Vanno bene le startup ma servirebbe una forte politica industriale e di ricerca

E alla fine ci siamo arrivati, ecco il piano di sviluppo prodotto dal governo  e basato sulle startup (che poi vorrebbe dire nuove imprese innovative). Il Ministro Passera prima dell’approvazione in Consiglio di Ministri, ne ha parlato in maniera quasi entusiasta: “le start-up benzina per l’intero paese”,  “con le start-up rilanciamo l’occupazione

Il decreto porta con sé alcune norme interessanti come la possibilità di accedere al “fondo centrale di garanzia” (200 milioni di €), incentivi all’investimento in start-up, semplificazione per avere finanziamenti privati (crowfunding), possibilità di usare le quote sociali per finanziarsi o per pagare i collaboratori, contratto di lavoro determinato agevolato, norme semplificate per chiudere la società se va male.
I provvedimenti sono benvenuti ma evitiamo i sensazionalismi: questo non basta per surrogare una crescita che non c’è oppure per sostituire la politica industriale che manca da troppo tempo (basti pensare al governo precedente che restò senza ministro dello sviluppo per 153 giorni nel 2010.

Se diamo un occhio al rapporto AIFI 2011 vediamo che negli ultimi 5 anni i finanziamenti “early stage” in Italia ammontano in media a 90 milioni di € investiti in 93 operazioni/anno (con un calo del 43% nel primo semestre 2012). Secondo una ricerca dell’Università Cattaneo-Liuc, per ogni milione di euro investito in venture capital, nei 4 anni successivi si attivano nuovi investimenti per un milione e mezzo di euro e si creano 11 nuovi posti di lavoro di alto profilo per ingegneri, sviluppatori e web designer.
Facendo un rapido conto si tratta di circa 5.000 posti di lavoro guadagnati in 5 anni. Se l’obiettivo del decreto è quello di raddoppiare le startup italiane che sono stimate in 2.500 capiamo che questa operazione non può avere grande impatto sul tasso di disoccupazione giovanile  che ad agosto era del 34,5%: quasi 600mila persone tra 15 e 24 anni sono in cerca di lavoro.
Certo l’auspicio è che tra quelle aziende innovative ci sia una nuova Cisco o una nuova Apple che faccia faville e arrivi ad impiegare decine di migliaia di persone ma con il sistema economico nazionale che è uno tra i meno dinamici in Europa è difficile che accada.

Nel nostro paese l’epoca delle start-up, ovvero un periodo di nascita di nuove imprese innovative in maniera diffusa c’è già stato nel dopoguerra ed è stato chiamato “miracolo economico”. Le condizioni erano completamente diverse: nascevano nuovi bisogni, crescevano i consumi interni ed esterni, la fantasia e la voglia di rinascere degli italiani ben si sposarono con il contesto e in quel periodo nacquero gran parte delle aziende che oggi consideriamo consolidate. Molto diverso è intraprendere nuove iniziative oggi con la speranza di farle crescere: è necessario avere ingenti conoscenze, fondi, risorse.

La California è in questo momento il luogo del mondo dove è più facile portare avanti un percorso di questo tipo. La Silicon Valley però non è nata per caso: è stata il frutto di massicci investimenti tecnologici dei militari nel dopoguerra che ha fatto da lievito affinché si costituisse un ecosistema formato da aziende, università, centri di ricerca, parchi tecnologici, finanziatori.

In Italia, nella Milano Valley, può invece capitare di vincere un concorso per la migliore idea d’impresa a livello regionale e poi andare a finire in un “acceleratore” dove in realtà ti ospitano solamente, ma nessuno ti dà una spinta aiutandoti a trovare finanziamenti o cercare qualche cliente.
Oppure può succedere di arrivare primi ad una competizione sui piani d’impresa in cui ti danno pochi euro, una pacca sulle spalle e ti fanno gli auguri per il futuro. Può anche accadere di andare da un finanziatore con un’idea, sentirsi rispondere di farsela finanziare dagli enti pubblici e vederla realizzata qualche mese dopo da qualcun altro.
Si può anche entrare in un programma di supporto ad aziende innovative e sentirsi dire dal proprio tutor che devi moltiplicare per dieci le previsioni di guadagno altrimenti non può più seguirti.

Tralasciando quindi che se qualcuno non ci mette parecchi soldi il sistema nemmeno si mette in moto, nel nostro paese la questione è culturale e di sistema. Certo possiamo recuperare copiando quello che hanno fatto altrove 20 anni fa ma questi devono essere programmi di governo collaterali, non “prodotti” da sbandierare come se fossero la soluzione dei problemi del paese. Anche perché il rischio è di ammaliare i giovani che non trovano un lavoro decente proprio perché alla radice manca una politica industriale e della ricerca più seria.

Insomma, anche chi è più entusiasta del decreto ha capito che: “è in atto una accelerazione dello sviluppo di nuovi trends scientifici e tecnologici (green-technologies, ICT, nanotecnologie, scienze della vita, nuovi materiali, tecnologie biomedicali, micromeccatronica, ecc.) con un consistente aumento degli investimenti pubblici e privati in R&S che sono destinati a far anticipare di molto le possibilità e i tempi per trasformare la ricerca in impresa, aprendo le porte allo sfruttamento industriale delle invenzioni e quindi la corsa agli investimenti. L’Italia, se vuole evitare il rischio di un continuo restringimento della propria base produttiva e occupazionale, deve compiere ogni sforzo per conquistare un proprio posizionamento nelle nuove filiere tecnologiche”.

Servirebbe quindi una forte politica industriale e della ricerca che preveda investimenti, sia degli enti pubblici che delle maggiori imprese del paese, nei settori considerati strategici: le start-up poi verrebbero da sole.

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Ingegnere informatico e giornalista pubblicista, ha fondato l’agenzia Oplà con cui sperimentare forme di comunicazione in cui si mescolano creativamente diversi media. Come giornalista ha scritto per quotidiani locali, testate online, riviste a diffusione nazionale oltre che per diversi blog e testate online. Per cinque anni si è occupato dello sviluppo del business e della cura dei contenuti per la videoguida interattiva su palmare i-muse, ideata per musei e istituzioni culturali. Per la casa editrice News 3.0 ha impostato e gestito i canali sociali istituzionali del quotidiano online indipendente Lettera43.it e di diverse testate verticali. Dal 2002 cura il laboratorio di Fondamenti di Informatica presso il Politecnico di Milano, sede di Como; ha tenuto corsi di informatica presso aziende e scuole pubbliche. In qualità di ricercatore ha coordinato e realizzato alcuni studi per conto della Camera di Commercio di Como e del Centro di cultura scientifica Alessandro Volta.

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