% dei dati disponibili, senza considerarne naturalmente la qualità. A questo punto un apparente censimento è diventato una rilevazione campionaria non necessariamente casuale, e così via…

Uno dei possibili modelli di riferimento rimane invece sicuramente l’ISTAT, che pubblica informazioni sempre più facilmente utilizzabili, accompagnate da note metodologiche, corredate da dati in serie storica, oltre che da analisi e interpretazioni dei dati. Non si può naturalmente chiedere a tutta la Pubblica Amministrazione di trasformarsi in istituti di statistica, ma una maggiore attenzione alla fruibilità è un atto doveroso.

Siamo solo all’inizio.

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