Comunicazione: provassimo a fare qualcosa di utile?

Per chi si occupa di comunicazione digitale, di Social Media, il mantra sembra essere quello dell’Engagement. Trovare modi per coinvolgere gli utenti, farli interagire con noi, appassionarsi.

La strada comune prevede la nascita di giochi e di esperienze, emozioni, costruzioni fantastiche. O almeno, in teoria; perché poi bisogna fare i conti con le nozze e i fichi secchi (il voler fare delle cose che prendano al cuore gli utenti e metterci un budget risibile).

Insomma, si vive di sovrastrutture, di wow factor. E non sorprende che – tra il mutamento culturale e il momento di crisi che rende più cinici/realistici – un po’ di persone abbiano la sensazione che certe marche suonino il valzer mentre il Titanic affonda.

Ora, non è perché c’è la crisi che dobbiamo tutti entrare in lutto. Non è positivo, per tutta una serie di motivi. D’altra parte sempre ridere e scherzare porta il rischio della rappresentazione di un mondo scollegato con la realtà, da parte della nostra marca.

Facessimo qualcosa che serve?

Una soluzione interessante (certamente non adatta a tutte le marche e tutte le situazioni) può essere quella fare invece cose concrete per le persone. Mettendo in piedi attività che possano migliorare, risolvere, alleviare certe situazioni.

Ad esempio il lavoro che ha fatto Procter & Gamble con le sue marche in occasione di Sandy. In particolare quello che ha fatto Duracell, che è andata in giro con un furgone a regalare pile, permettendo ai sinistrati senza corrente di poter usare radio, torce elettriche. E mettendo a disposizione la possibilità di ricaricare computer, notebook, cellulari, tablet. Tutte cose importanti in una situazione di crisi.

Poi, è chiaro, bisogna andarci con mano leggera – fare come i farisei che si vantavano di quanto fossero caritatevoli rischia di trasformarsi in un autogol.

Non solo in tempi di crisi

Ovviamente non è opportuno sperare in una crisi e scommettere sui disastri. Anche in condizioni normali possiamo pensare di far qualcosa di utile. Ad esempio un’attività, sponsorizzata dalla marca, che dia un servizio concreto all’utente. Online o offline, b2b o b2c.

Promuovere gli hamburger sul tabellone della stazione ha un suo wow factor. Aiutarmi a restare a dieta con un applicazione che sui social quando apro il frigo può fare una differenza.
Ridecorarmi Facebook con la grafica Harley Davidson può essere carino. Regalarmi una colonna sonora sincronizzata col mio viaggio in treno può rendere più gradevole un pezzetto della mia vita.

Anche qui il rischio di fare però cose campate in aria, slegate alla mia marca è alto. Quello che faccio deve essere connaturato al DNA della marca. Deve risolvere un problema vero. Essendo un regalo della mia marca alle persone, non può permettersi di funzionare male o di avere un look & feel rattoppato.

Per fare bene, bisogna pensarci. Ed essere un po’ generosi.

Il trucco, se così vogliamo chiamarlo, è pensare seriamente a come potremmo rendere più facile la vita delle persone. E farlo in una maniera autorevole, perché il mondo che scegliamo è un mondo in cui la nostra marca è esperta.

Farlo in maniera onesta e sopra le parti, per non fare la figura dei “commerciali”. Ma, allo stesso tempo, cercare di portare alla nostra azienda business, attraverso sia la dimostrazione di una capacità, di un’esperienza; sia attraverso la costruzione di un senso di vicinanza, di partnership, di simpatia.

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